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Voi siete qui: Biblioteca » Sulle rotaie della memoria: i lenti tram di Noé Jitrik

19 Luglio 2021 Scritto da Marco Grassano

Sulle rotaie della memoria: i lenti tram di Noé Jitrik

“Highway 61 Revisited” è il sesto disco (1965) di Bob Dylan, quello che segnò il suo definitivo passaggio dal folk al rock, e dalla chitarra acustica a quella elettrica. Il titolo allude alla superstrada americana che va dal Minnesota alla foce del Mississippi, attraversando, verticalmente, tutti gli USA: è quindi assumibile come un (baudelairiano?) invito al viaggio.

Da tale arteria prende il nome anche una collana delle raffinatissime edizioni Amos, che aveva accolto, tra l’altro, due testi di Kenneth White da me a suo tempo recensiti, e che ora presenta questo eccellente romanzo-ricordo di Noé Jitrik, “I lenti tram”.

Noé Jitrik, I lenti tram, Amos Edizioni

L’io narrante, docente di letteratura e scrittore, rievoca sé stesso nella Buenos Aires di inizio anni Quaranta: un ragazzino – l’ultimogenito di una famiglia ebraica proveniente dall’Europa orientale – che si muove stupito e curioso sullo sfondo multietnico della grande Capitale del Sud.

Vista la sua professione, sono molti gli autori che cita espressamente: Borges, certo, ma anche Isaac Singer, Rubén Darío, Roberto Arlt, Atahualpa Yupanqui (cantautore folclorico), Julio De Caro (compositore di tanghi), Hermann Broch, Proust (più volte), il “padre della scolarizzazione nazionale” Domingo Faustino Sarmiento, Jack London, Pirandello, Alfonsina Storni (poetessa argentina di origini ticinesi), Canetti, Poe, Conrad, Gogol’… Non mancano, peraltro, allusioni al cinema: “Orizzonte perduto”, di Frank Capra (1937), o i registi “nostri” Visconti e Fellini (richiamato assieme a Nino Rota).

Lo sguardo di un ragazzino

Curiosamente, però, non vengono menzionati i due scrittori che forse risuonano maggiormente in queste pagine: Guillermo Cabrera Infante ed Henry Roth. Dal primo (e in particolare dal suo celebre “La Habana para un Infante Difunto”) mi sembra provenga l’impostazione stessa del libro: lo sguardo sensuale dell’adolescente sul mondo urbano che lo circonda, e il linguaggio, spesso venato dall’ironia dell’adulto, in cui entrambi (lo sguardo e la città) sono trasposti.

Al secondo riconduce probabilmente, più che un’influenza letteraria, una concordanza biografica: anche il ragazzino dei libri di Roth (alter ego autoriale) è ultimogenito in una famiglia yiddish proveniente dall’Est europeo, con un padre che si inventa di continuo attività fallimentari e con una madre dal parentado un po’ ingombrante; anche lui percorre incuriosito gli smisurati spazi, le gigantesche vie di una metropoli (New York, nel suo caso) piena di immigrati da ogni parte del mondo, confrontandosi allo stesso tempo col patriottismo “indigeno” veicolato dalla scuola.

In un libro così tramato di osservazioni istantanee, intessute all’ordito della memoria, sarebbe assai riduttivo, se non addirittura impossibile, riassumere la vicenda.

Il titolo proviene da un’evocazione di pag. 84: “tornavamo a casa su lenti tram (…), ascoltando lo stridio dell’acciaio prodotto scivolando sulle rotaie”. Sono proprio queste cigolanti carrozze a riportare allo scrittore di oggi gli stimoli multisensoriali ricevuti allora.

La traduzione

La prosa è ricca, sovente articolata in periodi dall’ampio respiro proustiano e con un lessico che spazia tra il popolare (inclusi i termini in lunfardo) e il colto: caratteristiche non semplici da riprodurre in altra lingua. Eppure, la versione che abbiamo appena letto (opera di Marino Magliani e Alessandro Gianetti, con la consulenza di Riccardo Ferrazzi) trasmette la felice sensazione di un testo originale italiano. E qui vale la pena di inserire una breve riflessione sulla complessa arte del “tradurre bene”.

Magliani, Gianetti e Ferrazzi sono anche ottimi prosatori “per conto loro”. Un narratore-traduttore deve mettere a disposizione dei testi che traduce la propria tecnica, la propria dovizia di linguaggio, acquisite durante la costante pratica della scrittura, anche traduttoria, ma non può imporvi o sovrapporvi il proprio stile.

“Lo stile è l’uomo”, diceva Buffon (il naturalista, non il portiere). E, appunto, l’autore tradotto è uomo diverso dal traduttore, che pertanto deve mettersi al suo servizio – al servizio del suo stile. La scrittura di “I lenti tram” è rimasta indiscutibilmente quella di Jitrik – solo, perfettamente adattata alla nostra lingua. Può davvero esserne contento: non a tutti è toccata la stessa sorte benevola…

Direi che non serve aggiungere altro per far capire che questo libro merita di essere letto.

Marco Grassano

Noé Jitrik
I lenti tram
Traduzione di Marino Magliani
Revisione di Alessandro Gianetti
Con un saggio di Luigi Marfè
Amos Edizioni
2021, 192 pagine
15 €

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