Eccoci alla quarta indagine del vicequestore – aggiunto – Paolo Nigra della coppia Paolacci & Ronco. Dopo Nuvole barocche, Il punto di vista di Dio e Tutto come ieri (ne trovate la recensione su ALIBI), sempre da Piemme è uscito La notte non ha bisogno, ancora un titolo che rende omaggio a De André, nume tutelare di Genova e degli autori che amano la città come la possono amare due foresti, colpiti da una «coabitazione tra elementi incongrui che è davvero affascinante».
E tanti – non è un caso – sono i foresti nelle storie di Nigra & Co., a cominciare dal protagonista e dal suo compagno, l’attore Rocco Antonelli, star della TV nei panni del commissario Scognamiglio. Proprio a Genova debutterà lo spettacolo teatrale che ha ideato e scritto. Un momento importante nella sua carriera. La tensione è alta e di pagina in pagina cresce perché…
Trattandosi di un giallo è difficile per il recensore dire qualcosa senza rivelare troppo della storia. Che ci siano due omicidi lo svela già la quarta di copertina, dove il lettore scopre che la trama ha a che fare anche con uno scandalo di corruzione politica. Qui mi limito a dire che rivediamo la bestia nera – sempre più nera – di Nigra, la sua ossessione, il leader del Partito degli Italiani (nome che da solo metterebbe i brividi se la realtà non si impegnasse a prenderci a schiaffi. Boskov direbbe: “incubo è quando ti svegli”).
E dunque guardiamola in faccia la realtà. È l’invito che ci fanno gli autori, raccontando in un romanzo giallo quello che accade dentro e attorno all’hub portuale di Genova, «la città più anziana, sospettosa e diffidente del mondo», un «paesone travestito da capoluogo di provincia» (e di regione, ndr), che si scandalizza per come si (s)veste un trapper – tale Fidel Dior – ma sembra ignorare quello che le passa sotto il naso, se non quando chiude una narice per aspirarlo.
Il sistema
Paolacci & Ronco sono attenti lettori e analisti del «sistema a ingranaggi» che si muove sotto la superficie, lontano dalle telecamere. Tutto si tiene. E allora i due scrittori ci mostrano re, principi e regine per come sono: nudi. La filippica padronale, lo sfruttamento degli immigrati, la retorica della famiglia tradizionale… Più di un personaggio ci presenta la propria Weltanschauung: quella di Fidel Dior è tra la più emblematiche dell’epoca da basso impero in cui viviamo.
È gennaio e Genova si offre al lettore in un’atmosfera alla Seven, in cui la pioggia non sembra voler finire mai. Delle descrizioni della città la mia preferita è quella dedicata al mare che Nigra non perde di vista mentre è in sella alla sua moto: «di un colore simile al piombo, increspato e cupo come si sentiva lui stesso, spuntava alla sua destra e spariva qua e là, dietro qualche cantiere improvvisato e gli stabilimenti balneari chiusi e circondati da muri e cespugli».
Ci sono diversi colpi di scena in La notte non ha bisogno, che naturalmente mi guardo bene dal rivelare. Le pagine pullulano di citazioni e rimandi più o meno espliciti, dal «cazzo di pietra» ad Annarella di Giovanni Lindo Ferretti, passando per Battiato, Poe, Carver e Hans Tuzzi.
Non mancano i problemi di cuore e non solo per il vicequestore – aggiunto – che a un certo punto comprende di non avere scampo: gli toccherà «parlare di sentimenti e cose del genere». No, non con il suo esuberante ex che in questa vicenda si ritaglia un bello spazio, con tanto di menzione del suo testo più noto, quel La mente rituale e la dimensione sacra del delitto in cui ci eravamo già imbattuti in Tutto come ieri. Anche perché dietro di lui intravediamo i due autori che emergono dall’ombra in questo brano:
[noi criminologi, ndr] mettiamo insieme informazioni disordinate e pezzi del caos, e cerchiamo di comporli in modo da trasformarli in qualcosa di comprensibile. Il lavoro del criminologo è del tutto simile a quello del narratore: si tratta di mettere in fila frammenti di psicologie incoerenti, fatti sconnessi, brandelli di vite contraddittorie, in un unico percorso che appaia il più logico e lineare possibile. E quello che fanno gli scrittori con le storie, né più né meno.»
La messinscena
Paolacci & Ronco giocano con il genere del giallo, le sue regole e le sue eccezioni (giusto in questi giorni sto leggendo Il detective difettoso. Ritorno al futuro per il romanzo poliziesco di Roberto Barbolini, appena mandato il libreria da Bibliotheka: ne parlerò prossimamente). Giocano in particolare – e con molto divertimento, loro e nostro – con la metaletteratura: «Nemmeno la realtà quotidiana era ancora riuscita a togliergli dalla testa [a Nigra, ndr] l’idea romantica e inverosimile di essere una sorta di detective da romanzo».
E giocano con i rimandi alle proprie opere, su tutte – direi – il recente Tu uccidi. Come ci raccontiamo il crimine (edito l’anno scorso da Effequ: anche di quest’opera devo parlarvi). Centrale nel romanzo è infatti il tema della messinscena o staging, ma qui anche in senso più ampio e metaforico. La pagina 124, con l’analisi degli automatismi narrativi, va letta con attenzione e meditata, a prescindere dal ruolo che ha nella trama del romanzo.
Ci sarebbe ancora tanto altro da dire. Gli spunti, come nelle precedenti inchieste, sono numerosi: dai simpatici gemelli che parlano uno slang tutto loro, all’importante lezione di vita che riceve Nigra, passando per una curiosa (e inquietante) bottiglia di vodka.
Attorno a Nigra c’è tutta la sua corte che amiamo dalla prima storia, compreso il povero Musso, sempre a rischio di smatafloni. La notte non ha bisogno mi sembra una prova dell’ulteriore maturazione della scrittura di Paolacci & Ronco, più attenti a controllare il livello di gigioneria dei personaggi e delle situazioni in cui li vediamo interagire tra di loro, caratteristica comunque irrinunciabile.
Nel frattempo la cronaca giudiziaria, quella vera, mette a segno colpi di scena da romanzo.
Saul Stucchi
Paolacci & Ronco
La notte non ha bisogno
Piemme
2024, 368 pagine
18,90 €