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Voi siete qui: Biblioteca » “Uccidete il Re Buono” di Giorgio Ferrari: tragedia in tre atti

15 Aprile 2021 Scritto da Saul Stucchi

“Uccidete il Re Buono” di Giorgio Ferrari: tragedia in tre atti

“Questo è il più grande delitto del secolo”, esclama la regina Margherita, davanti al cadavere ancora caldo del consorte. Soltanto pochi minuti prima Umberto I è stato ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci al termine della premiazione di un torneo ginnico a Monza. Il regicidio è destinato senza dubbio a cambiare la storia d’Italia, tuttavia l’affermazione non può che essere ridimensionata, considerato il contesto – perlomeno europeo. E questo è uno dei meriti di “Uccidete il Re Buono” di Giorgio Ferrari, pubblicato da Neri Pozza nella collana di storia “I colibrì”, curata da Pier Luigi Vercesi.

Giorgio Ferrari, Uccidete il Re Buono, Neri Pozza

In quella che è una tragedia classica in tre atti con tanto di prologo ed epilogo, Ferrari ricostruisce con rigore le vite parallele di Umberto I e di Bresci, evitando di utilizzare le comode etichette antitetiche di “vittima” e “assassino”. I due, scoprirà il lettore, erano per certi versi più simili di quanto loro stessi avrebbero voluto ammettere. In mezzo c’era il Regno d’Italia. E anche qui il lettore avrà modo di sorprendersi per la – sgradevole – sensazione di déjà vu.

Lo scandalo della Banca Romana. La connivenza di certa stampa ondivaga quando non compiacente che “minacciava di non far sconti a nessuno e finì invece per farne a tutti”. Il naufragio del battello a vapore “Ercole” su cui Ippolito Nievo tornava dalla spedizione dei Mille, tragedia che fu una “sorta di progenitrice delle stragi di Stato”. La folla infuriata che lancia monetine in segno di protesta e spregio, nel 1893 contro Tanlongo come un secolo dopo contro Craxi. Ma anche l’ipertrasformismo del cardinal Ferrari che pianta in Asso (letteralmente!) i Milanesi quando la città è in stato di guerra. E poi la “psicosi del complotto” e una “deliberata strategia del terrore” pianificata per impaurire e convincere moderati e benpensanti. Nell’altro ieri si può già vedere in filigrana tutta l’Italia di ieri, di oggi e di sempre. Ecco perché non ha senso parlare di “perdita dell’innocenza” a proposito di Piazza Fontana.

Tra attentati e duelli

Bresci e Umberto I di Savoia sono i protagonisti del libro, ma attorno a loro si muovono personaggi che sono tutt’altro che comparse. Dalla regina Margherita a Crispi, da Bava Beccaris a Carducci, da Turati alla Kuliscioff. Ferrari dipinge l’affresco di un’epoca di passaggio: non più l’Italia del Risorgimento, non ancora quella Ventennio. Il mondo sta cambiando velocemente, tra scandali, imprese coloniali e attentati, riusciti o falliti. Elisabetta di Baviera, meglio nota come “Sissi”, e Fëdor Trepov furono vittime dei primi. Il Kaiser Guglielmo, Alfonso XII di Borbone e il Principe di Galles, futuro Edoardo VII, sopravvissero ai secondi.

Lo stesso Umberto sarebbe morto a Napoli nel 1878 sotto i colpi del pugnale di Giovanni Passannante, aiuto-cuoco di fede mazziniana, se non fosse stato per la presenza di spirito di Margherita e del garibaldino Cairoli. E dire che otto anni prima era stata proprio Margherita a sparare un colpo – ma in aria – nel parco della Villa Reale di Monza, esasperata per l’ennesimo tradimento del marito! Nel 1897 ci sarebbe stata a Roma l’aggressione per mano del fabbro Pietro Acciarito…

Lapide in memoria di Umberto I a Carpi

Non mancano i duelli. Quello con il conte Macola fu fatale a Felice Cavallotti, disprezzato da quella coppia di reazionari (Umberto e Margherita), ma meritevole di una via tutta sua alle pendici dell’Acropoli di Atene, in riconoscenza del contributo dato alla lotta per l’indipendenza della Grecia. Duello rusticano fu anche quello che vide contrapposti Giuseppe Ciancabilla ed Errico Malatesta, con il tempestivo intervento di Bresci per evitare che finisse in tragedia.

L’Italia in Africa

Unita ma non ancora nazione che potesse riconoscersi in un’unica identità, l’Italia era perlomeno divisa in due, tra “Cuore” e “Pinocchio”, tra Nord e Sud, tra sviluppo e arretratezza. Curiosamente – ma neppure molto, a ben guardare – le pagine che Ferrari dedica all’“imperialismo riluttante” e alla “missione civilizzatrice” del colonialismo italiano mi sono parse in molti punti concordanti con l’attenta analisi che Viet Thanh Nguyen fa nel suo romanzo “Il militante”. Naturalmente in entrambi i casi leggiamo la situazione di ieri con gli occhi di oggi, ma già allora – a volerle ascoltare – non mancavano voci critiche contro le avventure coloniali.

È una delle più intense del libro la parte che Ferrari dedica alla partecipazione italiana alla “zuffa per l’Africa” (Scramble for Africa). Il disastro di Dogali (la “Little Big Horn del giovane Regno d’Italia”), la conquista di Asmara e la presa di Cassala, il generale Oreste Baratieri “Napoleone d’Africa” che trova in Menelik il suo Welligton, la disfatta dell’Amba Alagi, l’assedio di Macallè, Umberto costretto a trovare personalmente la somma per pagare il riscatto: “il governo avrebbe provveduto successivamente a rimborsarlo a rate mensili, neanche fosse una cambiale”. Quanto erano lontani i giorni del “quadrato di Villafranca”!

Al paternalistico patriottismo del quale i Savoia furono maestri, Umberto aggiunse di suo imperialismo e colonialismo. Gli andò male e all’Italia con lui. In balia di almeno tre donne, l’umbratile sovrano aveva fiducia soltanto nei militari e avrebbe fatto volentieri a meno del Parlamento, anche se dimostrò di non essere disposto (o capace) a farsi despota, lasciando decadere l’ipotesi di colpo di Stato quando se ne presentò l’occasione.

Ma non ebbe remore nel conferire a Bava Beccaris un’onorificenza e la nomina a senatore del Regno, dopo che (post hoc, propter hoc) questi fece sparare a cannonate contro la folla che protestava per il rincaro del pane. Così Umberto firmò la propria condanna a morte. Era tramontata la luna di miele con gli Italiani, o almeno con una parte di essi: un’altra invece applaudì e avrebbe voluto farla finita una volta per tutte con socialisti, anarchici & Co. “Soprattutto da morto, Umberto, il Re Mitraglia, continuava per i benpensanti a impersonificare il Re Buono”.

Bava Beccaris e Bresci

L’altro pannello del dittico di queste vite parallele vede la parabola della famiglia Bresci: il discreto benessere, l’impoverimento e il riassestamento economico. Le divergenze di carattere e ideologiche tra Gaetano e il fratello Angiolo (che poi cambierà cognome per la vergogna). Il veloce sviluppo di Prato come Manchester italiana, il feroce sfruttamento e l’ondata migratoria verso le Americhe. La comunità anarchica italiana a Paterson, New Jersey.

Il processo di americanizzazione di Gaetano che subisce il fascino del consumismo, ma non perde di vista gli ideali. Non glieli fanno dimenticare neppure le numerose relazioni sentimentali in cui s’impegna, al di qua e al di là dell’Atlantico. In fondo, è il giudizio di Ferrari, l’anarchico e il re si somigliavano, almeno nel nucleo della loro natura: “senza saperlo, Bresci aveva ucciso un dandy, non un re. Un suo simile, nel profondo”.

“Uccidete il Re Buono” (dal titolo un poco fuorviante – sia detto en passant – visto che l’autore stesso smentisce la tesi del complotto) si legge con piacere per la scrittura di Ferrari, giornalista di lungo corso, inviato speciale ed editorialista per “L’Avvenire”. Provocano invece dolore e rabbia i fatti che racconta, soprattutto i quattro terribili giorni di Milano presa a cannonate dalle truppe di Bava Beccaris.

No, non fu la riedizione delle Gloriose Cinque Giornate di cinquant’anni prima, anche se il cinismo di Radetzky aveva fatto scuola – “tre giorni di sangue garantiscono trent’anni di pace” – pur dimostrandosi errato nei risultati. A quelle pagine del Risorgimento Ferrari ha dedicato due libri: “Le Cinque Giornate di Radetzky” e “Gli ultimi giorni di Radetzky”, entrambi per i tipi de La Vita Felice.

Nel terzo e conclusivo atto la tensione va in crescendo. La fucilazione del fante Tomasetti, rifiutatosi di sparare sulla folla. L’arresto della Kuliscioff, in vestaglia. L’assalto al convento dei Cappuccini in via Monforte. E poi la scansione temporale della fatale giornata del 29 luglio 1900 che Bresci trascorre per buona parte in uno stato di catatonia, ingurgitando gelati!

Siamo al culmine: il menu dell’ultima cena di Umberto, gli spari, la corsa alla Villa Reale, l’ekphrasis (descrizione) della tavola di Achille Beltrame per la “Domenica del Corriere” del 5 agosto (scelta come copertina per il libro). La catena di arresti, le prese di distanza dall’attentatore, il processo lampo e la breve detenzione di Bresci, prima della sua fine tragica e misteriosa.

Con gli spari di Monza si chiudeva l’Ottocento italiano e si apriva un secolo tutt’altro che breve.

Saul Stucchi

Giorgio Ferrari
Uccidete il Re Buono
Neri Pozza
Collana I Colibrì
2021, 256 pagine
18 €

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