Il libro IV si apre con una scena domestica. Il lettore non si lasci ingannare dai particolari di colore con cui il poeta descrive la dimora degli dei: l’oro profuso nell’arredamento non cambia la natura dei suoi abitanti, mossi da passioni squisitamente umane. Riunite a banchetto, infatti, le divinità finiscono con il diventare spettatrici di una furiosa lite coniugale tra Zeus ed Era, con Atena nel ruolo di convitata di pietra (ma vulcanica, incandescente d’ira).
È nota l’ipotesi che dietro l’Odissea si celi la mano di una poetessa, ma questo quarto libro dell’Iliade è sicuramente opera di un uomo che ha sperimentato le gioie e i dolori del matrimonio. Infantili come bambini che si contendono un giocattolo, Zeus ed Era si rinfacciano vicendevolmente un “fai pure quello che vuoi!”, imperativo che in realtà il partner deve tradurre con un più sincero “non osare fare quello che hai in mente!”.
A provocare la scintilla ci pensa il Padre degli dei che pungola la consorte contrapponendo il comportamento attivo di Afrodite alla passività di lei e della figlia Atena. Ma Era è pronta a sacrificare le tre città a lei più care (Argo, Sparta e Micene) purché i suoi sforzi non siano resi vani: lei merita rispetto! Omero mostra qui di comprendere appieno le sottili armi della psicologia di coppia: Era spiega il da farsi a Zeus, che a sua volta lo ordina ad Atena, spronandola “a fare quello che già desiderava”.

Ed ecco la dea prendere le sembianze di Laodoco e convincere Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao. Pandaro, “folle”, obbedisce all’esortazione: a volte, è follia obbedire ai voleri di una divinità, mette in guardia Omero. Tanto che è la stessa Atena a intervenire a deviare la freccia perché non uccida Menelao, “come una madre allontana una mosca da un bambino / quando è preso dal dolce sonno”.
Agamennone urla la sua disperazione per il ferimento proditorio del fratello e fa chiamare il medico Macaone che estrae il dardo, succhia il sangue dalla ferita e vi spalma medicamenti la cui ricetta era stata insegnata a suo padre dal centauro Chirone in segno d’amicizia (già allora il farmacista era un mestiere che si tramandava di generazione in generazione… per via della licenza?). Infranto il patto, la guerra inevitabilmente riprende. Agamennone passa in rassegna l’esercito, spronando e redarguendo.
Saul Stucchi
I versi più belli:

(IV, 539-544)
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com