Recensione del film “Duel” di Steven Spielberg (1971).
Con “Duel” di Steven Spielberg chiudiamo il capitolo dedicato alla “New Hollywood” (vedi “Easy Rider” e “Harold e Maude”). Abbiamo detto, nelle puntate precedenti, che anche nel cinema si avverte l’aria di cambiamento che sta attraversando la società statunitense. È appena passato il Sessantotto e nuove idee e nuovi valori si sono fatti largo in un mondo sull’orlo della crisi.
E, nuovi sceneggiatori, nuovi registi, nuovi attori. Tra di essi, un ventiquattrenne che nel giro di pochi anni diventerà il “re Mida di Hollywood”: Steven Spielberg.
Quando scrivo “re Mida”, non lo scrivo a caso. Secondo la rivista “Forbes”, il nostro avrebbe oggi un patrimonio di oltre 4 miliardi di dollari e si collocherebbe all’incirca al 450° posto tra gli uomini più ricchi del mondo.

Su Spielberg (classe 1946) e sui suoi innumerevoli successi al botteghino – e spesso anche di critica – si potrebbe parlare per ore. Mi accontento di qualche annotazione.
La carriera di Spielberg
Il suo primo cortometraggio, nel 1968, è stato “Amblin” e da questo prende il nome la sua prima casa di produzione cinematografica: la Amblin Entertainment.
Il primo lungometraggio ufficiale porta il titolo di “Firelight” (1964), film d’avventura scritto e diretto da Steven quando aveva 17 anni, con un budget di 500 dollari. Racconta il regista che, per la proiezione nel cinema locale (il Phoenix Cinema), il biglietto era di un dollaro. Assistettero alla proiezione 500 persone, ma – probabilmente – qualcuno pagò due dollari, visto che il guadagno alla fine fu di un dollaro.
Da allora, Spielberg ha firmato (solo per citare qualche titolo): “Lo squalo”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “I predatori dell’arca perduta” (con i tre seguiti), “Jurassic Park”, “Schindler’s List”, “Salvate il soldato Ryan”, ecc…
Ha vinto due Oscar e, nel 1993, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera.
Il regista americano è anche sensibile da sempre ai temi del razzismo, della Shoah e della discriminazione, come dimostrano diversi suoi film che fanno riferimento a questi argomenti.
“Duel” nacque per la TV
Ma veniamo a “Duel”. Cominciamo col dire che il debutto (o quasi) di Spielberg nasce da un film per la televisione. Anche se girato per il piccolo schermo, lo stile è decisamente cinematografico. Rappresenta un grande esempio di tecnica, di montaggio e di ritmo, nonostante il piccolo budget a disposizione e l’ancor più scarso tempo concesso. Al regista vennero accordati dieci giorni per consegnare il lavoro completo: Spielberg sforò e “Duel” fu partorito dopo (ben) 13 giorni…
La storia è tutta incentrata su un viaggiatore di commercio che, mentre con la sua auto torna verso casa, diventa oggetto di persecuzione da parte di un camion del quale non si vedrà mai il conducente.
Racconta lo sceneggiatore Richard Matheson che l’idea gli era venuta mentre, tornando a casa dal golf, si era accorto di essere seguito da un grosso automezzo. Aveva quindi proposto il soggetto alla televisione, ma non era stato accettato. Ne fece allora un racconto pubblicato su Playboy. La Universal pensò di farne un film e Matheson ne stese la sceneggiatura: “Volevo solo una storia di suspence”.
Cercando di esaudirlo, Spielberg realizza un lavoro che – secondo gli insegnamenti di Hitchcock – tiene il pubblico sulle spine senza dargli tregua: sceglie il camion fra sette, perché, secondo lui, ha un vero viso; decide di non mostrare l’autista, in modo da suscitare più paura; realizza tutto in esterni, senza passare da uno studio.
Il significato
Per la parte tecnica, mi limito a dire della colonna sonora e del montaggio. Il regista americano non voleva una classica musica da film e Billy Goldenberg si è attenuto alle sue richieste: ha usato anche strumenti tribali africani, oltre che suoni vari per accrescere il clima di tensione della vicenda.
Il montaggio: con pochi giorni a disposizione, Spielberg fece ricorso a ben 5 montatori per restare nei tempi prestabiliti.
E ora l’aspetto più importante di “Duel”: il significato. Quando ho cercato di documentarmi, ho letto di tutto e di più sulla metafora del camion che -apparentemente senza motivo – tormenta il protagonista.
C’è chi ha scomodato la Bibbia: il protagonista David Mann (man: uomo, uomo qualunque) rimanda all’epico scontro tra Davide e Golia; chi ha parlato di una parabola fantascientifica sulla solitudine dell’uomo nel suo viaggio esistenziale, facendo diventare il duello esterno un conflitto interiore; chi ha voluto vedere nell’autocisterna la personificazione della morte e di conseguenza il viaggio di David nelle strade deserte della California, come una discesa agli inferi; e c’è anche chi ha visto nel film un atto di accusa nei confronti dei sacri miti dell’american way of live.
Ho lasciato per ultime, però, le due interpretazioni più suggestive, entrambe di natura letteraria. Secondo la prima, Spielberg riprende la storia di “Moby Dick” di Hermann Melville, attualizzandola e sostituendo alla balena bianca di Achab il rombante mostro stradale.
E, poi, Kafka. Tutta la storia conserva qualcosa dell’angosciante mondo dello scrittore praghese. Il protagonista non sa di quale colpa si sia macchiato (vedi “Il processo”) e cerca per tutto il film una spiegazione razionale. Caro David, la colpa è nel nostro stesso esistere.
Note e curiosità
“Duel” è stato girato per la televisione e la sua durata era di 74 minuti. Quando, sulla scia del successo in TV, si pensa di adattarlo per le sale cinematografiche, vengono aggiunte alcune scene, per arrivare alla lunghezza di 90 minuti.
Il film venne esportato in Europa ed è rimasto famoso l’incontro a Roma tra il giovanissimo Spielberg e Federico Fellini, suggellato da una salda amicizia.
Anche Steven Spielberg, come molti altri registi, non disdegna di apparire in piccole sequenze nei suoi film. La particolarità, in questo caso, è che lo si può vedere (con un po’ di sforzo) quando in pieno deserto, in una stazione di servizio, i vetri della cabina telefonica riflettono il regista che sta controllando dei fogli e che quindi non pensava proprio di entrare nell’inquadratura.
A proposito della stazione di servizio, la stessa benzinaia (Lucille Benson) ritorna nel film “1941 – Allarme a Hollywood”, nella scena in cui, uno stralunato John Belushi le chiede di fare il pieno al suo aereo atterrato lì.
Le citazioni che riguardano “Duel” sono numerose. Ne ricordo solo un paio. Nel numero 153 di Dylan Dog, il protagonista è perseguitato da un misterioso camion (si scoprirà che il misterioso guidatore non è altri che “la Morte”). Nell’album “Till We Have Faces” di Steve Hackett, il brano “Duel” è chiaramente ispirato al nostro film.
Infine, solamente per scrupolo, devo precisare che il camion è un “Peterbilt 281” del 1955, mentre l’auto del protagonista è una (allora) comunissima Plymouth Valiant del 1970. Aggiungo che Spielberg scelse il colore rosso, perché potesse ben fare contrasto con il paesaggio desertico.
L S D
Duel
Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Dennis Weaver, Carey Loftin, Eddie Firestone