Arrivo in tarda serata in una Madrid coperta di nuvole che hanno già scaricato pioggia, a giudicare dalle strade bagnate. La comodità di avere la metropolitana subito in aeroporto (mirabile dictu per noi italiani…) è in parte attenuata dal lungo percorso necessario per arrivare in centro: giungo all’ostello che ho scelto dopo aver utilizzato tre linee e viaggiato per una quarantina di minuti. L’ostello è più spartano di quanto mi fossi immaginato, ma è pulito e più che dignitoso. Inoltre la doppia uso singola che ho prenotat
o si rivela una spaziosa tripla, con un bagno però lillipuziano. Aprendo la valigia scopro di avere due ciabatte destre, ricordo dell’hotel Quirinale di Roma. Sapendo che in origine erano due paia complete, deduco che chi mi ha fatto (amorevolmente, peraltro, e quindi qui la ringrazio) la valigia ha fatto un po’ di confusione. Per fortuna pare che nessun deputato spagnolo stasera faccia tardi in ufficio e quindi nessuno noterà questa stranezza guardando dalle finestre del palazzo del potere che dista appena 3 metri, sull’altro lato di calle Zorrilla. La prima cosa che attira la mia curiosità in camera sono i tre adesivi appiccicati vicino
ai tre sanitari del bagno: lavandino, WC e vasca. Invitano all’uso parsimonioso dell’acqua e, confesso, m’incutono un leggero stato d’ansia ogni volta che apro il rubinetto. Madrid necesita mas agua. Per cenare scelgo il ristorante di fronte al famoso locale che espone il cartello “Hemingway never ate here” (H. non ha mai mangiato qui, a prendere in giro la debolezza di farsi pubblicità ricordando vere o presunte soste del celebre scrittore americano), subito fuori da Plaza Mayor. Il cosciotto di cordero mi ha tramortito.
Saul Stucchi