Perché non racconto (quasi) mai la trama di un film? Prendiamo come esempio la pellicola “Professione: reporter” di Michelangelo Antonioni (1975).

Per cause fortuite, un uomo ha la possibilità di prendere l’identità di un altro. La assume, con tutto quello che ne consegue. Tema trattato tante volte, in tanti film. Quindi, cosa fa la differenza? Il modo in cui viene raccontato.
Antonioni non ci spiega perché il suo protagonista voglia cambiare vita: ci porta in “medias res”, nel mezzo di una noia esistenziale del personaggio, senza aggiungere nulla di più. Per parlare del male di vivere, utilizza una facciata da film d’avventura, ma poi si interessa d’altro, evitando proprio ciò che ci si aspetterebbe di vedere leggendo la trama.
Assistiamo a una rarefazione delle azioni, del movimento, della narrazione: i personaggi non si distinguono più dai luoghi desertici che attraversano, quasi una metafora del deserto che è la condizione umana.
[codice-adsense-float]Professione: reporter ha la struttura di un giallo, di un poliziesco avventuroso, ma, mentre questo genere di pellicole sono solitamente concitate, piene di scene spettacolari, il regista asciuga la narrazione e stringe la sua storia in una ripresa priva di colpi di scena, di suspense. Sviluppa il tema della sparizione, dell’assenza, quello dell’errare senza meta e della fuga come progetto impossibile: sono evidenti i richiami a Rimbaud, Moravia, Sartre, Camus e Pirandello.
Per raccontare l’anima dei personaggi, un apporto fondamentale viene dato dai luoghi diversi e particolari in cui si snoda la storia, e – soprattutto – dalla fotografia, curata da Luciano Tovoli (alla sua prima collaborazione con il maestro ferrarese).
Il film termina con circa otto minuti di piano-sequenza*, citati in tutte le antologie del cinema. Antonioni aveva sperimentato e sperimenterà ancora questa modalità nei suoi lavori.
In “Professione: reporter” fa iniziare la sequenza dalla camera d’albergo (al piano terra del paesino ove quest’ultimo si trova) e poi, con un lento e progressivo movimento, la macchina da presa passa attraverso le sbarre della finestra stessa, prosegue sulla strada (ove nei minuti seguenti avvengono cose significative), per poi rientrare nell’albergo e raggiungere di nuovo il letto su cui giace il protagonista.
Michelangelo Antonioni (1912 –2007), oltre che uno dei più grandi registi della storia del cinema, è stato anche sceneggiatore, montatore, scrittore e pittore. Dopo la cosiddetta trilogia sull’incomunicabilità (“Il grido”, “L’avventura” e “Deserto rosso”), gira dei film fuori dall’Italia: “Blow up”, “Zabriskie Point” e “Professione: reporter”, nei quali affronta, oltre al disagio esistenziale, anche la crisi della modernità.
Il 20 dicembre 1985 viene colpito da un ictus che lo priva quasi completamente dell’uso della parola e che lo lascia paralizzato dal lato destro. Ha vinto con i suoi film il Leone d’oro (a Venezia), la Palma d’oro (a Cannes), l’Orso d’oro (a Berlino) e vari altri premi, tra cui un Oscar alla carriera.
Illuminante è quanto scrive di lui un altro grande regista, il francese Alain Resnais:
Nei suoi film abbiamo l’impressione che ci sia molto silenzio. I dialoghi in effetti sono meno importanti delle immagini, sono là per dare l’impressione, per così dire, che non si tratta di un film muto. Questo grande regista è un sottile analista dei sentimenti (si scala una montagna, si raggiunge una pianura, e ci si accorge che ci sono altre montagne da scalare…). Non è un pensatore, è un poeta. Quello che mi colpisce di più non è soltanto la maestria formale dei suoi film, è soprattutto l’intensa emozione che mi comunicano. Si è detto a volte che Antonioni è di ghiaccio: trovo che non sia affatto freddo, al contrario quel ghiaccio brucia.
Nota: Il programma televisivo “Report” è derivato da questa pellicola. Infatti, Milena Gabanelli (laureata in storia del cinema), nel 1994 è stata scelta da Giovanni Minoli come conduttrice di un programma sperimentale (“Professione Reporter”, su Rai 2) e dal 1997 è passata a “Report”, che ha condotto fino al 2016.
Curiosità: Il giorno della morte di Michelangelo Antonioni (il 30 luglio 2007), è lo stesso giorno in cui scompare anche il regista svedese Ingmar Bergman.
* Il termine è stato coniato dal celebre critico cinematografico francese André Bazin, uno dei fondatori della famosa rivista “Cahiers du cinéma”, rivista che ha dato il via alla “Nouvelle Vague”. Con l’espressione “piano sequenza” si intende una sequenza in genere abbastanza lunga, senza alcun stacco di montaggio e senza nessun fermo della macchina da presa.
L S D
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