Seconda parte del reportage di Laura Baldo su Varsavia. La prima parte era dedicata all’introduzione storica su Varsavia città ribelle.
Il giorno dopo, 31 luglio, lo passo quasi tutto nel Museo della Rivolta (Muzeum Powstania Warszawskiego). È probabilmente il museo più grande e interessante di Varsavia (ma ci sono anche il bel Museo Nazionale, il Museo del Castello, che tra le altre cose vanta due Rembrandt, e il Polin, il museo degli ebrei polacchi, solo per citarne alcuni).
Il Museo della Rivolta
Nato solo da una quindicina d’anni, raccoglie tutte le testimonianze sulla rivolta, non solo foto o oggetti, ma addirittura i suoni. Si può avvicinare l’orecchio a dei fori nel muro e sentire i rumori degli spari, i comunicati delle radio clandestine, le canzoni cantate dagli insorti. Ci sono tantissimi filmati interattivi, c’è una ricostruzione di un condotto fognario, una riproduzione a grandezza naturale di un Liberator B-24 americano, che nonostante la superba mole e la potenza ha recato ben poco aiuto, quand’era ormai troppo tardi.
Le immagini, le luci e i suoni, tutto è disposto per creare un’esperienza emozionale, non solo intellettuale. Viene ricostruita la vita della città sotto assedio giorno per giorno, con un settore per ogni argomento: il cibo, l’acqua, le comunicazioni, le armi.
Mi do al massimo tre ore, ma finisce che ce ne passo cinque, ed esco solo perché sono le 18 e il museo sta chiudendo. Un’esperienza unica, da fare assolutamente se si va a Varsavia, non solo per imparare qualcosa di una storia che per noi è quasi sconosciuta, ma per capire meglio il Paese che stiamo visitando, l’anima dei suoi abitanti.
Unico neo: c’era davvero tantissima gente, ho fatto mezz’ora di fila per entrare, un’altra mezz’ora per l’audioguida in italiano (senza vi perdereste gran parte del museo, anche se ci sono le didascalie in inglese). Consiglio come minimo di prenotare i biglietti prima, ma andateci. Assolutamente. Una piccola nota in più: da noi il biglietto per un museo del genere costerebbe 10 o 15 euro, qui ne costa meno di 5.
Il cimitero militare
Il primo agosto, giorno d’inizio della rivolta, il cielo è terso e l’aria in città sembra più frizzante, ma forse sono io che mi sono fatta contagiare. Lo comincio con una visita al cimitero militare, nella periferia nord. Potrebbe sembrare un’attività cupa da fare in vacanza: niente di più sbagliato.
L’entrata straripa di bancarelle e di fiori bianchi e rossi, come per una festa. Il cimitero è un luogo bellissimo: stradine ordinate, panchine, grandi alberi a fare ombra, scoiattoli (sì, scoiattoli, con una grande coda rossiccia) in mezzo ai sentieri, che scappano via solo quando ti avvicini troppo. In sottofondo c’è una musica di pianoforte, tranquilla ma non malinconica, e dappertutto c’è profumo di fiori. Più che un cimitero sembra un giardino.

Nel settore dove si trovano i soldati e civili morti durante l’occupazione tedesca e la rivolta ci sono diverse persone, tra cui forze dell’ordine e scout. Molti mettono lumini, gladioli, strisce e coccarde bianco-rosse (come quelle che gli insorti indossavano al braccio o sul berretto) sulle tombe. C’è una bella atmosfera, solenne ma nient’affatto triste.
Io passeggio per i viali, mi soffermo un po’ davanti alle tombe dei Ranghi Grigi (i giovanissimi scout), distinguibili perché al posto delle lapidi hanno dei semplici tronchi di legno sottili incrociati, tutti ornati da fiocchi bianco-rossi. Qui accanto c’è anche la tomba di due giovani poeti che combatterono e morirono nella rivolta, trovando anche il tempo di scrivere delle struggenti poesie: Krzysztof Kamil Baczyński e Józef Andrzej Szczepański, entrambi nel battaglione “Parasol”.

Mi pento di non aver portato un fiore, qualcosa, ma ci sono già diverse persone che si danno da fare intorno alle tombe, e io, che probabilmente sono l’unica turista qui, mi sento un po’ di troppo. Quindi rivolgo solo un silenzioso ringraziamento a quei ragazzi, per averci ricordato che anche in mezzo agli orrori più terribili la bellezza è sempre viva nel mondo.
La prigione di Pawiak
Esco dal cimitero rinfrancata, con un profondo senso di pace. Fuori, su una delle bancarelle, compro una bandierina bianco-rossa con la kotwika, e me l’aggancio alla borsetta. Quando incrocio un bambino con la stessa bandierina, ci sorridiamo.
Continuo il mio pellegrinaggio storico a Pawiak, la più famigerata prigione nazista a Varsavia. Ne è rimasto solo il basamento, dentro cui c’è un piccolo museo, dove si può farsi un’idea di com’erano le celle e la vita lì. Fuori, nel cortile, un tempo c’era un grande olmo, che è stato sostituito da una copia in ferro. A esso sono appesi i nomi dei prigionieri lì detenuti.

Una breve pausa per mangiare, al ristorante Elixir, di fianco al Teatro Nazionale, dove finalmente riesco ad assaggiare uno żurek (la zuppa più famosa) davvero ottimo, peccato solo che la porzione sia piccola. Zuppa, birra e caffè mi costano circa 10 euro, anche se è considerato un ristorante di lusso.

Mi dirigo quindi nella parte sud del centro città, oltre Aleje Jerozolimskie, l’arteria principale che la taglia in due da ovest a est. In corso Szucha 25, in un grande edificio ministeriale, c’era la sede principale della Gestapo. Anche qui c’è un piccolo museo dedicato alle vittime: sono state ricostruite alcune celle, un ufficio, ci sono le testimonianze di quanti passarono di qui, a volte per non uscirne più, o per finire in un lager.
Il parco Łazienki

Concludo il pomeriggio al parco Łazienki, lì vicino. È uno dei più grandi parchi della città – Varsavia è per un terzo composta di giardini- e uno dei più belli. Ci sono laghetti, padiglioni, un piccolo palazzo barocco. Io arrivo fino alla spianata dove c’è il monumento a Chopin (il compositore nazionale). Qui, nelle domeniche estive, si tengono dei concerti all’aperto gratuiti, a cui purtroppo non riuscirò ad assistere.

Mi siedo qualche minuto a mangiare un pączki (pronuncia ponciak), una sorta di krapfen locale, ma grande il doppio, ricoperto di glassa e ripieno di marmellata di rose. Buonissimo.
In quel momento risuona una sirena, e poco dopo tutte le campane della città: sono le 17, il momento preciso dello scoppio della rivolta. Le campane suonano per un minuto, durante il quale tutto si ferma (tranne i turisti, molti dei quali non sanno nemmeno che succede). Mi piace molto che tutta la città si fermi, per commemorare qualcosa successo ben 75 anni fa. Non è il tempo passato che conta, ma il significato. Le campane, la bellezza del giardino, il sole, tutto si mescola a creare una sensazione unica: amo questa città ogni momento di più.
Poco dopo ritorno all’appartamento per cambiarmi. Stasera infatti mi aspetta un evento speciale.
Seconda parte – continua
Prima parte: Varsavia città ribelle
Laura Baldo
Laura Baldo è nata a Trento, dove vive tuttora. Ha iniziato da poco a scrivere, pubblicando racconti in antologie e online. Ha scritto anche dei romanzi, due dei quali ambientati durante la seconda guerra mondiale: “Il lato sbagliato del cielo” e il romance “Per odio o per amore”, attualmente finalista al concorso Kobo-eLove talent. Nel primo, Varsavia fa da sfondo all’incontro/scontro dei due protagonisti; nel secondo, ambientato interamente in Polonia, alcuni capitoli cruciali si svolgono durante la Rivolta. Dopo aver svolto le sue ricerche sui libri e online, ha sentito il desiderio di conoscere questi luoghi personalmente e assorbire l’atmosfera che vi si respira.
Didascalie:
- uno scoiattolo al cimitero militare
- la tomba di Krzysztof Kamil Baczyński e di sua moglie, sullo sfondo quelle dei Ranghi Grigi
- l’ingresso del museo di Pawiak, col grande olmo in ferro
- l’ingresso di aleja Szucha 25, ora sede del Ministero dell’Educazione, oltre che del Museo della lotta e del martirio
- il palazzo sul lago nel Parco Łazienki
- il monumento a Chopin