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Voi siete qui: Arte » A Brescia l’Egitto di Faravelli

3 Gennaio 2009 Scritto da Saul Stucchi

A Brescia l’Egitto di Faravelli

La Galleria dell’Incisione di Brescia ospita fino al 10 gennaio alcune tavole di Stefano Faravelli, realizzate per il carnet di viaggio Cercando l’Aleph pubblicato da EDT. È un’occasione da cogliere al volo perché gli originali sono straordinariamente belli.

Certo, il contributo del paese protagonista delle opere non è da poco. L’Egitto incanta viaggiatori da millenni e ormai da un paio di secoli i famigerati turisti, alla cui categoria apparteniamo tutti. Il suo fascino resiste ancora nonostante le moderne piaghe che prostrano la terra dei faraoni mettendone in pericolo i tesori. Ma in ogni tavola si respira la nostalgia per un Egitto che non c’è più, distrutto dal turismo di massa.

“Non regge il cuore alla sconfortante visione dei Colossi naufragati sul ciglio della trafficata carrozzabile per Luxor” si legge nella tavola intitolata I Colossi di Memnone. Di notte. In pace. Chissà se l’artista ha sentito la voce dei Colossi, come capitò due volte alla moglie di Adriano durante il viaggio della comitiva imperiale lungo il Nilo: lo ricorda un’iscrizione in greco su una delle due statue. Davanti alla maestosità di altri giganti, quelli del tempio di Abu Simbel, Faravelli rende omaggio a David Roberts con parole in cui lirismo e malinconia si mescolano come i colori dei suoi acquerelli raffinatissimi (l’artista scozzese è raffigurato nell’angolo in alto a destra, nella tavola intitolata Abu Simbel; si veda l’illustrazione qui sopra). Faravelli si inserisce – e ne è perfettamente consapevole – in una lunga teoria di artisti meravigliati dall’Egitto. Le sue tavole sono prima di tutto debitrici nei confronti di quell’immortale capolavoro dell’editoria che è la Descrizione dell’Egitto curata da Vivant Denon. Come i Savants al seguito della spedizione di Bonaparte, Faravelli disegna animali, piante, dettagli architettonici dei templi che visita. Ma a differenza dei suoi illustri predecessori, non ha l’ansia dello scienziato preoccupato di registrare tutto quello che la generosa natura gli squaderna sotto gli occhi, dal più piccolo e curioso degli insetti al micidiale coccodrillo. Si concentra piuttosto sugli elementi ai quali il suo sguardo riconosce una speciale particolarità e a volte ricorre all’incollaggio di souvenir dalla forte potenza evocativa. La Vista del Nilo ad Aswan, per esempio, è impreziosita da una penna di martin pescatore. Altrove sono incollati piante, scatole di fiammiferi, biglietti, francobolli, nel rispetto della tradizione dei carnet di viaggio. Ma non c’è solo la natura del Nilo e del deserto nelle tavole di Faravelli. Ecco il vecchio Nagib Mahfuz, patriarca degli scrittori egiziani (Nobel per la letteratura nel 1988, scomparso nel 2006), e i bar e i vicoli cairoti immortalati nei suoi romanzi.

E in un’altra tavola il protagonista è il poeta “alessandrino” – nella duplice accezione del termine – Costantino Kavafis di cui Faravelli visita la casa-museo annotando sconsolato: “Il museo ha ucciso la casa, svanita l’oikias, restano le cose, ma senza calore”. Alessandria compare ancora in un altro originale esposto in mostra. L’artista annota una confessione intima: “Vado alla ricerca del fatale profumo di Justine: Jamais de la vie. Nella bottega del profumiere El Dib mi imbatto negli occhi più belli che abbia mai visto”. Il quadro più grande raffigura l’esploratore francese René Caillé mentre sogna il suo arrivo a Tombuktu, rappresentata come una Lhasa del deserto, cittadella turrita sulla cima di una collinetta verso cui si muove stancamente una carovana di dromedari sotto un incredibile cielo blu striato da nuvole bianche. E poi ci si sofferma davanti alla tavola intitolata Dono della giraffa Nizam, la cui didascalia – dipinta sulla tavola – recita: “Il regalo del soldano della Sublime Porta al primo console Napoleone fu una caraffa femina di anni 7 che rispondeva al nome Nizam”. In Aux rêves citoyens alla spedizione egiziana di Bonaparte Faravelli rende omaggio con un tocco di ironia: il dromedario del Generale in Capo (ma già Imperatore, come si indovina dal monogramma sormonanto dalla corona) sogna un croissant, mentre il tamburino di colore sogna il tricorno di Napoleone.

Fino al 30 gennaio la Galleria ospita anche, al primo piano, un’esposizione di opere di Jonathan Janson, artista americano debitore di Vermeer. I suoi soggetti sono presi dalla vita quotidiana di Seattle, la città in cui vive: ecco il figlio con berretto e pallone da basket, giovani davanti alla TV o al computer, le strade innevate e le villette delle colline, in uno spiazzante contrasto tra l’illuminazione fiamminga e la modernità – e banalità – dei soggetti.
Saul Stucchi

Stefano Faravelli
Cercando l’Aleph

Jonathan Janson
Inside and Outside

Galleria dell’Incisione
via Bezzecca 4
Brescia
tel. 030.304690

Orario: 17.00-20.00; chiuso il lunedì

Informazioni: www.incisione.com
www.stefanofaravelli.it
www.edt.it

Didascalie:

  • Stefano Faravelli
    Abu Simbel
    2008
  • Stefano Faravelli
    Alessandria (part.)
    2008
  • Stefano Faravelli
    Aux rêves citoyens
    2008
    Acquerello e tempera su carta
    cm 37,5×44,5
  • Jonathan Janson
    Young Girl in Blue
    2008
    Olio su tela
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