Frequento con partecipazione le pagine di Kenneth White da quando questo minuzioso e stimolante autore, al contempo francese e scozzese, vinse – assai pertinentemente, a mio avviso – il premio Grinzane-Biamonti. Kenneth è Presidente dell’Istituto Internazionale di Geopoetica. In cosa consiste questa disciplina? Cerco di farlo comprendere con le parole che ho impiegato per chiedere l’adesione all’Istituto: sulla base della mia esperienza lavorativa tecnico-culturale, ritengo indispensabile un rapporto stretto e diretto tra le arti e le scienze, perché ho verificato come le conoscenze scientifiche (botanica, geologia, biologia, chimica, ecc…) possano aiutare, per esempio, l’artista, il musicista, il regista o lo scrittore-poeta a “vedere”, a “leggere”, a “capire” meglio il paesaggio, per poterlo più efficacemente raffigurare o evocare, mentre l’affinamento di un gusto estetico, elaborato sull’arte, la letteratura, la musica, il cinema d’autore, aiuta gli scienziati e i tecnici ad essere più armoniosi – e più rispettosi dell’armonia generale della Terra – nelle loro ricerche e progettazioni, e più chiari nelle loro esposizioni.
Finora non molto di quanto White viene producendo da decenni era disponibile in italiano: una presentazione della sua opera sulla rivista Poesia; la raccolta Lungo la costa, uscita a Mestre da Amos edizioni… Adesso, il combattivo editore veneziano offre al pubblico (nella collana dai richiami dylaniani “Highway 61”) altri due preziosi libri di strada, che ci raccontano il Canada – La strada blu – e il Giappone – I cigni selvatici.
Il Canada, bilingue come Kenneth, emerge dalle pagine whitiane con nomi, personaggi, suoni e immagini di una quotidianità che, nei suoi spazi dal vasto respiro già affrontati da Whitman e da Thoreau, appare suggestiva, quasi straniante, se confrontata alle esperienze ristrette, anguste persino, della nostra realtà padana. L’itinerario giapponese ricalca invece, secoli dopo, il percorso distillato in piccole sillabe nei laconici haiku di Matsuo Bashō: poeta e pellegrino nipponico fatto conoscere in Europa da Nicolas Bouvier con la traduzione della miscellanea di prosa e versi L’angusto sentiero del nord.
Ed è proprio il compianto “scrittore viaggiatore” ginevrino a darci le formulazioni più efficaci per avere un’idea adeguata dell’opera di Kenneth White (del quale era amico). Non solo perché collocò una sua frase (“Non ci si può proprio accontentare di andare e venire così, senza dire una parola”) in epigrafe al proprio fortunatissimo libro Il pesce scorpione, ma anche per il capitolo del saggio La bella fuga – elogio di alcuni peregrini dedicato proprio a White.
Ne traduco qualche frase particolarmente significativa. “Caro Kenneth (…). La prima volta che ho sentito il tuo nome è stato in occasione di un seminario al Trinity College di Dublino, nel 1978. Avevo letto le pagine un po’ allucinate sul Nord Giappone, dove ero andato a perdermi, qualche anno prima, tra le brume, le torbiere, i greti desolati, le ombrellifere giganti. (…) Gli studenti mi dissero: ‘Conosce Kenneth White? C’è, nei vostri modi di vagabondare, come un’aria di famiglia’. (…) Ho riletto questo pomeriggio, tra le tinte variegate di due aiuole di fiori, alcune pagine prese a caso da diversi tuoi libri, e ogni volta ho trovato ciò che auspico in un testo: né glosse né commenti, ma una scrittura estrosa, precisa e turbolenta, un ‘DA SEIN’, una capacità di cogliere l’istante, per misero che esso sia, pressoché assoluta, e del sale sulla lingua. (…) Tu mi parlavi, lo scorso anno, di ‘presenza plenaria’, di un scrittura abbastanza rapida e nuda da catturare la realtà. È, nel nostro lavoro, la sola cosa che mi interessi veramente. E a te è assai spesso riuscita: in ogni momento, in prosa o in poesia, sorgono istanti di vita, caldi come conigli estratti da un cilindro, verdi come il crescione”.
Anche per rendere la cifra stilistica della scrittura praticata da entrambi soccorrono le parole di Bouvier: “Lunga pazienza, ricerca e attesa della parola esatta, capace di restituire agli incontri, alle voci, ai paesaggi, alle strade la freschezza originaria e i contorni precisi che vi avevamo scorti. Lavoro da forzati, perché si tratta di rendere con un vocabolario opaco, pesante, lacunoso, ciò che avevamo avvertito come aerea leggerezza, trasparenza e misteriosa polifonia. Ma è il nostro lavoro, e l’abbiamo scelto noi”. Ecco finalmente una buona occasione per leggere Kenneth White anche in italiano. Non perdiamola: la nostra vita ne risulterà in qualche modo migliore.
Marco Grassano
Amos Edizioni
2012, 200 pagine, 16 €
Viaggio in Giappone
Amos Edizioni
2012, 180 pagine, 15 €