Il reportage di Marco Grassano sulla città di Porto continua con la Quinta puntata.
In camera, ci laviamo e ci cambiamo. Leggo, sdraiato sul letto, l’inizio del romanzo Livro, ammirandone l’abile tensione del linguaggio, poi usciamo di nuovo. Seguiamo Rua de Augusto Rosa (ampia: da un lato alberelli in fila e i binari del tram; dall’altro una piazza con pullman e pensiline per i passeggeri in attesa, l’Università Lusofona, l’ennesima chiesetta bianca), immaginando che conduca verso la parte superiore del ponte.
Pensiamo di poterci arrivare aggirando i resti della muraglia fernandina, ma il camminamento è cieco. Una spagnola della mia fascia di età, mosso caschetto tinto in biondo cenere, ci indica che la via di accesso si imbocca poco oltre, dietro la cattedrale. Tra costruzioni più alte e meglio mantenute, ci punge di commozione lo scalcagnato e scrostato edificio a due piani (sul fianco si può ancora leggere, a grandi maiuscole smangiate, una preterita pubblicità, “o melhor café é o da Brasileira”) che ospita il piccolo, patetico Restaurante Casa Balsas: un paio di tavolini e quattro sedie a occupare un tratto esiguo di marciapiede, l’insegna della Coca Cola, foto di petiscos appese accanto all’ingresso.
Un tratto di via che dichina dolcemente, fiancheggiato da costruzioni disomogenee per altezza e condizioni: il prédio deserto con tutti gli accessi murati, il piccolo bar a un solo piano, il condominio anni Settanta che ospita, al pian terreno, un ristorante cinese… Termina nel punto in cui la metropolitana riemerge in superficie per salire sul ponte fra due corsie pedonali, delimitate da colonnine di metallo. A destra, verso la Curia, ruderi di casupole coperti da rampicanti costellati di fiori blu; dall’altro lato, nello spazio compreso tra il ponte e la muraglia fernandina, altre case senza tetto o in pessimo stato. Tutta questa desolazione mi rattrista. Vorrei ci fosse un’opportunità per ritrovare tempi migliori.
Il fiume, verso l’oceano, riverbera tutto nella scia del sole che cala a poco a poco. Case e barche, sulle due rive e sotto di noi, paiono di un formato tascabile. Verso est, si vedono altri due ponti scavalcare un’acqua azzurro carico. Turisti fluiscono in qua e in là, attraversando sovente i binari per raggiungere il parapetto opposto. I convogli della metropolitana transitano sporadici e lenti, facendo tremare la struttura metallica ma senza costituire alcun ragionevole pericolo. Sull’altra sponda, siamo in territorio comunale di Vila Nova da Gaia.
La mappa ci segnala il punto di osservazione Serra do Pilar, appollaiato a sinistra su un muraglione grigio con finte aperture che ricordano il palazzo dell’EUR. In fondo al tratto pedonale, dove i binari incontrano il traffico veicolare di Rua Rodrigues Freitas, Avenida da República e Rua Rocha Leão, la freccia “Monumento” indica una salita (selciata, con strisce di lastrici) che conduce al Monastero e al belvedere che lo avvolge. Il cerchio di città osservabile da quassù è ancora più ampio. Miniaturizzate appaiono ora anche le persone sul ponte e la metropolitana in transito. Dritto sotto di noi, altre case diroccate. In basso a destra, addossata alla base rocciosa dell’altura, una tonda tenda da campeggio, fucsia scuro: rifugio forse di un turista squattrinato, o più probabilmente di un sem abrigo.
Ci portiamo al Jardim do Morro, in Rua Rodrigues Freitas. Una fila di bagni chimici, la cui plastica è resa un po’ molle dall’esposizione al sole. Una finta grotta in cemento copre una vasca vuota. Appena a destra, la scala che conduce al morro (altura) da cui si coglie l’ennesima vista della città e del fiume. Panchine di cemento in foggia di tronchi d’albero. Un massiccio supporto a leggio che, in origine, doveva sostenere la tavola di orientamento per “decifrare” il paesaggio.
Scendiamo dall’altra parte, a imboccare la divallante Calçada (selciato) da Serra. Un gabbiano passeggia, marziale e accigliato, in mezzo ad alcuni piccioni; al sopravvenire di un’automobile, il gruppo di uccelli vola via. Rasentiamo, dal basso, la stazione di partenza della Telecabine. Una fitta grata sporge a proteggere i passanti dall’eventuale lancio di oggetti da parte dei passeggeri. Sulla sinistra, una fila di casette basse – alcune di un solo piano, e ampie in proporzione – coperte da piastrelle colorate, a disegni geometrici. Passiamo sotto l’ultimo tratto del ponte alto e raggiungiamo Rua Cabo Simão, da dove, svoltando a sinistra, scendiamo ancora fino ad Avenida Diogo Leites (sull’angolo, un gatto nero a grandi chiazze bianche): la litoranea turistica di Vila Nova, che inizia dall’accesso, per gli autoveicoli, al livello inferiore del ponte.
Proprio a lato del ponte, la piccola piattaforma grigio-azzurra di un peso pubblico ormai in disuso. Il marciapiede, pavimentato per un tratto in lastroni di pietra e poi a piccoli sampietrini, strapiomba sull’acqua. Passa quindi a rasentare aiuole e accessi per l’imbarco. Sul fusto di un lampione, un adesivo tricolore e, sovrascritta, la parola “BARI”. Mi viene in mente, con benevolo sarcasmo, che “Se Oporto ci avesse lu mère, sarebbe ‘na piccola Bère”.
Il marciapiede si allarga in un lungofiume pieno di bancarelle di artigianato vario, principalmente monili. Il fronte degli edifici, alla nostra sinistra, è ora costituito quasi totalmente da snack bar e dalle sedi, più o meno imponenti, delle grandi marche del vino di Porto: Cálem, Kopke, Noval, Sándeman, Cruz, Vasconcellos.
Sui rabelos (caratteristici battelli di legno un tempo adibiti al trasporto delle botti), ancorati a pochi metri dalla riva, nomi di celebri tenute vinicole. Continuiamo fino a oltrepassare la stazione di arrivo della teleferica, i cui cavi, piloni e navicelle in dondolante movimento ci hanno sovrastati fin qui. Ampi prefabbricati di caffetterie o esercizi analoghi, intervallati da esigue, geometriche aree verdi, intasano lo spazio.
Un ponticello di foggia giapponese scavalca acque inesistenti. A ridosso del fiume, un vasto parcheggio per automobili. Siepi mal tenute. Agli ormeggi, motobarche per crociere turistiche, alcune di dimensioni davvero impressionanti.
Torniamo indietro soffermandoci a osservare qualche dettaglio. Valichiamo il ponte sul livello basso, incrociando turisti in tenuta estiva che si spostano pigramente lungo i marciapiedi metallici, in alcuni punti scivolosi perché bagnati. Decidiamo di cenare alla Ribeira, ma non nei gremiti locali del molo. Attraversando i portici, ci infiliamo nell’intrico dei vicoli e risaliamo i gradini della Travessa dos Canastreiros, fino a raggiungere una piccola piazza con alcuni tavolini, uno solo dei quali occupato.
Quinta parte – Segue.
Marco Grassano
Foto di M. Ester Grassano
Didascalie:
- Il ponte e la città dalla Serra do Pilar
- Calçada da Serra
- I “rabelos” di Vila Nova
- La teleferica di Vila Nova
Archivio:
- Prima parte del reportage su Porto
- Seconda parte del reportage su Porto
- Terza parte del reportage su Porto
- Quarta parte del reportage su Porto
- Quinta parte del reportage su Porto
- Sesta parte del reportage su Porto
Acqui Terme incontra Lisbona
Sabato 11 novembre alle ore 17:00 Marco Grassano interverrà all’incontro dal titolo “Lisbona vs Acqui. Lo sviluppo della cultura e della società portoghese degli ultimi 20 anni” che si terrà al Palazzo Robellini di Acqui Terme (AL).