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Voi siete qui: Europa » Viaggio in Baviera: visita al campo di Flossenbürg

20 Gennaio 2021 Scritto da Laura Baldo

Viaggio in Baviera: visita al campo di Flossenbürg

Seconda puntata del reportage di Laura Baldo sui campi di concentramento della Baviera.

Il percorso per arrivare a Flossenbürg coi mezzi pubblici è piuttosto lungo, ma fattibile in mezza giornata: da Monaco di Baviera si prende il treno per Norimberga, da lì quello per Weiden in der Oberpfalz, e fuori dalla piccola stazione di Weiden parte la corriera che, dopo infinite svolte tra boschi di abeti e colline, nel primo pomeriggio mi lascia davanti al memoriale dell’ex campo di concentramento.

Campo di Flossenbürg: la Kommandantur

Dopo la guerra il campo fu usato come rifugio temporaneo per le cosiddette displaced persons: ebrei, polacchi e russi che non avevano più una casa o — vista l’aria che tirava — non volevano tornarci. Dagli anni Cinquanta il posto fu abbandonato e usato da aziende private. Dove prima sorgevano le baracche, sono state costruite file di variopinte casette private (non so voi, ma io non vorrei mai abitare dove prima sorgeva un campo di prigionia, mi fa venire in mente quei film horror di serie B dove la gente va a vivere sopra antichi cimiteri indiani).

All’arrivo rimango attonita nel non vedere nessun custode: il sito è aperto ma non si paga l’ingresso e pare quasi abbandonato. Pur essendo l’inizio di aprile, il cielo è grigio cupo e minaccia tempesta. C’è la nebbia e fa anche un freddo cane, che non mi aspettavo, e batto i denti nella felpa (la cosa più pesante che ho preso con me).

Nei giorni seguenti scoprirò che da queste parti sta nevicando, e la temperatura è di poco sopra lo zero. In più è lunedì, quindi oltre a me gli unici visitatori sono i ragazzi di una scolaresca, rumorosi e stonati nel contesto. Per fortuna stanno andando via, ma l’effetto del luogo vuoto è ancora più strano.

La cucina e la lavanderia

Dopo essere passati sotto l’edificio dell’ex Kommandantur, si attraversano i due pilastri che un tempo sostenevano il cancello, e che sono stati ricostruiti. Oltre si apre il grande piazzale dell’appello e, sui due lati, gli unici edifici in pietra del campo: la cucina e la lavanderia.

Campo di Flossenbürg: ingresso

Inizio dalla cucina, che però mi delude un po’, perché non c’è molto da vedere dentro: qualche bacheca con gli oggetti ritrovati (tra cui bottiglie di coca-cola e sigarette Chesterfield, segno inequivocabile del passaggio degli americani) e i registri dei prigionieri stilati dopo la liberazione. Il resto dello spazio è occupato da mostre temporanee. Per me, che qui ho ambientato la scena di un romanzo, è comunque utile.

Attraversata la piazza dell’appello, entro nella lavanderia, che a quei tempi rappresentava il primo impatto dei nuovi arrivati con il lager: qui si svolgeva la disinfezione dei vestiti, la rasatura e la doccia. Nel seminterrato si possono ancora vedere i locali originali, mentre al piano terra e al primo è stata allestita la parte più interessante del Museo.

Il locale docce del Campo di Flossenbürg

Ci sono moltissimi pannelli con le storie dei detenuti: chi erano, da dove venivano, perché sono stati arrestati, cosa ne è stato di loro. I pannelli sono in tedesco, ma c’è la traduzione inglese (se non sapete nessuna delle due lingue ci capirete poco). Ci sono i documenti di registrazione dei prigionieri, che sono a loro modo affascinanti perché oltre al colore di occhi e capelli si registravano cose come la grandezza del naso, della bocca o delle orecchie, o se mancavano denti.

I documenti raccontano

Altra cosa interessante è che il peso non c’è mai (c’è un generico “nella media”), perché quasi sempre era scarso, specie dopo settimane di detenzione. Oltre alle storie delle persone, ci sono anche quelle del campo, delle fabbriche annesse (qui si costruivano parti di aeroplani); c’è il registro originale di ingresso, e anche questo dice moltissimo: il primo registro bastò per diversi anni, ma se ne usò uno intero solo per gli ultimi due mesi.

Sulle pagine, accanto ai nomi, si notano moltissime croci aggiunte in seguito (negli ultimi mesi nel campo moriva così tanta gente che non si riusciva a registrare tutti).

Altra cosa interessante sono dei documenti originali con le richieste dei contadini e artigiani di Floss di prestargli qualche prigioniero per i lavori, come fossero proprietà dell’amministrazione del campo. Ora, di primo acchito fanno una brutta impressione — specie per i goffi tentativi di presentarsi bene con Heil Hitler a fine lettera e una cortesia quasi eccessiva — ma è pur vero che tutti gli uomini giovani e forti erano in guerra, e che molte testimonianze dei prigionieri che hanno lavorato per privati fanno capire che era considerata una fortuna, perché spesso i paesani erano gentili e davano loro da mangiare, anche di nascosto.

La vita fuori e dentro il campo

Al piano di sopra c’è un grande plastico del campo che ne mostra i cambiamenti nel tempo, più altre foto e oggetti trovati in loco. Ci sono anche curiosità, come un articolo della gazzetta locale del giugno 1938 (anno di apertura del campo) dove si parla della partecipazione dei guardiani delle SS al festival di mezza estate; le foto della visita ufficiale di Himmler nel 1940; foto della fabbrica della Messerschmitt com’era allora.

E poi attrezzi da lavoro; strumenti medici; buoni premio da spendere all’interno del campo; oggetti costruiti dai prigionieri con scarti di materiale, tra cui delle splendide carte da gioco dipinte a mano e un incredibile cofanetto di legno intarsiato. Gli oggetti venivano costruiti per venderli in cambio di cibo, agli altri prigionieri o anche alle guardie. Era un mondo molto più complesso e variegato di quello che possiamo immaginare.

Per me è interessante anche la mappa con i vari itinerari seguiti durante l’evacuazione del campo, a fine aprile 1945 (le famigerate marce della morte), con migliaia di detenuti morti per la fatica, la fame, il freddo, le bombe americane, o uccisi da una pallottola se non potevano più camminare.

Il Memoriale

Come ultima cosa trovo una saletta dove si proietta un documentario (in diverse lingue, a rotazione). Visto che, una volta tanto, c’è in italiano mi fermo a guardarlo, anche se non dice molto più di quel che so già.
Quando esco dalla lavanderia, dove ho perso il senso del tempo, sta piovendo e il sito è deserto. Procedo verso il Memoriale vero e proprio, cioè l’area esterna al campo dedicata a tutti quelli che vi sono morti, creata già qualche anno dopo la guerra.

Campo di Flossenbürg: una torre di guardia

Delle sei torri di guardia originali, ne sono rimaste tre, e sono anch’esse molto interessanti, ma quando salgo i gradini trovo la porta chiusa e non c’è nessuno a cui chiedere. Peccato. Con il materiale delle torri demolite si è invece costruita una cappella votiva.

Si scende una breve scala e si attraversa un terreno con dei cippi commemorativi, fino a giungere al forno crematorio. Un tempo, dalla torre sud-est, c’era una rampa sotterranea da cui si potevano far scendere i vagoni coi cadaveri, che arrivavano direttamente al crematorio. Ora l’imbocco della rampa è recintato, quindi non si può vedere (non che ci tenessi).

Il crematorio del campo di Flossenbürg

I morti qui, specie negli ultimi tempi, erano tanti: per denutrizione, malattie e incidenti sul lavoro. Se nel 1938 c’erano delle indagini sui pochi morti di quell’anno, a inizio 1945 ogni giorno venivano accatastati ovunque (di solito nei bagni) prima di essere portati giù.

Risalendo dall’edificio del forno, si passa di fianco a due pilastri di pietra: sono quelli originali dell’ingresso, spostati qui quando fu creato il Memoriale. La scritta Arbeit macht frei si trovava su un cartello affisso al pilastro di sinistra (ora però non c’è più).

Lo strato di muschio e i funghi che crescono ovunque fa capire (se mai ce ne fosse bisogno, visto il clima) che qui è molto umido, e d’inverno deve far freddo sul serio.

Il carcere e il bordello

Passati i pilastri, e tornati nel vecchio perimetro del campo, si trovano i resti del carcere, dove furono rinchiusi personaggi di spicco della resistenza, che qui trovarono la morte, come l’ammiraglio Canaris e il teologo Dietrich Bonhoeffer. Sono ancora visibili alcune celle e parte delle mura.

Campo di Flossenbürg: resti del carcere

Oltre il carcere, sul confine sud, un tempo c’era il bordello, chiamato Sonderbau — edificio speciale — ma oggi a ricordarlo c’è solo un tabellone esplicativo. Quello dei bordelli nei lager (destinati ai prigionieri “meritevoli”, che ricevevano dei buoni appositi) è un argomento scomodo, tanto che le ragazze che vi hanno lavorato per lungo tempo si sono vergognate di parlarne.

La rocca medievale

Uscita dal campo, faccio tappa in un altro edificio in pietra rimasto intatto: l’ex casino delle SS, che ora contiene un bar e un centro dove si svolgono varie attività. Entro solo per curiosità, ma anche per scaldarmi un po’.

La tappa successiva è a poche centinaia di metri, dove c’era l’ex cava di granito e le fabbriche aeronautiche. Sulla mappa sono segnalati gli edifici originali rimasti, accanto a case private moderne, e seguendo la stradina fino in fondo si arriva fin sull’orlo della vecchia cava.

Flossenbürg

Ripercorsa la stradina, c’è un sentiero che sale sulla collina a fianco, che vale la breve salita, perché in cima ci sono i resti di una rocca medievale molto bella e scenografica. Da qui si può godere di una vista a 360°, incluso il paese di Flossenbürg, il campo e l’ex cava.

In cima c’è anche una sorta di tavolino di metallo con incise le direzioni e le distanze dalle città più vicine, sia tedesche che boeme (a pochi chilometri da qui corre il confine). Se non piovesse e fosse un po’ più caldo sarebbe molto bello fermarsi — consiglio di venirci in estate.

Torno giù quasi di corsa, perché sono sempre al limite coi tempi, e ai piedi della collina c’è una fermata della corriera che mi riporterà a Weiden.

Laura Baldo

Seconda puntata – segue.

Didascalie:

  • Vista dall’alto del campo di Flossenbürg: la Kommandantur, rimasta intatta, e, sulla sinistra, l’ingresso vero e proprio. Sul terreno strisce di cemento segnalano dove sorgevano gli edifici del campo scomparsi
  • L’ingresso e il piazzale dell’appello; sulla sinistra l’ex cucina, sulla destra la lavanderia
  • Il locale delle docce
  • Una delle torri di guardia rimaste e, a fianco, la cappella costruita col materiale demolito
  • L’edificio col lungo camino è il crematorio; sulla destra si vedono i due pilastri d’ingresso originali
  • Vista della parte bassa del campo, coi resti del carcere
  • Vista dalla rocca medievale del paese di Flossenbürg, del campo (sulla destra dell’immagine). L’edificio basso e lunghissimo a sinistra e in alto rispetto alla Kommandantur è l’ex casino SS — e sulla sinistra la zona della cava di granito e delle fabbriche. L’edificio col tetto verde è uno di quelli che si sono conservati.

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