Sala gremita per gli incontri con l’egittologo Dimitri Meeks all’Auditorium del Museo del Louvre di Parigi. Almeno negli ultimi due appuntamenti del ciclo “La chaire du Louvre” a cui ho potuto assistere di persona, nelle giornate rispettivamente di lunedì 8 e di giovedì 11 ottobre 2018.

Meeks alla Cattedra del Louvre
Ecco il calendario del ciclo di conferenze, intitolato “Les Egyptiens et leurs mythes”:
- 27 settembre
Les Egyptiens face au discours du monde - 1 ottobre
Une anastylose des mythes - 4 ottobre
Une histoire mythifiée - 8 ottobre
Une si mythique écriture - 11 ottobre
Les égyptologues face à l’autre
Nella lectio dell’8 ottobre Meeks si è concentrato sulla scrittura geroglifica, presentando una carrellata della sua evoluzione storica, dai primi segni tracciati su tavolette per indicare il contenuto dei vasi a cui erano attaccate (tavolette rinvenute nella necropoli predinastica di Abydos) agli ultimi geroglifici scritti nel tempio di Iside a File, datati al 394 d.C.
Nei millenni che intercorsero tra i due estremi indicati i geroglifici conquistarono spazio e importanza. La lingua scritta imparò ad adeguarsi a quella parlata.
Parole divine
Servendosi di esempi come stele funerarie, statue ed elementi architettonici ricoperti di scrittura, il professore ha compiuto un rapido viaggio nella storia della “scrittura sacra” degli Egizi che essi stessi chiamavano con il nome di “parole divine”, riconoscendone l’origine divina. Ma sbaglieremmo a pensare che sia stato Thot, il dio della scrittura, a inventarli: i geroglifici gli preesistevano.
Il legame con la sfera divina è testimoniato anche dal piccolo gesto rituale che gli scribi compivano prima di cominciare a scrivere. Facevano infatti una libagione in onore di Imhotep, l’architetto della Grande Piramide, assurto allo stato di divinità per i suoi meriti professionali.
Quello dei geroglifici era un universo senza limiti, capace di assorbire novità e cambiamenti. Meeks ha mostrato testi con geroglifici di cavalli e quadrighe che ovviamente non esistevano all’inizio della civiltà egizia, perché non esistevano i loro corrispondenti fisici, reali. Come è risaputo, i cavalli fecero la loro comparsa in Egitto con gli Hyksos, durante il Secondo Periodo Intermedio.
Meeks ha proposto anche alcuni esempi di scrittura enigmatica, concepita come sfida per i lettori, ovviamente eruditi. E le donne? Sapevano scrivere? La risposta non è semplice. Erano gli uomini che scrivevano per professione (per esempio nell’amministrazione o nel culto). Si può dire che le donne in grado di scrivere costituissero una minoranza della minoranza.
Dai geroglifici ai fumetti
Nell’ultimo incontro, invece, Meeks non ha voluto parlare degli Egizi quanto piuttosto di quelli che li studiano, ovvero gli egittologi.

Anche in questa occasione il professore ha compiuto un percorso – necessariamente piuttosto accelerato – nella storia, rievocando le tappe della disciplina a partire dai savants al seguito di Bonaparte e da Champollion che nel 1822 finalmente arrivò a decifrare i geroglifici fino allo stato attuale dell’egittologia. Anzi, si è spinto a porsi qualche domanda sul futuro di questa branca dell’antichistica (ammesso che ne abbia uno, ha aggiunto…).
Si è soffermato su Charles de Brosses, Adolf Erman e in particolare Plutarco. Quest’ultimo autore ha funzionato da filtro deformante per molti studiosi che hanno affrontato la religione egizia con gli schemi usati dal poligrafo greco (il riferimento è ovviamente all’opera “Iside e Osiride”).
Ma quello degli Egizi era un universo pluridimensionale, non binario come il nostro. Le categorie del pensiero occidentale non sono quindi applicabili così come sono. L’approccio va completamente riconsiderato e un grande aiuto può venire dagli egittologi egiziani che studiano il proprio passato senza la lente deformante del pensiero occidentale.

La conferenza e l’intero ciclo si sono conclusi con un’interessante e piacevole chiacchierata tra Dimitri Meeks e l’artista Enki Bilal, autore di celebri opere a fumetti (va ricordato che in Francia le bandes dessinées godono di un riconoscimento culturale decisamente superiore a quanto avviene da noi).
Mentre sullo schermo gigante passavano spezzoni del film “Immortel ad vitam” – tratto da due storie di Bilal – l’artista e l’egittologo parlavano di fumetti e antico Egitto, tra fascinazione per gli dei dal corpo umano e dalla testa animale, geroglifici e ossessione per il potere. Il tutto condito con molta ironia da entrambe le parti.
Saul Stucchi
Dimitri Meeks
Les Égyptiens et leurs mythes
Coédition Hazan / Musée du Louvre
2018, 25 €