“Per quanti mai secoli a partir da oggi questa nostra scena solenne sarà nuovamente recitata da popoli ancora non nati e con accenti ancora sconosciuti!”.
Così profetizza Cassio nel III atto del Giulio Cesare (cito nella traduzione BUR di Gabriele Baldini), immergendo le mani nel sangue del dittatore appena abbattuto. E Shakespeare, con la seguente battuta di Bruto che fa riferimento all’espediente del metateatro, preconizzava un lungo – imperituro – successo per la sua tragedia.
E ha avuto ragione. Il Giulio Cesare è più vivo che mai, forse perché è più vivo che mai il fantasma di Cesare e i suoi epigoni calcano numerosi palcoscenici. Confesso di avere un debole per quest’opera del Bardo che ho visto recitare in luoghi e contesti molto diversi tra loro.
Nel teatro romano di Verona ho visto il grande Branciaroli impersonare Cesare con impermeabile e occhiali da sole e attorno al cadavere del dittatore scoppiare una guerra con tanto di elicotteri e armi automatiche. A Lisbona ho assistito alla prima rappresentazione della tragedia in portoghese, con un Antonio che urlava il suo dolore e la sua rabbia in un mare di sputi (capita, nella foga oratoria).
A Roma non mi sono perso la versione en plein air ai Fori Imperiali (dove altro inscenare il Giulio Cesare?) e quella al Globe Theatre. Ho poi attraversato mezza Italia per la versione di Silvio Giordani nell’anfiteatro romano di Urbisaglia e infine ho gustato una declamazione dei celebri discorsi di Bruto e Antonio nella chiesa di Santo Stefano Maggiore a Milano.

Non potevo dunque perdermi il Bruto in cartellone al Teatro i di Milano fino al 15 aprile. E ho fatto bene, perché lo spettacolo merita di essere visto.
Protagonista è un Bruto titubante, in giacca e cravatta, alle prese con un tic nervoso che gli fa sistemare gli occhiali sul naso con un gesto che ne accentua la caricatura. La breve versione di (e con) Alessandro Mor e Alessandro Quattro, liberamente tratta appunto dalla tragedia shakespeariana, si apre con le accorate parole con cui Cassio sollecita Bruto a guardare in faccia la realtà: Cesare aspira alla monarchia!
Ma Cassio è ricoperto da un telo bianco e disteso su un tavolo da obitorio, ad anticipare il fallimento finale della congiura. Cadrà Cesare, ma non morirà il cesarismo e il sangue chiamerà altro sangue. Bruto ripete, a se stesso essendo solo in scena, che è nato libero e preferisce morire libero, piuttosto che vivere in schiavitù: per questo ha sacrificato la vita di Cesare. Ma non pare esserne convinto e appena ode le urla della folla si rintana sotto il tavolo come un bambino, dimenticando di essere un nobile romano. 
Prova e riprova il celebre discorso che pronuncerà ai funerali del dittatore, come se fosse davanti allo specchio mentre si veste, senza però riuscire a ottenere quel tono oratorio indispensabile a commuovere e convincere gli ascoltatori (che chiama diverse volte “Italiani” con un facile richiamo all’attualità).
Sembra una pallida controfigura del già pallido Veltroni, mentre pacatamente cerca di dimostrare l’utilità, anzi la necessità, del cesaricidio per il bene comune, per il bene della democrazia. Ma poi gli sorge il dubbio che i Romani (e gli Italiani) vogliano davvero il re e che lui abbia sbagliato tutto.
E non trova di meglio che affidare al giudizio di una moneta l’ordine tra il suo discorso e quello di Antonio. Quest’ultimo non compare in scena, rimane un’ombra dietro il sipario, come in precedenza Cesare.
Quelli di Bruto e di Antonio sono due mondi che non si toccano e non possono dialogare, separati da una barriera insuperabile. Il sipario si colora di un rosso infuocato e Antonio arringa in crescendo la folla di Romani. Bruto non può che assistere impietrito allo spettacolo della vis oratoria che darà il via allo sfogo della violenza. L’appuntamento sarà a Filippi e poi ad Azio.
PS: a mio modesto parere, di fan del Giulio, come lo chiama un’amica, la celebre tirata è partita troppo sommessamente. Dopo l’inarrivabile Brando, il secondo gradino del podio della mia personale classifica rimane ancora occupato dall’attore portoghese, sputacchione ma con il talento del vero arringatore.
Saul Stucchi
Bruto
liberamente ispirato al Giulio Cesare di W. Shakespeare
Di e con: Alessandro Mor e Alessandro Quattro
Luci: Stefano Mazzanti
Suoni: Carlo Dall’Asta
In coproduzione con Residenza Idra-Teatro Inverso
In collaborazione con Teatro i
12-15 aprile 2010
Ore 21.00
Teatro i
Via G. Ferrari 11
Milano
Tel. 02.8323156