Raoul Precht ha scritto un bel libro su quel curioso affaire che fu il Festival dei poeti dell’estate 1979 a Castelporziano. Un romanzo autobiografico che funziona forse perché il racconto è in un certo senso laterale, non prende l’evento frontalmente, né sul piano dei fatti né su quello delle intenzioni che gli diedero vita eppure riesce a dirci benissimo degli uni e delle altre.
Ne Il mare dei poeti (Bordeaux Edizioni), l’autore era solo un giovane liceale, abbastanza dotato evidentemente perché gli venisse affidato ‘incarico di accompagnare e tradurre quattro poeti, due austriaci e due tedeschi, sconosciuti ai più, germanisti compresi.
Inutile ripercorrere le storie e il clima generale di quei giorni, c’è una discreta letteratura sull’argomento e i filmati che ognuno può rintracciare da sé. L’aria era afosa, l’albergo del caso scalcagnato, (“fatiscente” esordisce il narratore), mancava l’acqua, farsi una vera doccia un miracolo, e per lo più il pubblico stesso era composto di varie tipologie di miracolati, appassionati di poesia (pochi), discreta componente tardo-freak, compresi ragazzini accorsi a sballarsi in qualche modo che al massimo avevano leggiucchiato i nomi storici della Beat generation (tipo chi scrive) e i vetero-compagni sempre in bilico fra la lotta dura e pura e il “cioè, vaffanculo”.
Precht, sospeso fra il timore del giovane inesperto e la lieve improntitudine di chi è sorprendentemente chiamato a un’occasione unica, cerca di sapere il possibile sui quattro (Erich Fried, Volker von Törne, Gerald Bisinger e Johannes Schenk).
Lo fa con garbo e intraprendenza insieme, cercando in poche ore di intenderne per così dire umanità e poesia, l’aspetto, l’abbigliamento, il modo di parlare, persino un abbozzo di poetica, perché – lost in translation – si perda o fraintenda il meno possibile, dei loro versi soprattutto. Persone diversissime fra loro, peraltro, per temperamento, stile e storie personali, e di cui verso la fine del libro lo scrittore confessa di non saperne valutare il vero valore letterario.
Precht si muove fra il passato di quei giorni (e di quegli anni) e il presente della scrittura, consapevole delle fallacie della memoria, sia sul piano dei fatti che su quello, a posteriori, della loro interpretazione. Se esemplari umani poco ordinari (“i poeti”) potevano essere percepiti da un giovane – sebbene piuttosto sveglio – come simulacri è anche vero che la scenografia della memoria può fare di ogni ricordo, individuo, situazione un simulacro.
I lunghi decenni trascorsi nel frattempo inglobano trasformazioni interiori ma anche prospettive diverse nella valutazione degli eventi storici e c’era pur sempre un’esibizione di mezzo, un evento spettacolare che chiamava in causa giocoforza la messa in scena di sé. È noto che il clima della manifestazione, non proprio quello di un reading accademico di poeti per poeti o veri lettori, spinse la vicenda fuori dalla letteratura – cosa ben diversa accadde nel reading genovese organizzato da Sanguineti un mese prima.
Per molti, compreso forse il giovane narratore, aspirante poeta in proprio, sembrava che lì si giocasse una tappa esistenziale decisiva, come se fosse finito nel cuore della vita stessa, ma nell’indotto extra-poetico lo stesso principio provocò un clima per lo più farsesco.
Precht, va detto, non si allontana mai da una presa credibile, convincente di quella stessa scena, perché sceglie di raccontare dall’angolo di osservazione che gli è capitato in sorte, ma vede molto, sensibilissimo ai minimi spostamenti d’aria e di umore, agli sguardi e agli scambi con e fra i quattro – di rimando l’orizzonte complessivo dell’evento rimbalza a ogni momento e l’ironia del narratore regala pagine felici.
Non risparmia frecciate agli organizzatori, al celebre e fantasioso assessore delle notti romane, accorso il terzo giorno, vestito alla marinara, dopo le polemiche delle serate precedenti; né il giovane liceale fu cieco alle manovre dei capi-corrente col distintivo di poeta sul petto. E com’è noto, non andò bene a tutti.
Se Ginsberg o Ferlinghetti poterono cavarsela, Dario Bellezza ne uscì malconcio, gli si denudarono in faccia, lui declamò come un bambino, con vittimismo irritante – il parere è dello scrivente; Precht invero ne parla con tenerezza, anche della perplimente richiesta di un applauso, mentre un certo sarcasmo riversa al germanista ambizioso che sperava di guadagnare gli onori di una nota su “Der Spiegel”.
Inoltre, benché fosse un giovane a modo, Precht non fu certo insensibile ai vari accidenti dell’happening, il gigantesco minestrone per tutti, il palco periclitante col finale che tutti sanno, la Maraini intimorita dai politicizzati o presunti tali che chissene della poesia a fronte della lotta proletaria, le vertigini dell’hashish e non solo. Il giovane traduttore (in trasferta metro da Roma sì, ma non proprio il tipo del romano caciarone – belle peraltro le digressioni su Roma) non si tirò indietro, non facendosi mancare nemmeno una semi-onirica avventura amorosa.
Ma più dei fatti nel racconto di Precht – a suo modo, un romanzo di formazione – conta la scrittura. Lunghissime frasi tengono il narrato dentro l’attenzione costante di sequenze che comprendono il momento, la scena, l’aneddotica e digressioni che seguono il flusso dei pensieri.
Qui il punto è strutturale: l’evidente gioco di specchi fra il ragazzo di allora e l’uomo che ne fa racconto dopo tanto tempo comporta che le digressioni non siano propriamente tali, perché storia e Storia stanno insieme e tutto concorre alla costruzione di senso, o tutto lo rovescia per aria, stante “la difficoltà di separare nettamente il presenta dal passato in questo magma continuo che un po’ approssimativamente chiamiamo vita, dove i pensieri confluiscono in un insieme indifferenziato”.
Da qui, crediamo, deriva la scelta (obbligata, se ricordiamo che la forma è il contenuto) di una sintassi dispiegata in un continuum di periodi lunghissimi in cui scarseggiano pure gli a capo. Il che fa de Il mare dei poeti un libro vero, per lettori forti, attrezzati, un romanzo che attraverso le giornate di Ostia inscena un teatro di illusioni e desideri, di clownerie anche, un mondo irripetibile in cui vita e letteratura si confondono perché la seconda tentò disperatamente, anche, di stringersi con le ragioni della prima. Un libro benvenuto.
Michele Lupo
Raoul Precht
Il mare dei poeti
Bordeaux Edizioni
Collana Biblioteca
2024, 144 pagine
16 €