Settima parte del reportage di Marco Grassano sull’Olanda.
Prendiamo ora l’autobus numero 11, una vettura più piccola ed elettrica, adatta ad insinuarsi nelle vie dell’abitato senza rilasciare polveri sottili. Ci sediamo a ridosso della porta di uscita. Uno schermo, in alto, alterna gli orari delle prossime fermate a immagini delle telecamere interne al veicolo: ecco, dall’alto, il retro della mia capoccia scura e lucida.
La vettura avanza varcando la ferrovia e svoltando, subito dopo, a destra, per procedere dall’altro lato rispetto alla Stazione, dapprima tra una scuola e un supermercato, e poi tra un ospedale e il suo parcheggio, immenso ma non privo di piante. Prosegue in una zona residenziale, coi filari di alberi già sviluppati e la chiesona moderna.
Un giardino pubblico con giochi di bimbi. La zona si fa di edifici più ampi e più bassi. La via finisce a T in un viale largo, più ricco di verde, nel quale confluiamo svoltando a sinistra. Arriviamo presto a un ampio crocicchio, e proseguiamo dritti in un altro viale a due carreggiate, fiancheggiato da grandi edifici recenti (compagnie finanziarie, il Municipio, una banca…), che cambia però nome: Zwaagmergouw, qualunque cosa la parola significhi.
Il viale si stringe e si unifica in una via in cui a sinistra, oltre un canale, si adagiano edifici variegati, mentre gli isolati residenziali di destra si occultano dietro una cortina di vegetazione, alberi e cespugli. L’immagine che ne colgo mi ricorda vagamente l’accesso alla vecchia casetta a schiera dei miei nonni, dal viale centrale di Piovera.
Dalla fermata torniamo indietro di qualche decina di metri e ci infiliamo in un breve sentierucolo sterrato che taglia la fascia di verde e ci permette di entrare nel quartiere dallo spazio fra due file di case, pavimentato in autobloccanti, in cui vengono parcheggiate le macchine. Lo spazio finisce in una viuzza trasversale; girando prima a sinistra e poi a destra, arriviamo in un’altra viuzza interna, denominata Beurtschip.
B & B Westfriesland
La nostra meta è la prima abitazione – numero civico 94 – delle fila che si allunga a sinistra, tutta di casette vetrinate al pianterreno. Suoniamo il campanello della porta dal telaio bianco, che reca la dicitura “B & B Westfriesland / Alice en Albert Verhoef”.
Ci apre un uomo in età pensionabile e ci fa accomodare nell’atrio, per poi condurci, su per una ripida scala di legno, al piano superiore, dove ci mostra gli ampi e moderni servizi di famiglia, e quindi alla nostra camera, ricavata nel sottotetto. Mi viene da pensare che questa coppia abbia deciso di approfittare degli spazi lasciati liberi dai figli, trasferitisi altrove, per un’attività che rende un po’ di soldi e impegna, in qualche modo, il tempo.
Il bagno ha un aspetto quasi futuribile: parete di fondo e pavimento in ampie mattonelle grigie, in cui due lastre di cristallo perpendicolari delimitano l’angolo doccia; WC da nave spaziale, sospeso al muro; lavabi grandi e squadrati; rubinetteria dal design raffinato e dal funzionamento che richiede un certo ingegno per essere scoperto.
La camera da letto, abbastanza calda, è comunque piuttosto comoda, malgrado l’inclinazione dei due spioventi che fanno da soffitto. Pavimento in assicelle grigie di legno. Finestre su tre lati. Letto in lattice, con le solite lenzuola imbottite. Televisore dai molti canali, solo olandesi. Stampe e quadretti incorniciati. Uno specchio ridotto, dalla montatura antichizzante. Un mobiletto, con sopra una scatola di bustine di tè e un bricco elettrico. Un piccolo frigo. Un tavolino in legno naturale e, accostate, due poltroncine verde acqua. Un ventilatore a piantana. Uno sgabello a X.
Appesi alla porta, due grandi accappatoi, uno bianco e l’altro nero. Mentre Ester scende a lavarsi, e io attendo di fare a mia volta la doccia, curioso nel vestibolo fuori dalla porta. Dietro una tenda, attrezzi e prodotti per le pulizie. In uno scaffale, guide turistiche e manualetti di conversazione in varie lingue straniere. Sfilo quello portoghese e lo sfoglio per ricavarne, facendo il passaggio inverso, qualche nozione di lessico fiammingo.
A cena
Usciamo per andare a cena. Svoltiamo a destra, di fianco a un piatto edificio scolastico costituito dal solo piano terra, con un’ampia vetrata per ogni aula; in quella di fondo, si vedono accatastati banchi e sedie. Giriamo a costeggiare il retro e proseguiamo dritti su una pavimentazione di autobloccanti.
Un fossato pieno d’acqua circonda due lati della recinzione, quasi la scuola fosse un castello medievale da difendere. Casette a schiera, garage e auto parcheggiate nelle piazzole. Il percorso zigzaga fra cespugli, alberi e case. Staccionate cieche di legno schermano i cortiletti e coprono un tratto di roggia, patinata di verde, che si insinua fra le abitazioni. Nell’ultimo tratto, costeggiamo un canale.
Arriviamo in una via di villette più signorili, staccate l’una dall’altra da giardini ampi e ben tenuti: la Dorpsstraat. All’incrocio, il cui asfalto è colorato di amaranto come le due fasce laterali della pista ciclabile, giriamo a destra. Sembra di essere nella parte nuova di Piovera o del rione Orti di Alessandria, anche se l’architettura è leggermente diversa.
Superiamo un passaggio a livello dai binari arrugginiti: evidentemente ridotto deve essere qui il traffico ferroviario. Una concessionaria di auto. La palazzina di un commercialista, se ben capisco la grande insegna Kenter accountants-adviseurs. Subito dopo, a sinistra, ecco l’insegna della Brasserie D’Oude Veiling, con la scritta contenuta nella sagoma di una cicogna dalle ali aperte.
L’edificio è costituito dal piano terra e da un mansardato. Il pavimento è un lucido parquet rossiccio. Pareti verniciate in magenta. Musica rock dolce. Una melodia caraibica che inizia in spagnolo e prosegue in inglese. La gente, qui, tende a mangiare piuttosto presto: sono le otto e un quarto, ma qualcuno è già al dolce, e qualcuno ha comunque già iniziato da un po’. Certo, sono tutti gruppi di persone non giovani.
Una signora di mezza età, alta, capelli grigi e corti e occhi azzurri, ci fa accomodare a uno dei tavoli di legno marrone con le gambe tornite, su comode poltroncine scure. Ci porge un menù stampato in un fine corsivo inglese, ma purtroppo in lingua locale. Per fortuna, la donna parla anche un po’ di italiano, e riusciamo a intenderci. Ci propone l’alternativa tra carne (vlees) e pesce (vis), entrambi accompagnati da una ricca serie di verdure diversamente cucinate, oltre che dalle patatine fritte nazionali.
Optiamo per la carne alla griglia, che si rivela molto tenera e saporita, ottimamente abbinata al contorno. Le patate sono a grandi spicchi, dorate fuori e morbide dentro, molto gustose. Come conclusione, Ester si prende un sorbetto e io una torta al cioccolato “fatta in casa” (huisgemaakte). La carne era buona, certo, ma decisamente costosa: 26 euro a testa, e il resto delle portate coi prezzi in proporzione. Però ne è valsa la pena.
Usciamo che è ancor chiaro. La luce tende a durare più a lungo che da noi. Ester ritiene sia perché ci troviamo molto a nord. Per il ritorno percorriamo, in senso inverso, un tratto più lungo della Dorpsstraat. La roggia che all’interno scorre fra le case si porta qui a bordo strada, separandola dai giardini domestici.
La superiamo su un piccolo ponte di legno e ci infiliamo in un vicoletto tra schiere residenziali dai tetti acuti, schermate da alberi e cespugli, fino a un giardino pubblico preceduto dalla già nota scritta Beurtschip, che si estende di fronte alla scuola di prima. Seduti sulla panchina posta sotto un gruppo di alberi, o in piedi accanto ai motorini parcheggiati attorno a essa, alcuni adolescenti, maschi e femmine, chiacchierano e scherzano. Il vialetto che attraversa l’area verde prosegue fino a portarci alla fila di case di cui la nostra è la prima.
Settima parte – Segue
Marco Grassano
Foto di M. Ester Grassano
Didascalia:
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- Un mulino a pompa nel nord dell’Olanda