L’assedio a Gaza City lo osserviamo, inermi, in diretta. L’esercito israeliano la sta stritolando, i morti aumentano ogni giorno, e chi è ancora vivo deve andarsene, volente o no. Quella che ottimisticamente ancora chiamiamo società civile in giro per il mondo dà segni di rabbia mentre i governi tacciono o al più balbettano – inutile dire dell’America di Trump o del nostro miserando governo.
Ci sono riservisti che rifiutano di essere partecipi dello scempio in atto, e rischiano sulla propria pelle; per lo più, però, la maggioranza degli israeliani sembra d’accordo con il genocidio in atto. Il mantra è sempre lo stesso: eh ma il 7 ottobre.
Un’occasione per schiarirsi le idee e interrogare la storia (che inizia molto prima), è il libro di Luigi C. Cazzato, Palestina fra Oriente e Occidente. Anglosfera, ferite coloniali, re-esistenza decoloniale – prefazione di Tomaso Montanari, postfazione di Nabil Bey Salameh, fondatore dei Radiodervish.

Il libro – edito da Meltemi – offre una ricostruzione storica della questione palestinese, inquadrandola in un contesto più ampio e nello stesso tempo più preciso che coinvolge il ruolo dell’anglosfera, ovvero degli apparati culturali di matrice prima inglese poi americana che stanno alla base della tragedia palestinese.
Razzismo, convinta disposizione dei britannici a considerarsi superiori alle civiltà (“poco civili”) sottomesse, s’inseriscono in una lunga storia di colonialismo inaugurata nel ‘500 (in realtà dagli europei del sud), proseguita con l’occupazione criminale dei territori che si chiameranno poi Stati Uniti d’America, giunge fino all’ideazione del sionismo e alla dichiarazione del ministro inglese Balfour nel 1917 che concede i territori palestinesi agli ebrei (gli inglesi avevano i loro bravi interessi, compresi quello di scalzare via ogni sentore di dominio mussulmano nell’area, che fosse arabo o ottomano, il secondo effettivamente presente all’epoca).
Di seguito arriverà la decisione dell’ONU, successiva alla fine della Seconda guerra, di costruire uno spazio-rifugio a un mondo, quello ebraico, tragicamente e a lungo perseguitato (questo motivo capitale dal libro è un po’ messo ai margini, così come le istanze dei pur minoritari movimenti del sionismo di sinistra, non tutti contrari alla soluzione dei due Stati) per concludersi nella sua prima fase con la Nakba del 1948, in cui verranno espulsi dai territori 750.000 palestinesi (dal canto loro gli arabi rifiutarono la spartizione del territorio).
Naturalmente, la costruzione di una certa narrazione filo-israeliana che parte il 7 ottobre, non fa i conti con la storia, così da legittimare il progetto sionista a danno della popolazione palestinese. Nel racconto dominante nei media occidentali il tema fondamentale della colonizzazione è spesso rimosso; quando non appoggia direttamente la propaganda israeliana ne sussume le (arbitrarie) ragioni ignorando le radici storiche del conflitto.
Peraltro, Cazzato sottolinea come persino gli studi post-coloniali abbiano sovente trascurato la Palestina, relegandola a confini discorsivi ristretti. Cazzato ambisce a superare questi limiti, riconducendo il lettore attraverso la strada maestra della colonialità, ossia delle ragioni culturali del colonialismo, la sua matrice epistemologica intrecciata ad avviso dell’autore con la modernità, essendone la faccia nascosta – che si tratti della Shoah come della Nakba.
Il riferimento all’anglosfera appare centrale per comprendere la dinamica odierna della tragedia, poiché inglesi e americani hanno giocato ruoli chiave nella creazione e nel mantenimento delle condizioni coloniali e di occupazione in Palestina.
Occorre passare attraverso le parole, quindi ridefinire, riorientare i concetti: la “scoperta dell’America” in realtà è una conquista, l’esito di un processo colonialistico, il cui razzismo consente l’invenzione della Terra nullius, elemento concettuale ricorrente, il falso storico e ripetuto altrove per via del quale vengono occupate terre considerate disabitate, il che è possibile solo de-umanizzando l’altro: gli indiani d’America due secoli fa, i palestinesi un secolo dopo, palestinesi, secondo il mainstream, che starebbero morendo per una catastrofe umanitaria (una sorta di apocalisse della natura!).
I sionisti israeliani mutuano dunque dagli europei l’impunità dei colonizzatori, e i palestinesi fanno la fine dei pellerossa (nel racconto dominante “i palestinesi muoiono, gli israeliani vengono uccisi”).
In un libro assai interessante resterebbe da discutere un elemento a latere, assai ripetuto negli ultimi tempi ed è il seguente: che il genocidio sia possibile grazie, si fa per dire, alla de-umanizzazione, è indiscutibile, che però il veleno sia procurato dal corpo della modernità ci pare tesi che, benché assai diffusa, meriterebbe uno sguardo più vasto e allungato in secoli assai precedenti alla modernità.
Lo storico Francisco Bethencourt in Razzismi. Dalle crociate al XX secolo ricorda per esempio il mito della razza ariana nel Rig Veda, quando in India un popolo di allevatori chiamati Arii (bianchi) si sentì in diritto di sottomettere un popolo di “barbari” di pelle scura (così come nella retorica alternativa a quella dominante l’imperialismo sembrerebbe affare da inscriversi quasi ontologicamente all’Occidente, e Mosca, per dire, “avrebbe sempre le sue ragioni”, che un minimo di approfondimento storiografico potrebbe smontare).
Nelle pagine finali l’autore dà voce all’archivio vivente della resistenza palestinese (il sumud, che è attivismo e perseveranza, atteggiamento etico-politico), musica, canzoni, poesie, arte visiva per un approccio che Cazzato definisce come “re-esistenza decoloniale”: lotta per la liberazione che si nutre della memoria e della cultura palestinese.
Per la quale rimandiamo alla lettura del libro, corredato da molte immagini a colori: non quelle cui assistiamo ogni giorno ma testimonianze (non solo artistiche) della vitalità che in questi anni un popolo massacrato ha voluto e saputo mantenere, ripiantando gli alberi che gli israeliani sradicavano, ricostruendo le case che gli demolivano.
D’ora in poi, sembra tutto maledettamente passato. Speriamo di sbagliarci.
Michele Lupo
Luigi C. Cazzato
Palestina fra Oriente e Occidente
Anglosfera, ferite coloniali, re-esistenza decoloniale
Prefazione di Tomaso Montanari
Postfazione di Nabil Bey Salameh
Meltemi
2025, 272 pagine
20 €