Da queste parti si nutre una sorta di devozione per Thomas Mann, non diciamo esattamente dove ma il lettore fedele di ALIBI lo sa. Nella famiglia del grande scrittore, è noto anche questo, altri seguiranno le sue orme; nessuno ne eguaglierà il genio, ma una parte rispettabilissima del talento si distribuirà tra i figli Erika e Klaus, meno nello storico Golo – senza dimenticare il fratello Heinrich.
Uno dei titoli più importanti di Klaus Mann Mephisto. Romanzo di una carriera è tornato in libreria di recente (l’editore è Castelvecchi, il traduttore, nonché prefatore è Massimo Ferraris).
Klaus era un uomo non meno inquieto del padre, diciamo anzi di più, visto che interruppe volontariamente la sua vita a Cannes, nel 1949. Forse proprio la difficoltà di pubblicare il libro in patria ebbe un peso nel gesto estremo: l’uomo adombrato nell’attore Hendrik Höfgen, protagonista del libro, divenuto consigliere di Stato nel Terzo Reich, era ancora una figura potente della Germania del dopoguerra e in Germania non se la sentirono di stampare il libro se non molti anni dopo (emerge sempre più nitida la constatazione che i famigerati conti col nazismo dei tedeschi non fossero stati poi così netti e convinti).
L’uomo in questione era Gustaf Gründgens, amico e collaboratore di Klaus per qualche anno, cognato persino, attore talentuoso che nella versione dello scrittore è però tutta commedia, istrionismo e sostanza zero.
Mann negò dapprima che si trattasse di un romanzo a chiave; certo aveva ben ragione nel ritenere di aver ritratto dei tipi – fra i personaggi si riconoscono Goebbels, Göring e altri – in qualche modo esemplari di un mondo, quello nazista, che egli volle descrivere nei suoi meccanismi di potere, sigla emblematica dei quali fu proprio l’ascesa di Höfgen-Gründgens.
I personaggi si manifestano al lettore secondo l’andamento classico del romanzo tradizionale, comprese le puntuali descrizioni fisiche, virate però spesso in una chiave satirica, zoppi e ciccioni delle gerarchie naziste sono perciò stesso riconoscibilissimi e come tale definiti – quanto a Gründgens, dirà poi Mann, non era peggiore di altri ma averlo conosciuto da vicino gli aveva facilitato il compito di un’ecfrasi maliziosa e sottile del potere in scena.
E di scena si parla a proposito dell’inizio del libro, una cerimonia, il gran ballo di compleanno del presidente del Consiglio dei Ministri, ove una selezionata folla di marionette esibisce lo smaccato compiacimento di credersi un’élite e si sdilinquisce in un teatro di salamelecchi reciproci, fra gioielli, “onorificenze sul petto degli ufficiali e sui visi dipinti delle dame” (la moglie del padrone di casa crede sinceramente che “Dio le volesse bene”). Laddove il protagonista, un “volto pallido con gli occhiali di tartaruga, ostentava quella imperturbabilità marmorea cui le persone molto nervose e vanitose riescono a costringersi quando sanno di essere osservate da tanta gente”.
L’attore viene raccontato a partire dalle velleità giovanili di dirigere un teatro rivoluzionario, contiguo al mondo comunista; non durerà molto. Finirà per poi accasarsi al momento giusto nel regime hitleriano.
Quel che riesce allo scrittore, nonostante l’intenzione satirica necessitata non solo dalla critica al regime ma anche dal desiderio di un brutale regolamento di conti personale con il vero Gründgens, è costruire un vero personaggio letterario: che se risulta vuoto, è perché conforme alla sua natura.
Lo si nota in alcune scene di suggestiva incisività – quelle relative all’incontro con la “principessa Tebab”, per esempio, una danzatrice nera che approfittando delle sue foie lo soggioga, lo umilia e disarticola come un burattino. Il milieu è dunque solidamente caratterizzato, pur gravato dall’ossessione dell’autore che aggiunge considerazioni a latere talvolta superflue: è l’impegno, termine desueto, che gli prende la mano.
E tuttavia ci consegna un quadro non iperbolico né fittizio di un’umanità e di un contesto politico dai tratti riconoscibili anche nell’oggi: l’adulazione, la competizione senza scrupoli, la messinscena come agire quotidiano.
Mephisto non solo vende la propria istrionica arte al nazismo, ma agisce per vanità e hubris all’interno di un regime di cui capisce benissimo la natura: non che ne condivida sino in fondo l’ideologia ma la stessa non gli fa problema alcuno.
Di più, la sua attitudine alla menzogna sistematica diviene emblema del regime stesso: finzione, spettacolo, estetismo dell’azione politica, significativo per il suo abito a prescindere dai suoi fini. L’esercizio narcisistico del potere slitta dal palcoscenico al teatro del mondo, una tragica commedia in cui a soccombere è la capacità di giudizio degli spettatori – oggi diremmo degli elettori. Questo libro ci parla in maniera persino sfacciata.
Michele Lupo
Klaus Mann
Mephisto (Romanzo di una carriera)
Traduzione di Massimo Ferraris
Castelvecchi
Collana Le Vele
2024, 320 pagine
18 €