Frédéric Pajak ancora giovane studente s’innamora della figura di Nietzsche. “Quasi subito”, scrive lo scrittore-illustratore francese (ne abbiamo già parlato in passato), in un piccolo libretto, Nietzsche al piano traduzione di Nicolò Petruzzella al solito per L’Orma Editore, “ho capito di non avere a che fare con un filosofo, ma con un artista, un poeta notevole (…), con uno stile fatto di intuizioni, di clamori ritorti in ditirambi. Vi ritrovavo anche l’eleganza e l’ironia dei moralisti francesi”.
A sua volta il filosofo molto tempo prima aveva subito il fascino di Cosima, moglie di Wagner e figlia di Franz Liszt. Nietzsche credette di intuire in lei una disinvoltura “francese”, certa arroganza e sprezzatura nella conversazione che le faceva trattare argomenti e situazioni con quell’agilità che al genio ancora un po’ goffo mancava (ma per l’indimenticato, da noi amatissimo Mario Bortolotto, la donna non era niente più che una bas bleu, “antisemita volgare” e menzognera).
Cosa c’entra, si dirà. C’entra perché i Wagner, moglie e marito, entrano nella vita di Nietzsche, avrebbe detto egli stesso, come un destino: la musica, per Nietzsche, con il destino dell’umanità stessa aveva a che fare.
“Leggendolo e rileggendolo – scrive ancora Pajak, che qui limita il contributo grafico a soli ma incisivi otto disegni – appare chiaro quanto la musica intrida la sua scrittura: ogni frase è melodiosa, ogni libro è una sinfonia”.
Nietzsche è prima di tutto un musicista (ancorché mediocre), e la musica non lo ha mai abbandonato – incline da subito: “Comincia molto presto a studiare il pianoforte; è un allievo dotato, impara a leggere la musica e a decifrare gli spartiti di opere sinfoniche, che suona nella trascrizione per tastiere.”
Ci pensa pure, Nietzsche, a immaginarsi nella professione di musicista, e gli ci vorranno anni per accettare di non essere il pianista che avrebbe voluto – brillante, fantasioso, ma in definitiva modesto e alquanto approssimativo nella composizione. Il prodigioso talento si annida altrove se è vero come è vero che a ventiquattro anni ce lo ritroviamo, neghittoso, a insegnare filologia all’università di Basilea.
Nel 1869 l’incontro fatale con Richard Wagner – il mentore, il mago, il grande rivoluzionario della musica, un uomo che ha più del doppio dei suoi anni. Tra i due c’è stima, ammirazione reciproca, calore umano persino. Il giovane di belle promesse vivrà molti momenti felici in una villa con domestiche, giardinieri e ospiti importanti, e soprattutto una musica esplosiva, che a suo discutibile avviso recupera le passioni dimenticate con la dipartita di Beethoven.
Nella ricca magione dei Wagner, Nietzsche capisce di non essere più che un dilettante, ma coltiva l’illusione di esserlo in quel modo particolare che si definisce “di genio”: incassa le critiche, quasi si scusa di provare a comporre ma gli costa fatica impedirselo. Perché suonare gli procura piacere: la musica addomestica i suoi umori, improvvisare al pianoforte lo esalta (pratica non accidentale nemmeno nella scrittura) – si avverte l’eco di Schumann e Liszt.
Fino a quando – sono gli anni de La nascita della Tragedia e del fulmineo passaggio dalla filologia alla filosofia – ha l’ardire di annunciare ai due coniugi di aver composto un’opera molto singolare, un’opera dionisiaca dice, va da sé, per piano a quattro mani. La regala a Cosima, per il suo compleanno: il pudore o la timidezza gli suggeriscono però di non presentarsi, e fa bene, perché suonando la partitura la donna, il perfido marito e gli ospiti si scompisciano dalle risate.
Quella che Nietzsche crede di riprodurre con le sue improvvisazioni, scrive Pajak, è “danza della tragedia, danza del dramma satirico e della commedia”, ma i più trovano le sue composizioni sgrammaticate, confuse, “antimusicali” secondo definitiva sentenza del direttore d’orchestra Hans von Bülow, primo marito della stessa Cosima (e daje).
In verità in pochi gli riservano parole più dolci – l’amico Köselitz, per il quale Nietzsche “possedeva un tocco estremamente intenso e tuttavia poco persistente, aveva un suono eloquente, polifonico, molto vario, e in quel magma orchestrale si udivano distintamente le voci di un coro, o di flauti e violini, o ancora dei tromboni”.
Ben altra forza l’aspirante Übermensch esibisce scrivendo, e scagliandosi contro Paolo (è lui il vero problema, più che Cristo), “l’apostolo raziocinante, il fabbricante di religione, l’ecclesiastico che descrive la vita umana come una valle di lacrime”.
Con Wagner, com’è noto, le cose si mettono male, ché l’artefice del Parsifal agli occhi di Nietzsche principia a fabbricare una “musica malata per un pubblico di uomini deboli e esauriti” – le questioni estetico-filosofiche s’intrecciano con il peggioramento dei rapporti umani.
Nietzsche gli suona Brahms e “il tiranno” dà in escandescenze (per non dire di Cosima, capace in ultimo di trattare il filosofo come un servetto al quale ordinare due paia di mutande). Agli albori di Bayreuth, alle prime rappresentazioni, sebbene Nietzsche ancora scriva bene di lui, Wagner è ormai avviato verso l’autosantificazione. Ecco così il giovane ormai ex sodale sterzare improvvisamente e definire il festival una “pacchianata”.
Trattandosi di musica, per entrambi è questione di vita e di morte: l’avvenire radioso per Wagner passa dai miti germanici, niente di più lontano dall’ossessione greca, mediterranea del filosofo, pronto a rinfacciare al musicista e agli amanti della sua opera uno stucchevole sbrodolamento di sentimenti – laddove la passione dionisiaca ora per Nietzsche giace tutta nella Carmen di Bizet (per non dire del disgusto che gli procura il rivoltante antisemitismo del musicista – quello vero, questo va detto).
Alla magniloquenza e alla teatralità wagneriane, Nietzsche preferisce persino la frivolezza dell’operetta – Offenbach, per dire. Perché la musica deve avvicinare i Greci: “Oh questi Greci, loro sì che erano superficiali – per profondità!”.
E se fosse, per paradosso che solo chi non comprende che ogni filosofia va superata in ragione della vita, la fisiologia il vero apice del pensiero nicciano? – Wagner non potrebbe mai comprenderlo. I pamphlet contro l’uomo, quell’istrione improfumato e roboante che è diventato il suo peggior nemico, precedono di pochissimo il crollo cerebrale.
Eppure l’Homo ci aveva visto giusto: pianista mediocre sì, ma che sarebbe “diventato un destino” – giusto l’epitaffio involontario dell’ultima opera – nessuno potrebbe negarlo.
Michele Lupo
Frédéric Pajak
Nietzsche al piano
con otto disegni dell’autore
Traduzione di Nicolò Petruzzella
L’Orma Editore
2024, 80 pagine
16 €