Il libro ottavo dell’Iliade è dominato dai cavalli. Si comincia con quelli di Zeus, “dagli zoccoli di bronzo e dalla criniera d’oro”.
Una volta raggiunta l’Ida dall’Olimpo, il padre degli dei li circonda da una fitta nebbia, probabilmente per paura che glieli portino via.
Achei e Troiani tornano a scontrarsi e quando il sole è alto in cielo Zeus tende la sua bilancia: il piatto dei Troiani sale in alto, decretandone il prevalere sul campo.
Gli Achei retrocedono sotto l’urto dei nemici; l’unico a mantenere la posizione è Nestore, ma soltanto perché il suo cavallo è stato abbattuto da Paride. Diomede dà un “passaggio” al vecchio eroe, prendendolo a bordo del suo carro trainato dai cavalli catturati a Enea.
Ma Zeus scaglia una folgore per spaventare gli animali e Nestore capisce l’antifona: è il caso di ritirarsi. Ettore insuperbisce e deride Diomede, dandogli della stupida bambola (l’ingiuria che scaglia significa letteralmente “pupilla” e poi per estensione “immaginetta, bambola”).
Il troiano infuria per la pianura e sprona i suoi cavalli chiamandoli per nome: Xanto, Podargo, Etone e Lampro. A loro Andromaca, che li cura, dà da bere il vino prima che al suo sposo!

Per riequilibrare le sorti, Era suggerisce ad Agamennone di risvegliare il coraggio degli Achei e questi, in effetti, partono alla riscossa.
Protetto dallo scudo di Aiace, Teucro fa strage col suo arco, ricevendo i complimenti di Agamennone che gli promette – quando Troia sarà conquistata – come premio per la sua bravura “un tripode, o due cavalli col loro carro, o una donna che venga a letto” con lui. Teucro cerca di colpire anche Ettore, ma la freccia uccide il suo auriga (il secondo in poco tempo!).
Sul versante divino Era e Atena complottano per ridare vigore agli Achei. La dea della sapienza ce l’ha col padre: se avesse saputo come l’avrebbe trattata, di certo non avrebbe aiutato Eracle a superare tutte le sue fatiche! Era e Atena salgono sul carro pronte a combattere in prima linea contro i Troiani, ma Zeus le vede e manda Iride a bloccarle.
Era volge indietro i cavalli e le Ore “li attaccarono alla mangiatoia che non si svuota mai”.
Nell’assemblea degli dei, Zeus predice che i Troiani continueranno a fare strage di Achei finché Achille non scenderà di nuovo in campo per vendicare l’amico Patroclo.
Solo la notte pone freno all’impeto dei Troiani e i versi finali sono i più poetici del libro, a cui aggiungono un’aura di placida quiete, in forte contrasto con le scene precedenti (il passo è citato anche nel bell’articolo di Marco Grassano sul Giarolo).
Saul Stucchi
I versi più belli:
Come nel cielo le stelle risplendono luminose intorno alla bianca luna,
quando tutta l’aria è serena,
e da lontano si scorgono le alture, i poggi e le valli,
e il cielo infinito si apre a mostrare tutti i suoi astri,
ed è felice il pastore che li contempla,
così brillavano i fuochi accesi dai Troiani
tra le navi e le correnti dello Xanto,
innanzi a Troia.
Mille fuochi ardevano nella pianura
e intorno a ciascuno erano seduti almeno cinquanta uomini,
illuminati dalle fiamme del fuoco ardente.
Anche i cavalli, mangiando orzo e spelta,
in piedi accanto ai carri,
aspettavano l’Aurora dal trono d’oro. (VIII, 555-565)Omero

ILIADE
- Traduzione di Dora Marinari
- Commento di Giulia Capo
- Prefazione di Eva Cantarella
- Con testo greco a piè di pagina
- La Lepre Edizioni
- 2010, pp. 1074
- 28 €