
Luglio offre l’occasione giusta per ricordare i buoni propositi formulati all’inizio dell’anno. La mia lista personale comprendeva (e tutt’ora comprende, dato che in pratica nessuno ne è stato spuntato) lo studio dello spagnolo, imparare a fare la pasta in casa, tornare ai 75 chilogrammi di un paio di decadi fa (obiettivo in palese conflitto col precedente) e leggere l’Iliade per intero.
Sì, perché l’Odissea l’ho viaggiata dall’inizio alla fine, ma il poema di Ilio lo conosco per sommi capi, alcuni libri meglio di altri, ma non ho mai avuto la costanza di leggerlo dal “Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta” agli onori resi alla salma di Ettore.
Il motivo della scelta
Ma perché proprio l’Iliade e non un altro classico, che so, Guerra e pace o La montagna incantata?
Rispondo citando un vecchio articolo di Beniamino Placido (la sua mancanza si fa di anno in anno sempre più pesante), pubblicato su La Repubblica del 25 febbraio 1996 e intitolato “Leggo Omero. C’è qualcosa di meglio?”.
Il giornalista ricordava come aneddoto la risposta che una disegnatrice di gioielli di New York aveva dato all’International Herald Tribune su cosa stesse leggendo al momento: “L’Iliade, naturalmente”. Ma perché “naturalmente”? Risposta: “Se si può leggere una cosa perfetta perché mai accontentarsi delle mediocrità?”. Avevo già in mente questo articolo, quando ho avuto l’idea di scrivere una recensione a puntate dell’Iliade nella nuova (2010) versione edita da La Lepre. Poi sabato, sfogliando in spiaggia il femminile Io Donna del Corriere della Sera, mi sono imbattuto in un articolo di Giulia Calligaro con alcune proposte di lettura per quest’estate. Ecco cosa dice Teresa Cremisi, presidente e direttore della casa editrice francese Flammarion: “consiglio l’Iliade.
Ci sono tutti i grandi temi dell’Occidente: l’amore, la bellezza, la guerra, ma soprattutto il destino e i suoi capricci. Nessuno spazio per il rimorso e per la nostalgia”. Cos’altro leggere quest’estate?!

Dunque
Dea, canta per me l’ira di Achille,
quell’ira distruttrice che arrecò ai Greci infiniti dolori,
che gettò nell’Ade tante forti vite di eroi
e lasciò i loro corpi in preda ai cani e a tutti gli uccelli rapaci
per citare il poema nella traduzione di Dora Marinari, a cui si accompagna il commento di Giulia Capo (avremo più volte occasione di parlarne nelle prossime puntate).
Cosa colpisce maggiormente nella lettura di questo celeberrimo primo libro?
Più che l’ira di Achille, la violenza verbale a cui si abbandonano i due contendenti, il figlio di Peleo e quello di Atreo.
Achille e Agamennone sostituiscono le armi con le parole e questa può essere considerata “la prima lezione politica” dell’Iliade: la comunità, per conservarsi, deve poter risolvere i propri problemi verbalmente; in caso contrario perderebbero tutti. E allora Agamennone dà del “profeta di sventure” al vecchio Nestore e Achille gli risponde per le rime chiamandolo “re mangiapopolo”.
L’Olimpo appare fin dall’inizio specchio (pur se deformato) della realtà umana e in questo primo libro ospita la violenta battaglia di parole tra Zeus ed Era. Finisce però, almeno per il momento, con un lauto banchetto e poi tutti a nanna.
Saul Stucchi
I versi più belli:
“Discese [Apollo] adirato dai monti dell’Olimpo,
con l’arco sulle spalle e la faretra piena:
agitato dall’ira, i dardi risuonavano sulle sue spalle,
e lui scendeva scuro come la notte,
e un orribile suono uscì dall’arco d’argento”. (I, 44-49)
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com
DIDASCALIA:
Arazzo con la raffigurazione della scena della collera di Achille, appeso nella hall dell’Hotel Le Plaza di Bruxelles. Ringrazio l’Ufficio Belga per il Turismo Bruxelles-Vallonia per la cortese ospitalità
www.leplaza-brussels.be
www.belgioturismo.it