Una tropicale nottata brianzola passata a rigirarsi nel letto consente di immedesimarsi senza alcuno sforzo con il disagio che Zeus patisce a inizio del secondo libro: l’insonnia. Il pensiero di come vendicare Achille lo tormenta per tutta la notte, mentre gli altri dei se la dormono beati (è il caso di dire). E allora che fa il padre degli dei? Invia il Sogno Ingannatore a molestare il sonno di Agamennone, facendogli prendere le sembianze di Nestore. Quello vero, una volta radunata l’assemblea, dà fiducia al sogno di Agamennone, prendendo un granchio colossale (nei primi libri il saggio Nestore non è che faccia proprio una bella figura… e i suoi consigli, pur lodati, spesso non vengono seguiti). Tra i protagonisti del libro c’è senza dubbio Tersite, personaggio veramente “rivoluzionario” non soltanto dell’epica, ma di tutta la letteratura classica, tanto da diventare il prototipo del “criticone”.
A ben leggere, però, Tersite muove ad Agamennone le stesse accuse di Achille, ma non ne ha – ahilui – né l’autorità né la prestanza fisica, il tanto apprezzato già allora physique du rôle. È brutto e sgraziato: dunque ha torto! L’assemblea, con un comportamento che verrà seguito infinite volte nei secoli a venire, tiene un atteggiamento conformista. Prima sono tutti pronti a fuggire, poi si gettano a denigrare il povero Tersite, colpevole soltanto di avere espresso a voce quanto tutti pensavano.
I Greci erano confluiti all’assemblea
come i densi sciami delle api,
che escono, sempre nuovi, dalla cavità di una roccia
e volano a grappoli sui fiori primaverili,
e le api vanno alcune di qua, altre di là,
così le schiere dei combattenti, uscendo dalle navi e dalle tende,
si allineavano lungo la vasta spiaggia per l’assemblea.
Nel suo commento Giulia Capo nota che
il ragionare per similitudini fa parte proprio del modo di pensare dei personaggi dell’Iliade: e il riportare la vicenda di cui si parla ad una più vasta, o più comune, o più forte esperienza, rientra nella logica del poema, il quale dal particolare tende al generale e racconta una cosa minuta non perdendo mai di vista una dimensione cosmica.
Ripresa in mano la situazione, grazie all’intervento da buttafuori di Odisseo, Agamennone invita i migliori al sacrificio. Il fratello Menelao, invece, vi arriva autómatos, ovvero “spontaneamente” (su questo passo rimando al bel saggio di Maria Luisa Catoni, Bere vino puro, edito da Feltrinelli, in particolare alle pagine dedicate agli “esclusi” dal simposio: 33-46).

La seconda metà del libro, introdotta da una nuova invocazione alle Muse, è tutta dedicata al catalogo delle navi achee e, nel campo avverario, dei Troiani con i loro alleati. È una sorta di who’s who della guerra di Troia.
Gli specialisti e gli appassionati di storie minime vi trovano tesori racchiusi in un emistichio. Tre versi, invece, dedica il poeta a Nireo, il più bello dei Greci. Date un’occhiata al testo greco a piè di pagina: Omero ha messo il suo nome per tre volte a inizio del verso, a dargli il massimo risalto! “Anfimaco – da parte sua – andava a combattere coperto d’oro come una ragazza”; Adrasto e Anfio non vollero ascoltare i moniti di loro padre, l’indovino Merope, e trovarono la morte in battaglia. Neppure l’augure Ennomo riuscì a stornare da sé il nero destino di morte.
Saul Stucchi
I versi più belli:
“Come le tante schiere di uccelli,
di oche, di gru o di cigni dal lungo collo,
nelle praterie dell’Asia, intorno al fiume Caistro,
volano qua e là, superbe delle loro ali,
o si abbassano schiamazzando, e la prateria ne rimbomba,
così le tante schiere dei Greci accorrevano dalle navi e dalle tende
nella pianura dello Scamandro,
e sotto i loro piedi, e sotto i piedi dei loro cavalli,
la terra risuonava minacciosa”. (II, 459-466)
Omero
ILIADE
Traduzione di Dora Marinari
Commento di Giulia Capo
Prefazione di Eva Cantarella
Con testo greco a piè di pagina
La Lepre Edizioni
2010, pp. 1074
28 €
www.lalepreedizioni.com