Ἠὼς μὲν κροκόπεπλος ἀπ’ Ὠκεανοῖο ῥοάων
ὄρνυθ’, ἵν’ ἀθανάτοισι φόως φέροι ἠδὲ βροτοῖσιν·Eos mèn crocopèplos ap’Okeanòio roàon
òrnuth’ in’ àthanatòisi foòs feroi ède brotòisin…
Il poco greco che – ahimè – conosco a memoria si riduce quasi esclusivamente all’incipit del diciannovesimo libro dell’Iliade, studiato sui banchi del liceo. La foto qui sotto dà al lettore solo una vaga idea di quelle lontanissime lezioni attorno a questo libro cruciale per l’economia del poema: Achille finalmente è pronto a riprendere la battaglia.
Teti raggiunge le navi degli Achei per portare al figlio le armi appena forgiate da Efesto. Achille è preoccupato che il corpo di Patroclo possa decomporsi, ma la madre lo rassicura e subito versa nettare e ambrosia nel cadavere per conservarlo intatto. L’eroe chiama in assemblea i Greci e davanti a tutti depone la sua ira, chiedendo ad Agamennone di esortare gli Achei alla battaglia.
Da parte sua Agamennone si scusa dando la colpa del suo comportamento a Zeus, al destino e alle Erinni che gli hanno gettato nel cuore Ate, la Colpa crudele, accecandolo. E poi si dilunga nel racconto dell’inganno di Era a Zeus circa le nascite di Eracle ed Euristeo: una coda di paglia gigantesca che tenta di nascondere la propria responsabilità dietro un imbarazzato (e imbarazzante) “ma il colpevole non sono io”.
Molto più pratico è Odisseo che consiglia che i Greci si riempiano lo stomaco prima di tornare a combattere perché la battaglia sarà lunga. Achille è impaziente e vorrebbe riprendere subito lo scontro, ma Odisseo ribadisce il concetto, poi con altri si reca alla tenda di Agamennone per prendere i doni promessi dal re al figlio di Peleo.
Agamennone giura che non ha mai toccato Briseide e sacrifica un cinghiale. La ragazza piange la morte di Patroclo ricordandone la gentilezza, ma il poeta aggiunge una frase illuminante a chiusura del brano: “intorno a lei gemevano, in apparenza per Patroclo, ma in realtà ciascuna per le proprie sciagure”.
A questa prima scena ne segue una seconda simmetrica, come fosse il secondo pannello di un dittico. Qui è Achille a piangere e i vecchi con lui, ma “pensando a tutto quello che avevano lasciato nelle loro case”.
Achille arriva a considerare la morte dell’amico più dolorosa di quelle (eventuali, dato che i due sono ancora in vita) del padre e del figlio e intanto Zeus incita Atena a versare nel petto dell’eroe nettare e ambrosia perché non abbia a patire la fame.
A questo punto Achille finalmente si arma e sale sul carro. Rivolge la parola ai propri cavalli e Xanto – mirabile dictu – gli risponde! Era ha infatti donato all’animale la facoltà di parlare e di predire la morte al proprio padrone che però lo rimbrotta: non è compito suo dirgli queste cose. Povero Achille… e povero anche il cavallo!
Saul Stucchi
I versi più belli:
“L’Aurora vestita d’oro uscì dalle correnti dell’Oceano
per portare la luce agli immortali e ai mortali,
e Teti giunse alle navi con i doni del dio” (XIX, 1-3).
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com