Decima puntata del reportage di Marco Grassano “Ritorno a Chanià”.
L’alba, stamattina, è gloriosa. La ragna di nubi che scherma il cielo riverbera le dilaganti irradiazioni malva, dorate e sulfuree del Sole emerso sul caseggiato.

Essendo lunedì, con l’arrivo della luce i muratori prendono a battere, sbadilare, vociare nella casa di fianco, sventrata e avvolta da impalcature.
Faccio un giro nei vicoli, in attesa dell’orario di apertura. Sia nei pressi della Taverna Argo che nel dedalo dichinante dalla parte alta di Odòs Zampeliou alla banchina, qualcuno ha accumulato contorti ciocchi di legna da ardere. Forse servono per il caminetto.
Visito dapprima il Museo Marittimo. Nel cortile, una ridotta banda militare, in basco e divisa cachi (cinque ottoni, un piccolo tamburo, una grancassa, il direttore), prova, con scarso entusiasmo, qualche marcetta. Due anziani, seduti lungo la schiera di usci da caserma che si susseguono nella parete di sinistra, stanno a sentire.

Munito di mascherina, di green pass e di documento di identità, mi porto davanti al banco. La cortese funzionaria arriva, mi controlla e quindi mi porge (per i consueti 3 €) il biglietto, abbastanza grande da contenere sul retro una schematica planimetria dei due piani dell’esposizione permanente. Mi consegna inoltre un opuscoletto – in greco e in inglese – sulla fortezza di Firka, che la accoglie.
Il periodo veneziano, quello turco e quello della guerra di indipendenza. L’era bizantina. Nella sala dedicata all’Età del Bronzo, è seduta per terra una scolaresca (quinta elementare, o tutt’al più prima media, direi). L’insegnante maschio fornisce spiegazioni, presumo di natura storica, mentre la sua collega mantiene la disciplina. Vetrinette con modellini di navi dell’epoca, munite al contempo di remi e di vela. Alle pareti, incorniciate, citazioni da I Persiani di Eschilo e dall’orazione Contro Leocrate del retore Licurgo, in greco antico, greco moderno e inglese.
Nella sala in fondo, pesci palla imbalsamati, spugne di mare e conchiglie, alcune – bivalvi – di dimensioni impressionanti: ignoro dove le abbiano pescate e se fossero pericolose per chi capitava a tiro.
Una scala di legno conduce al piano superiore. Strumenti, parti meccaniche, stampe e riproduzioni in scala concernenti la marina mercantile e la tradizione nautica greca. La ricostruzione (per me un po’ claustrofobica, con quegli oblò così stretti e per di più accecabili) di un ponte di comando. La parte sulla Seconda Guerra Mondiale e sull’invasione nazista. Provo un’ondata di tristezza di fronte alle foto dei giovanissimi cadetti greci morti durante la battaglia del maggio 1941. Mi commuovono anche gli abiti da sposa o per bambina lavorati a maglia riciclando le corde dei paracadute e i sacchi per vettovaglie tedeschi. La povertà aguzzava l’ingegno di quelle donne.

I musicanti se ne sono andati. Attraverso quindi il cortile. Su una delle pietre che lo lastricano, osservo una spirale, formatasi o incisasi chissà come: ci vorrebbe un geologo, per ipotizzarlo (Nota 1). Raggiungo lo spalto e quindi salgo sulla torretta circolare che inasta la sventolante bandiera. Mi godo la magnifica visione della costa Ovest, del mare, del faro qui di fronte e della darsena.

Aggiro il bastione, supero la cosiddetta “torre genovese”, col suo agglomerato interno di agavi e fichi d’india, salgo gli scalini e arrivo alla bassa chiesa del Monastero di San Salvatore, risalente al XV secolo, in cui è ospitata la Collezione Bizantina e Postbizantina. Alla biglietteria, un garbatissimo vecchietto in uniforme nera, calvo e mingherlino, forse un impiegato ministeriale in paziente attesa della tardiva pensione. Mi fa pensare all’Akakij Akakievič di Gogol’. Eppure, anche lui mi controlla il pass col cellulare. L’ingresso costa solo 2 euro, e comprende un piccolo pieghevole a colori.

La navata (pavimento in pietra, pareti bianche di calce, archi a sesto acuto, un mihrab sulla destra, aggiunto quando il tempio cristiano fu trasformato in moschea) non è grande, per cui gli oggetti in mostra rappresentano solo una rigorosa scelta tra il materiale disponibile, rinvenuto durante gli scavi o ricevuto tramite lasciti e donazioni.
Mosaici, resti di capitelli e di lapidi, frammenti di affreschi, vasellame, gioielli, monete, icone, il tutto disposto in ordine cronologico e contestualizzato da esaurienti didascalie sui periodi storici e sulle scuole di pittura.
Ne è valsa la pena. Prima di uscire, ringrazio il custode.
Puntata 10 – segue.
Marco Grassano
Nota 1: Interpellata in proposito, una collega geologa mi ha risposto così: “Il resto della roccia e qualcuna di quelle limitrofe presentano visibili tracce organiche e impronte fossili, quindi verosimilmente sarà un’impronta di gasteropode”.