È la scena dei Troiani riusciti a rifugiarsi in città, “tremanti come cerbiatti”, ad aprire il ventiduesimo libro dell’Iliade. Vi trovano ristoro e un po’ di riposo, mentre fuori i Greci già si avvicinano alle mura. Apollo si svela ad Achille che ancora lo sta inseguendo e lo canzona, provocandone l’ira a cui però è costretto a non dare seguito. Torna invece verso Troia e Priamo lo vede avvicinarsi “splendente come la stella che sorge a fine estate”, foriera di sventure per i mortali. Dall’alto della torre il re esorta Ettore a non stare lontano dagli altri, ma anzi a rientrare in fretta in città. Teme per la sua vita e per quella dei Troiani e per sé paventa un triste epilogo, con l’onta dello scempio del suo cadavere da parte dei suoi stessi cani che con tanta cura ha allevato perché proteggessero la casa.
È giusto per un giovane morire in battaglia,
ucciso dalle armi di bronzo:
lui è sempre bello, anche quando giace morto.
Ma se i cani dilaniano la testa bianca, la barba bianca
e perfino il sesso di un vecchio che viene ucciso,
questa è la cosa più triste per gli infelici mortali (vv. 71-76).
Il padre si strappa i capelli per la disperazione, ma Ettore non cambia proposito. Allora la madre si denuda il seno e lo implora di rientrare in città, ma anche lei non ottiene ascolto. Tra sé e sé Ettore si confessa di non poter rientrare perché gli verrebbe rinfacciata la decisione di non riportare in città l’esercito, causandone la distruzione. Per un attimo pensa di andare incontro ad Achille disarmato, con la proposta di restituire ai Greci Elena e tutte le ricchezze portate da Paride, ma comprende subito che Achille lo ucciderebbe senza pietà:
questo non è certo il momento di parlare con lui
accanto a una quercia o accanto alle mura,
come un ragazzo e una ragazza che parlano tra loro.
Mentre così medita, gli si avvicina Achille e quando lo vede, Ettore si spaventa e se la dà a gambe levate, come una colomba inseguita da un falco, come un cerbiatto cacciato da un cane… I due fanno tre volte il giro della città, sotto lo sguardo di tutti gli dei.
Come nel sogno non si riesce a raggiungere qualcuno che fugge
e uno non può sfuggire all’altro, mentre l’altro non può avvicinarsi,
così Achille, correndo, non riusciva a raggiungere Ettore,
e lui non riusciva a sottrarglisi.
Quando i due giungono per la quarta volta “alle fontane”, il padre degli dei tende la bilancia d’oro e pesa i loro destini: quello di Ettore si abbassa fino all’Ade, decretandone la morte. Apollo lo abbandona, mentre Atena si avvicina ad Achille per dargli la carica, per poi prendere le sembianze di Deifobo e consigliare a suo “fratello” Ettore di fermarsi e infine affrontare Achille. Ingannato dalla dea, Ettore si rivolge al Pelide e gli propone di invocare gli dei perché siano testimoni del patto tra loro: lui infatti, se dovesse vincere, non oltraggerà il cadavere di Achille ma lo restituirà ai Greci. Achille però risponde sdegnosamente che non possono esserci patti tra loro, così come i lupi non ne fanno con gli agnelli.
Come di consuetudine il duello si apre con gli eroi che si scagliano a turno la lancia, senza però ottenere alcun effetto. Quando però Ettore si volge verso il fratello per averne una seconda, non lo vede al suo fianco e comprende di essere stato giocato da una divinità e che la sua vita è ormai giunta alla fine. Achille lo colpisce con la lancia al collo, ferendolo a morte ma lasciandogli il tempo di supplicarlo perché non abbandoni il suo corpo alla mercé dei cani. Ma anche in questo caso il figlio di Peleo ha solo parole crudeli per l’avversario ormai morente, arrivando addirittura a nominare l’abominio dell’antropofagia: “la mia rabbia e il mio furore dovrebbero spingermi a tagliarti in pezzi e ingoiarti, per quello che mi hai fatto”.
Pur ammirandone la bellezza, i Greci oltraggiano il cadavere del troiano e Achille lo lega al suo carro per i piedi, trascinandolo fino al campo acheo. I genitori di Ettore assistono allo scempio dalle mura di Troia e si abbandonano alla disperazione, mentre la moglie è ancora ignara della sua sorte. Ma quando sente i lamenti riempire la casa, abbandona il lavoro al telaio e raggiunge la torre, da dove assiste all’orrendo spettacolo. Sviene per il dolore e quando si riprende deplora il suo triste destino di vedova e quello di suo figlio Astianatte, in quelli che sono i versi più commoventi del libro, se non dell’intero poema (li riporto qui sotto).
Saul Stucchi
I versi più belli:
Il giorno che lascia orfano un bambino lo priva di tutti gli amici:
deve abbassare la testa innanzi a tutti
e le sue guance sono bagnate di lacrime.
Il bambino, che ha bisogno di tutto,
cerca gli amici del padre,
si aggrappa al mantello di uno o alla veste dell’altro,
e, se qualcuno ha pietà di lui,
gli offre per un momento una ciotola
e lascia che si bagni le labbra, ma non il palato.(XXII, 490-495)
Didascalia:
Franz Matsch
Il trionfo di Achille
Achilleion, Corfù (Grecia)
L’immagine è presa da Wikipedia
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074, 28 €
www.lalepreedizioni.com