È senza dubbio una delle mostre più spettacolari dedicate all’archeologia negli ultimi anni. La ospita la Venaria Reale alle porte di Torino fino al prossimo 31 maggio. S’intitola Egitto. Tesori sommersi e porta le firme prestigiose di Robert Wilson per quanto riguarda la scenografia e di Laurie Anderson per le musiche. Il godimento estetico è davvero notevole e per assicurarlo al visitatore gli organizzatori hanno messo in conto qualche piccolo sacrificio in termini di fruizione dei reperti esposti. Ci riferiamo per esempio alle didascalie, a volte di difficile o impossibile lettura perché posizionate troppo lontano oppure scarsamente illuminate, altre volte applicate in senso alternato sulle teche, costringendo in questo modo a un continuo spostarsi avanti e indietro rispetto alla struttura stessa che ospita gli oggetti, per capire che cosa si sta guardando.
Meno comprensibile risulta la scarsità di panche sulle quali sedersi per apprezzare il meraviglioso allestimento: qualcuna in più non avrebbe ostacolato la libera circolazione del folto pubblico e avrebbe certamente incontrato l’approvazione dei visitatori, soprattutto tra i meno giovani. In mostra sono esposti circa 500 reperti, ma l’elevato numero non deve incutere soggezione. Al termine del percorso espositivo certamente se ne saranno dimenticati molti, tuttavia si conserverà un’ottima impressione di questo viaggio nell’antico Egitto attraverso oggetti di uso quotidiano e resti di monumenti accomunati dall’unica caratteristica di essere stati recuperati dalle acque del mare.
Provengono infatti dai siti archeologici di Canopo ed Herakleion che un tempo sorgevano nelle vicinanze di Alessandria, ma che finirono per venire sommersi dalle acque nel corso dei secoli. Furono realizzati in un arco temporale molto esteso che spazia dagli ultimi secoli dell’epoca faraonica ai primi anni del dominio arabo: specchi, stendardi, corone, bracieri, amuleti, statuette, imbarcazioni ed ancore votive, unguentari, colini, cucchiai, lampade, pinze e palette, armi, lucerne, situle, campane, mortai, sigilli, chiodi, ganci, mestoli dal manico particolarmente lungo, chiamati simpula, che servivano per attingere l’acqua del Nilo, figurine di elefanti a ricordo della vittoriosa campagna di Alessandro contro il re indiano Poros, monete, gioielli raffinati in oro e miliari romani (con tanto di damnatio memoriae dell’imperatore Geta, ucciso dal fratello Caracalla).
Il prologo è la parte meno, anzi l’unica non del tutto convincente. Su un muro pasticciato con scritte in finto spray viene riportata la cronologia essenziale del periodo che interessa la mostra e sono incastonati alcuni schermi che riproducono filmati dei siti subacquei. Dopo un corridoio che ha un po’ la funzione di isolare dall’ambiente della Reggia e preparare il visitatore all’immersione, si approda davanti a una stele gigantesca di Tolomeo VIII Evergete che condivide un’enorme e luminosissima sala esclusivamente con un piccolo canopo dalle fattezze del dio Osiride.
La sala successiva è semplicemente spettacolare e ben le si addice il titolo di Foresta sommersa. Come alberi svettano infatti tre gigantesche statue in granito rosa, disposte in fila indiana: ad aprirla c’è quella di una divinità, identificata con Hapi, il dio della fertilità, seguito dal colosso di un sovrano tolemaico che precede a sua volta una regina dal seno sporgente (la didascalia spiega trattarsi di una particolarità della scultura di questa epoca).
Fanno loro compagnia altre statue di dimensioni minori, mentre una musica d’ambiente invita a rallentare il ritmo per godere dei reperti e insieme dell’allestimento. La maestria con cui i pezzi sono disposti nelle vetrine regala anche effetti molto curiosi. Può capitare infatti, come a chi scrive, di vedere dall’altra parte di una teca un visitatore fermo esattamente nella posizione giusta perché sembri “indossare” l’elmo di stile calcidico assemblato insieme a un guanciale di stile frigio.
Molto evocativa è anche la disposizione del gruppo di sfingi messe a protezione del cosiddetto Naos delle decadi: dietro un velo trapuntato, sono mirabilmente illuminate da luci soffuse che suggeriscono l’idea della profondità marina dalla quale provengono.
Ma gli occhi potranno godere anche nelle sale successive, come in quella che ospita l’Alveare delle meraviglie. In teche che ricordano appunto le celle create dalle api, mentre in sottofondo si ode un incessante martellare di strumenti da artigiani, trovano posto oggetti di uso quotidiano, come le anfore che testimoniano la fitta rete di scambi con altri popoli, a cominciare dai Fenici. Non va dimenticato che la ricchezza dell’Egitto proveniva dall’esportazione dei prodotti agricoli e che Heracleion era una dogana.
Chiude lo spettacolare percorso la statua acefala di una donna, forse la regina Arsinoe II. È scolpita nella tradizionale postura egizia, ma indossa un sensuale panneggio “bagnato” che rimanda all’estetica greca. Un pezzo di grande raffinatezza posto a suggello di una mostra indimenticabile.
Saul Stucchi
Le foto sono di Guido Fino
Egitto. Tesori sommersi
Scuderie juvarriane della Reggia di Venaria
(Torino)
Fino al 31 maggio 2009
Orari: dal martedì al venerdì 9.00–18.30; sabato 9.00–23.00; domenica 9.00–20.00; chiuso il lunedì
Biglietto: intero 10,00 €; ridotto 7,00 €
Biglietto cumulativo Mostra + Reggia: intero 17,00 €; ridotto 14,00 €
Informazioni e prenotazioni: tel. 011.4992333
www.lavenariareale.it