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Voi siete qui: Biblioteca » Recensione de “Il militante” di Viet Thanh Nguyen

1 Aprile 2021 Scritto da Saul Stucchi

Recensione de “Il militante” di Viet Thanh Nguyen

Un’avvertenza: “Il militante” di Viet Thanh Nguyen, appena pubblicato da Neri Pozza nella collana “Bloom”, si comprende meglio se prima si è letto “Il simpatizzante” (edito nella stessa collana), sorprendente libro – d’esordio! – che è valso allo scrittore vietnamita naturalizzato statunitense il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2016. Questo nuovo romanzo ne costituisce il seguito. Si può anche leggere autonomamente perché molti episodi vengono rievocati qua e là lungo le oltre quattrocento pagine che si leggono tutte con piacere. Tutte d’un fiato no, non si può dirlo né mi pare consigliabile, vista la pregnanza di ciascuna di esse.

Se è vero infatti che il protagonista, niente meno che “Bastardo Pazzo”, tira una stoccata – e dietro di lui forse l’autore – a uno dei romanzi ottocenteschi più celebri, ovvero “I miserabili”, la storia raccontata in quello che al momento è un dittico in due pannelli può essere definita un “Romanzo russo dell’Ottocento in salsa vietnamita ambientato a Parigi”.

Viet Thanh Nguyen, Il militante, Neri Pozza

L’intricata vicenda si dipana e s’aggroviglia nella capitale francese a inizio anni Ottanta (1981, per la precisione). Non è un cambio da poco rispetto al Vietnam e agli Stati Uniti de “Il simpatizzante”, ma a ben vedere sono molti gli elementi in comune, pur nelle differenze.

Sul razzismo e su tutto il resto

Non proverò nemmeno a sintetizzare la trama de “Il militante”. Qui dirò soltanto che è ricca di colpi di scena (tanti e tosti!), perfettamente calibrati e strategicamente disposti lungo il romanzo. Ma come il precedente, anche questo è molto di più del racconto di una storia. È di nuovo un trattato sul razzismo, sulle sue infinite declinazioni, sulle differenze tra la versione americana e quella francese (la scena del quartetto jazz è una delle più emblematiche del libro), sul razzismo delle vittime del razzismo (il libro si apre con l’osservazione che ci sono degli indesiderati anche tra gli indesiderati), sui vari slang degli insulti razzisti (tra ironia e autoironia: a pagina 294 c’è una magistrale lezione di insulti tra surreale e tragicomico).

E più in generale è una sorta di trattato sulla discriminazione, la peggiore delle quali risulta essere quella degli uomini verso le donne. E tanto, tanto, altro ancora. Oltre a essere un romanzo “d’azione” godibilissimo, “Il militante” è un romanzo filosofico alla Dostoevskij, riveduto e aggiornato con frequenti iniezioni di ironia e scene di violenza pulp alla Tarantino.

Il fatto di rischiare la vita a ogni passo che compie per le strade di Parigi – o mentre l’attraversa in auto cantando a squarciagola con i suoi improbabili compagni “Seasons in the sun” – non impedisce al protagonista di riflettere su una lunga lista di temi che spazia dall’imperialismo americano a quello francese, dalle affinità e divergenze tra Capitalismo e Comunismo (con tanto di critica del Maoismo) all’analisi dei processi di colonizzazione (che è “una forma di pedofilia”) e decolonizzazione, dalle domande care a ogni Esistenzialista, a cominciare da quella universale “Chi cazzo credi di essere?”, ai devastanti danni dell’ideologia (ma anche della religione) e degli effetti della sua pastorizzazione, il tutto giocando su sfumature e contrasti e contraddizioni e paradossi e fantasmi del passato (è la vita, Bastardo Pazzo!).

Critica della cultura occidentale

Si sorride un sacco, molto si ride, non si smette mai di pensare, pagina dopo pagina. Lui piange spesso: è uno svitato – letteralmente: gli si è allentata la vite che tiene insieme le sue due metà – dalla lacrima facile, ma anche il lettore si commuove. E intanto ha modo di osservare la cultura occidentale attraverso le lenti di un “bastardo”: Rimbaud, Ionesco, Shakespeare e la riscrittura della “Tempesta” di Aimé Césaire, “Candide” e Tintin (“Era solo un colonizzatore come tanti”), Benjamin e Papa Hemingway, Billie Holiday e Johnny Hallyday, Federico García Lorca e Rousseau, Adorno e Horkheimer.

E poi l’“American Way of Life” (“Mangiare troppo, lavorare troppo, comprare troppo, leggere troppo poco, pensare anche meno, e morire nella povertà e nell’insicurezza”) e l’abitudine dei Francesi di non togliersi le scarpe prima di entrare in casa (dimostrando, sotto questo aspetto almeno, di essere rimasti fermi al medioevo), il femminismo e l’écriture feminine, il bagaglio di luoghi comuni con cui “riconoscere” uno straniero, la natura brutale dei russi:

Majakovskij, Černiševskij, Lenin… che cosa c’era che non andava, in questi russi? Era la Siberia? La steppa? La vodka abbondante e poco costosa, in apparenza identica all’acqua? O forse i russi erano essenzialmente orientali, come sosteneva Sir Richard Hedd? Era la somma di questi fattori a rendere i russi inclini a comportamenti brutali, ad aspettative irrealistiche e a romanzi troppo lunghi?

E l’elenco è ancora lungo, per fortuna del lettore (del romanzo, se non di questa recensione). Tra una bastonata e l’altra, sarà invitato a riflettere sul confronto tra le chiappe tonde occidentali e le chiappe piatte orientali e su quello che divide vietnamiti e francesi nel rapporto con i cani, sul ruolo dei collaborazionisti e su quello delle vittime che divengono a loro volta carnefici (la Cambogia come Vietnam del Vietnam), sulla missione dell’arte, sulla possibilità di perdonare l’imperdonabile, sul concetto d’identità e sul tema della colpa collettiva, sul potere delle parole e su quello del silenzio, sulla memoria e sull’oblio, sulla merda come elemento per giudicare una società.

Galleria di personaggi

“Il militante” è un romanzo anche sui libri, ricco di analisi e micro-recensioni. Ed è una galleria di personaggi memorabili uno più strano dell’altro, che siano nuovi o graditi ritorni: dalla zia a Lana, da Le Cao Boi (“un Baudelaire con la mazza da baseball”, armato di una preziosa Louisville Slugger) al “buttafuori escatologo” che discetta di Gramsci in un bordello e si addormenta leggendo Céline, dalla bella e serissima avvocatessa al Ronin, dalla Combattente per la libertà palestinese alla Guerrigliera Viet-Cong, senza dimenticare il calamaro lascivo…

Oltre ai personaggi ci sono i dialoghi a tenere incollato il lettore a “Il militante”. Molti meriterebbero qui lunghe citazioni che però vi risparmio per invogliarvi a leggere per intero il romanzo. E poi tante scene incredibili, come l’incontro in un parchetto del protagonista con Beatles e Rolling Stones (no, non le band inglesi…).

Segnalo soltanto la descrizione dell’aggressione che si sviluppa per tante pagine senza un punto fermo: altro che Thomas Mann! È una grande prova di abilità e resistenza per l’autore, il traduttore Luca Briasco, e il lettore! Molto più difficile, comunque, è resistere alla tortura delle gambe accavallate della bella segretaria.

Saul Stucchi

Viet Thanh Nguyen
Il militante
Traduzione di Luca Briasco
Neri Pozza
Collana Bloom
2021, 432 pagine
19 €

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