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Voi siete qui: Biblioteca » Haroldo Conti, tra il dovere e il piacere della memoria

19 Febbraio 2021

Haroldo Conti, tra il dovere e il piacere della memoria

Recensione di “Sudeste” e “Mascaró” di Haroldo Conti (Exòrma).

La sorte dell’argentino Haroldo Conti è stata tragica. Il 4 maggio 1976 fu violentemente “prelevato” nella sua abitazione del quartiere Villa Crespo, a Buenos Aires, da sei uomini armati. Era nato da Pietro Conti e Petronilla Lombardi (cognomi diffusi nell’ampia fascia rivierasca del Po, soprattutto tra Piemonte, Emilia piacentina e Provincia di Pavia) 51 anni prima. Di lui non si è più saputo nulla – come d’altronde è successo per migliaia e migliaia di suoi connazionali.

Ci ha lasciato, però, una serie di libri (romanzi e racconti, l’ultimo dei quali terminato il giorno del suo “prelievo”) che lo collocano tra le migliori penne della letteratura novecentesca in castigliano. Due di questi volumi sono stati pubblicati, in questi ultimi anni, dall’editore romano Exòrma, nell’eccellente traduzione dello scrittore ligure Marino Magliani e del collega varesotto Riccardo Ferrazzi, che hanno messo a disposizione la propria precisione sintattica (non un segno di interpunzione fuori posto) e la propria ricchezza lessicale, sfoderata anche, per esempio, nel rendere la complessa terminologia tecnica della navigazione.

Sudeste

“Sudeste”, pubblicato nel 1962 e vincitore del Premio Fabril, ci porta sulla foce del maestoso Paraná, per raccontarci un tratto di vita del barcaiolo, cacciatore e pescatore soprannominato “el Boga”.

Haroldo Conti, Sudeste, Exòrma

Non mi soffermo sulle minuzie della trama – invero piuttosto avvincente – che il lettore scoprirà da sé una pagina dopo l’altra. Qualcosa voglio invece dire sullo stile. La prosa di Conti è straordinariamente sensoriale: visiva, auditiva, olfattiva – tattile persino. Un paio di esempi:

“Il rombo degli aerei cresce e decresce sopra la sua testa da un estremo all’altro del cielo. E poi silenzio. Il motore di una lancia ruggisce disperatamente, molto lontano, attutito dalla distanza. Un uccello dal piumaggio scuro torna ad alzarsi in volo con uno strillo desolato. E adesso si sentono i latrati del cane, incredibilmente uguali e tristi”.

“Le isole sono un profilo illusorio, un’ombra che oscilla sull’orizzonte verso ovest. Se finalmente uno riesce ad avvicinarsi, gli sembrano anche più remote, abitate dal silenzio, dalla solitudine e da una tristezza senza rimedio. D’inverno la luce si rifugia in alto. Il mattino e la sera hanno origine nella zona più alta del cielo, molto lontano dalla terra. D’estate succede il contrario: la luce comincia a sbocciare proprio dalle isole e, spingendosi in fuori, dilaga nel resto del giorno. A metà mattino le isole sembrano chiatte che beccheggiano allegramente sull’acqua. Se uno naviga verso le isole, va verso il chiarore. E verso quello strano subbuglio che diventa sempre più intenso man mano che l’estate va maturando”.

Alcune letture “di formazione” si intuiscono in controluce (a dispetto della diffidenza mostrata dallo scrittore verso “la penetrazione culturale dell’imperialismo nordamericano in America Latina” – ma qui si tratta, a ben vedere, di autori tutt’altro che imperialisti…): Mark Twain (con le peripezie del suo Huck Finn), Jack London e i suoi avventurieri persi in una Natura inclemente, i vagabondi “paisanos” di John Steinbeck.

Il Conti professore di latino non poteva tralasciare un ammicco alle Georgiche di Virgilio: “Le viti selvatiche si rampicavano e nelle vecchie fenditure brulicavano i favi delle api”. Ma soprattutto si possono rilevare, per soffermarci in ambito ispanofono, varie affinità col prezioso e parsimonioso Juan Rulfo, a sua volta imparentato stilisticamente col nostro Silvio D’Arzo. In certi stilemi, poi, si ha quasi l’impressione di veder anticipato il lirismo paesaggistico di Francesco Biamonti: “(…) la luce sembrava arrampicarsi verso l’alto (…)”.

Mascaró

“Mascaró” è invece uscito nel 1975, assicurando al suo autore il prestigioso Premio Casa de las Américas. Il Grande Fiume è abbandonato, a favore dapprima dell’oceano infinito, coi suoi piccoli, miseri porti (qui, di nuovo, ci troviamo di fronte a una sorta di prefigurazione biamontiana: “Il mare è un’entità concreta che promana dalla terra. Cambia colore secondo il cielo: rosa, lilla, violetto e finalmente blu. E quando il cielo giunge alla fine, il mare, come un vetro profondo che tutto trattiene, ne conserva i pallori”), e quindi di un deserto assai simile a quello messicano evocato da Juan Rulfo (” Il suono dello zufolo resiste, si dilata nella luce. Si accorda col vento.”; “Ogni tanto il vento sollevava fiotti di sabbia che volavano da un lato all’altro cambiando colore. Si infiammavano come una vampata.”).

Haroldo Conti, Mascaró, Exòrma

Il personaggio principale è Oreste Antonelli (oltre al suo, sono parecchi, nel libro, i cognomi italiani, compreso quello della madre dello scrittore, assegnato alla “minuta e graziosa amazzone signorina Lombardi”…): un soggetto di professione indefinita e indefinibile, che ci accoglie, nella prima pagina, ascoltando musica popolare suonata dal vivo in una taverna portuaria, e ci lascia, giunti all’ultima riga, in un’altra taverna, per seguire “la sua strada”, finalmente individuata (quella della lotta a una dittatura feroce, da cui è stato assurdamente imprigionato e torturato per due mesi: quasi Conti presagisse ciò che lo aspettava…).

Tra le due estremità del segmento narrativo, l’incontro fondamentale, che gli cambierà la vita, col Principe Patagón (la cui ampollosa eccentricità fa pensare un po’ a Don Chisciotte e un po’ a Vittorio Gassman). I due uomini, infatti, assieme ad altri figuri “tipici” e sgangherati, ad alcuni animali insolitamente umani e alla superprosperosa Maruca López Esteve, allestiscono un circo col quale iniziano a percorrere l’intero Dipartimento, registrando una serie di incontri surreali, quasi onirici, tali da rivelare, rispetto al primo libro, la lezione – nel frattempo apparsa alle stampe – di Gabriel García Márquez (non a caso, prefatore di questo volume).

Ma anche il personaggio di Zorba il greco, quale si staglia nel romanzo di Nikos Kazantzakis e nel film con Anthony Quinn, deve aver contato più di qualcosa per tirate come questa, attribuita al Principe: “Poi ho capito che il corpo può essere di disturbo o di aiuto, quasi un amico. Non maltrattarlo e non lusingarlo. Bisogna essere esigenti, mantenerlo magro e legato al guinzaglio come un cane… Nei primi tempi, il poveraccio gemeva e scricchiolava come una vecchia barca. Certe notti mi svegliavo gridando, e nelle prime settimane sognavo tagliolini al pesto, che nell’altra vita erano la mia passione. Ma poi il corpo si è fatto secco e sottile: oggi va che è un piacere e si mette in marcia al primo squillo…”.

Sono tante le assonanze e i rimandi che si possono segnalare in una narrazione così ricca. Preferisco lasciare ai lettori il piacere squisito del ritrovamento e dell’identificazione.

Ma prendere in mano questi due libri è – oltre che, appunto, un piacere personale – un dovere di memoria verso il loro autore, verso una voce così alta e potente messa a tacere in modo così brutale. Ed è anche, se vogliamo, una sberla che chiunque ami l’arte e la letteratura può assestare a tutte le dittature, da sempre nemiche della fantasia: non asservita e non asservibile ai loro turpi fini.

Grazie, Haroldo Conti, per le pagine che ci hai regalato. Dopo averle lette, porteremo sempre in noi quel che di più intimamente tuo esse contengono. Così, a dispetto dei tuoi miserabili carnefici, continuerai a esistere. Non praevalebunt…

Marco Grassano

  • Haroldo Conti
    Mascaró
    Exòrma
    Collana Quisiscrivemale
    Prefazione di Gabriel García Márquez
    Traduzione di Marino Magliani
    2020, 360 pagine
    16,50 €
  • Haroldo Conti
    Sudeste
    Exòrma
    Collana Quisiscrivemale
    Traduzione di Marino Magliani
    2018, 224 pagine
    14,90 €

www.exormaedizioni.com

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