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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Le serie TV di genere giallo e noir in Europa

3 Maggio 2021

Le serie TV di genere giallo e noir in Europa

A proposito di luci e ombre della produzione europea di serie crime: partendo dal Regno Unito, le luci giungono prima di tutto dal re degli investigatori, Hercule Poirot, nell’omonima serie. David Suchet, ancor più di Peter Ustinov, più del recente Kenneth Branagh, incarna con abilità le peculiarità fisiche e caratteriali del piccolo belga nato dalla penna di Agatha Christie, sulla base delle cui novelle sarebbe difficile per gli sceneggiatori fare male. In ogni caso tutta la produzione è notevole, soprattutto per la ricerca scenografica, le auto tirate a lucido, i palazzi razionalisti, e i treni monumentali e la recitazione di stampo teatrale.

Nella vecchia Inghilterra

Ma dalla patria dei grandi scrittori crime non tutto brilla. Da una parte troviamo lavori molto interessanti come la twinpeaksiana “Broadchurch”, “Hinterland” e “River” (che interpretano il concetto di noir in chiave estremamente torbida), “Vera” (cupa, con nuvolose atmosfere di vita residuale ispirate a Ken Loach, e una protagonista energica e credibile per umanità e intuito, interpretata dalla brava Brenda Blethyn), o anche il solido “Luther” (un misto fra investigazione psicologica e azione).

Uno screenshot della serie "Broadchurch"
Broadchurch

Dall’altra invece abbiamo esperimenti meno riusciti come “Grantchester” (interessante solo nella prima stagione, prima di ripiegarsi troppo sulla crisi d’identità del protagonista) e, ancora di più “L’ispettore Barnaby”.

In queste due serie è dilatata al parossismo la dimensione campagnola che caratterizza i romanzi della Christie con Miss Marple protagonista. E ciò finisce per annacquare la tensione che, in un giallo, resta l’elemento fondante. Inoltre le trame sono spesso esili e dal finale scontato: si finisce per scoprire il colpevole dopo poche inquadrature.

Discorso simile vale per “I misteri di Brokenwood”, una serie neozelandese assimilabile stilisticamente a queste ultime, anche se i protagonisti sono simpatici e accattivanti.

È invece interessante, per come interpreta il conflitto generazionale di quel periodo, anche nel contrasto fra i due protagonisti, “L’ispettore Gently”, ambientato negli anni Sessanta, nell’Inghilterra lontana anni luce dalla swinging London degli hippy e della beat generation. Il territorio di questo arguto e bonario poliziotto prossimo alla pensione è lo stesso Nothumberland che vede le imprese della già citata Vera Stanhope.

Ruvida gente di provincia, quindi, senza tuttavia la caratterizzazione campagnola che trasformerebbe i personaggi in macchiette. Vige ancora la pena di morte, e solo da poco l’omosessualità non è più un delitto contro la morale. In questo contesto Gently e il suo ambizioso assistente Bacchus (donnaiolo e inquieto) indagano, confrontando, a volte al limite dello scontro verbale, la loro differente visione sui tempi che cambiano. E spesso è il vecchio ispettore a mostrare la mentalità più aperta.

Orfani di Maigret

Attraversando The Channel, si piomba nello sconforto. I cugini transalpini, per quanto abbiano avuto il lusso, l’onore e la fortuna di adottare Georges Simenon, non sono riusciti a partorire nulla che non fosse involontariamente comico. Soprattutto nel tratteggio dei personaggi, la situazione è disastrosa: un diluvio di luoghi comuni, di caratterizzazioni scontate, di maldestri tentativi di rifarsi ai modelli americani (e questo è strano per un Paese che ha sempre rivendicato un’autonomia culturale dai liberatori statunitensi), di cliché.

Uno screenshot della serie "Alice Nevers"
Alice Nevers

Scartando “Cherif”, “Profiling”, “Balthazar” e simili (con una bonaria eccezione per “Alice Nevers”, timido tentativo di differenziarsi dagli altri), per trovare qualcosa di veramente godibile bisogna risalire ai primi anni del XXI secolo, al “Maigret” interpretato da Bruno Cremer, dove si respira la genuina atmosfera parigina, si sente il profumo delle baguettes, del burro, e del tabacco della pipa. D’altronde da Jean Gabin, passando per Gino Cervi, fino appunto a Bruno Cremer, con Maigret si va sempre a segno.

C’è del marcio al Nord

Valicando il Reno e muovendoci nella Mitteleuropa, le cose non vanno meglio: siamo fermi all’epoca dell’Ispettore Derrick. Che si parli del “Commissario Rex”, di “Hamburg Distretto 21”, di “Un caso per due”, o degli austriaci “Vienna criminale” e “Tatort”, è tutto già visto. Tanta buona volontà, ma niente di più. Originale, invece, “Freud”, con il padre della psicanalisi nel ruolo estemporaneo di un investigatore.

E a proposito di esplorazione psicologica, è invece estremamente interessante il claustrofobico “Criminal”, che si svolge essenzialmente nella stanza destinata agli interrogatori, dove inquirente e sospettato si fronteggiano in un confronto dalla dialettica talmente vivace e accesa da ricordarmi lo “Sleuth” sceneggiato da Harold Pinter.

Il successo dei libri di Stieg Larsson ha avuto l’effetto di un elettrochoc nella terra di Pippi Calzelunghe (sinceramente la miglior serie crime scandinava della storia). Non tutto avrebbe meritato di essere mandato in onda. Mi vorrei tuttavia soffermare su una produzione che a mio parere è molto più interessante della trasposizione televisiva di “Millennium” e dell’ordinaria “Omicidi a Sandham”.

Sto parlando di “Wallander”, ispirata ai romanzi di Henning Mankell, che è anche lo sceneggiatore. Le atmosfere sono molto cupe, i protagonisti hanno una propria consistenza e vengono seguiti anche nelle vicende private. Il ritmo è lento come si conviene a un film svedese (mica per niente hanno avuto Bergman), inframmezzato da scene di azioni mai superflue né ridondanti. I personaggi femminili sono densi, lontani dall’iconografia della donna scandinava di cui si vaneggia sulle spiagge romagnole. Che “Wallander” funzioni è dimostrato anche dal fatto che l’irlandese Kenneth Branagh ha realizzato una miniserie prodotta dalla BBC, molto più elegante e raffinata dell’originale, che comunque non sfigura.

Se “Elementary” e “Dr. House” omaggiano Conan Doyle, il Wallander di Branagh, tormentato come un Amleto contemporaneo, omaggia sicuramente William Shakespeare, di cui il regista è un profondo conoscitore.

E qui si chiude il cerchio: il Bardo di Bankside, infatti, è il primo scrittore noir della storia. La domanda a cui ancora non sappiamo rispondere è: chi ha ucciso il Re di Danimarca?

Simone Cozzi

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Info Simone Cozzi

Una laurea in Economia e Commercio, una passione per la scrittura, la fotografia, la musica. Ha pubblicato con Panda Edizioni: La pace inquieta, Doppio strato, Lo spazio torbido e Il buio è prossimo. Informazioni sull'autore Simone Cozzi.

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