Pranzo al centro commerciale: il vociare sgraziato che fa da sottofondo mi ricorda che lo shopping è la battaglia in cui siamo impegnati pressoché quotidianamente.
Il libro terzo dell’Iliade si apre col fragore dei Troiani in marcia, in forte contrasto col silenzioso procedere dei Greci (facessimo tutti come i Greci, quando ci muoviamo col carrello della spesa!). Paride è bello come un dio, ma appena vede Menelao – l’uomo a cui ha rapito la moglie – se la fa sotto. Ettore lo redarguisce con asprezza e Menelao gli risponde con un discorso molto forbito e carico di retorica, che andrebbe bene a un convegno ma stona parecchio pronunciato sul campo di battaglia. La proposta è semplice: lui e Menelao si affrontino in duello e il vincitore si prenda tutto. Ettore ferma i suoi e Agamennone, cavallerescamente, i Greci.
Questi ultimi sembrano già aver dimenticato tutto l’ardore bellico che avevano manifestato nel libro precedente. Si vede che non hanno molta voglia di combattere. Intanto Iride va da Elena e le mette in cuore il desiderio del marito, come a dire che senza l’intervento esterno (divino) la bella Elena aveva altro a cui pensare. Alle Porte Scee il vecchio Priamo le chiede di indicargli i capi dei Greci, quasi fosse lo speaker che annuncia le formazioni in campo. Achei e Troiani compaiono spesso, in questo libro, uniti nello stesso verso. Omero più volte sottolinea che entrambi gli schieramenti, in realtà, vogliono le stesse cose: essenzialmente la pace.

Paride viene sorteggiato per colpire per primo, ma la sua fortuna finisce qui. Il suo colpo infatti si arresta sullo scudo di Menelao, senza perforarlo. L’avversario, che facilmente immaginiamo furioso, è più abile, ma la sua spada si frantuma nel momento decisivo. Trascina l’imbelle Paride verso il campo acheo, ma Afrodite interviene a salvare il suo beniamino, avvolgendolo in una fitta nebbia.
Poi va da Elena e la invita ad andare da Paride che se l’è appena vista brutta. La donna le risponde malamente, ma la dea non è una da farsi rimbrottare da una mortale (pur anche la donna più bella del mondo) e le mette tanta paura da convincerla a cedere. Il bel Paride la invita a fare l’amore, alla faccia del marito che stava per ammazzarlo, dicendole mellifluo “non ti ho mai desiderato tanto”.
Saul Stucchi
I versi più belli:
“Menelao caro ad Ares lo vide avanzare a grandi passi, e ne godette.
Come gode un leone affamato
imbattendosi nel corpo di una grossa bestia,
– un cervo dalle lunghe corna o una capra selvatica –
e la divora anche se lo inseguono dei cani veloci e robusti,
così godeva Menelao vedendo Paride bello come un dio:
pensava di vendicarsi del colpevole
e subito, con tutte le armi, saltò a terra dal carro”. (III, 21-29)
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com