All’inizio del 2025 mi sono riproposto di lasciar perdere i buoni propositi – regolarmente disattesi – per provare a impegnarmi in obiettivi chiari ed espliciti. Finora l’esperimento sta andando piuttosto bene, anche se sono rimasto indietro per quanto riguarda la visione di classici della cinematografia italiana (ma nei mesi autunnali potrei recuperare il terreno perduto e rimettermi in pari…).
Tuttavia ogni volta che entro in un museo – e quest’anno vi sto entrando molto spesso, per fortuna – mi sento formulare un pio desiderio, un buon proposito: prestare all’opera che attira la mia curiosità l’attenzione che merita, fosse anche un’ora intera trascorsa davanti a una singola teca.

Avete mai provato a cronometrare il tempo che passate (passiamo) davanti a un quadro o a un reperto archeologico? Molto spesso lo si può conteggiare in secondi, solo raramente in minuti. A volte ci accontentiamo di un’occhiata: giusto quell’attimo che ci consenta di metterci il cuore in pace, facendoci virtualmente spuntare la casella dell’oggetto nella lista delle cose da vedere. Visto, visto, visto…
Naturalmente non tutto quello che è esposto in un museo è un capolavoro, né possiamo sostare dieci minuti davanti a ogni opera: i custodi ci richiamerebbero alla realtà, pregandoci di lasciare il museo, ancora prima di aver fatto il giro della prima sala del percorso espositivo.
Tuttavia (di nuovo!) a me capita di sentire del rimorso quando mi allontano da una teca senza aver prestato la giusta attenzione all’oggetto custodito dietro il vetro. Succede in particolare con opere iconograficamente ricche e articolate, con scene complesse, tutte da “leggere” e interpretare. Chi sono quei personaggi? Cosa stanno facendo? Cosa raccontavano all’epoca in cui sono stati dipinti o scolpiti e cosa riescono ancora a dirci oggi?
Sono pensieri che faccio ammirando un arazzo medievale, un mosaico romano, le scene raffigurate su una grande anfora greca e in tante altre occasioni.

Il Museo Nazionale del Bargello a Firenze è uno dei posti in cui è più facile e frequente che pensieri di questo genere sorgano nella nostra mente (o almeno nella mia). È uno scrigno ricchissimo di tesori e ci vorrebbe una giornata intera per visitare una singola sala, non dico un piano.
L’ho visitato diverse volte e mi sono fatto una classifica di opere preferite, come il Piatto con Giuseppe e la moglie di Putifarre realizzato da Francesco Xanto Avelli a Urbino nel 1537, in maiolica, entrato nella collezione come lascito di Louis Carrand nel 1888. Sotto i piedi del figlio di Giacobbe corre la scritta Felix qui potuit gravis terre (sc. terrae) solvere vincula. Viene dal III libro del De consolatione philosophiae, opera composta giusto mille anni prima (nel 523/4 circa) da Severino Boezio, mentre era in carcere nei pressi di Pavia in attesa dell’esecuzione capitale.
Ma non è davanti a quello splendido piatto che mi sono riproposto di dedicare più tempo alle opere che guardo nei musei. È stato invece ammirando la scacchiera – o tavola da gioco che dir si voglia – realizzata nella seconda metà del Quattrocento (tra il 1450 e il 1480 circa) in ambito borgognone oppure fiammingo.
La didascalia a corredo della scacchiera recita:
Tra le più grandi al mondo oggi note, questa tavola offriva più possibilità di gioco: gli scacchi o la dama sul lato esterno, il tric trac o il backgammon sull’altro. Realizzata in avorio, osso e legni pregiati in parte tinti in verde, presenta caratteri stilistici e tecnici che la rendono riferibile ad aree di produzione diverse, come il nord della Francia e in particolare la Borgogna, oppure le Fiandre. Lungo il perimetro sono scene di cavalieri, dame, battute di caccia, musici e danze, oltre a immagini connesse al tema dei ‘giardini d’amore, in cui proprio l’iconografia della partita a scacchi nel Medioevo e nel Rinascimento costituì un’allusione simbolica al corteggiamento amoroso”.
Realizzata in avorio, osso e legni in parte tinti, anch’essa è arrivata al Museo del Bargello grazie al lascito del collezionista Louis Carrand.
La cornice che la circonda è un libro a fumetti le cui scene cavalleresche e di caccia andrebbero (cioè: vanno!) lette con attenzione, figura per figura, dettaglio per dettaglio: gli abiti, gli strumenti musicali, le piante, i cavalieri e le armi…
La società dell’amor cortese richiede tutta la nostra attenzione per essere compresa: le siamo lontanissimi, molto più del millennio che separa il Rinascimento del piatto urbinate dalla tarda antichità di Boezio, anche se la distanza cronologica è minore.
Se andate al Museo del Bargello, soffermatevi davanti a questa scacchiera. Tutto il tempo che merita.
Saul Stucchi
La foto della scacchiera è presa dal sito del Catalogo generale dei Beni Culturali
Museo Nazionale del Bargello
Via del Proconsolo 4
Firenze
Informazioni: