Scriveva tempo fa David Baker che “in media, i bonobo si masturbano ogni una o due ore e cercano contatto sessuale con il partner ogni novanta minuti, anche se gran parte di questi approcci non comportano la penetrazione e non hanno come fine l’eiaculazione o l’orgasmo”. Ora, è vero che la linea evolutiva che separa i bonobo e gli scimpanzé non dal Sapiens ma dall’Homo neanderthalensis, dall’Erectus etc data sei milioni di anni ma è presumibile che anche da questa parte ci si sia sempre dati da fare.
Eppure masturbarsi è una roba moderna, non la cosa in sé, ovvio, ma la costruzione mitologica che ognuno ha sentito evocare nelle narrazioni collettive oppure, nei casi più sfortunati, ha dovuto sciropparsi, con tanto di rischi per il proprio equilibrio psicologico, all’interno delle mura di famiglia.
Tale almeno è la tesi di un libro già tradotto nel 2007 da il Saggiatore, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione, di Thomas W. Laqueur, ora di nuovo in libreria per lo stesso editore.
Onania, l’opera anonima che avviò la costruzione di cui sopra porta la data 1712. Se, scrive Laqueur, “fu in età medievale che la sessualità diventò la piaga da debellare, a favore di una castità salvifica e edificante, mentre l’autoerotismo veniva al massimo considerato una forma di grettezza, a trasformare la masturbazione in un grave problema morale e medico fu, nel 1712, la pubblicazione di un libercolo che ebbe larga diffusione e acquistò notevole credito, malgrado fosse opera di un ciarlatano che pubblicizzava i propri intrugli”. Bel paradosso, si direbbe, tracciare nell’Illuminismo quella marca di pruderie che ha intossicato il gesto più intimo di un umano, darsi da fare sessualmente con sé stesso.
Il lavoro di Laqueur è assai corposo, oltre 400 pagine, e fatti e argomentazioni vi si dispiegano in una trama densa e replicata per i più scettici attraverso una robusta struttura retorica. Che pure non riesce a eludere alcune contraddizioni, sebbene la ricerca appaia più persuasiva di alcuni celebri passi di un altro suo lavoro, Making Sex, in cui sosteneva che non esistesse differenziazione fra maschi e femmine fino, ancora, al fatidico Settecento.
L’autore (poi identificato in un tale John Morten, medico) cui fa riferimento lo storico, si è visto, crea il problema e ovviamente la soluzione – truffaldina, si dirà. Ma a sentire Tissot o diversi filosofi coevi, masturbarsi non procurava solo la cecità, ma probabilmente la follia, la sterilità e persino l’insorgenza di tumori ferali – rileggersi Voltaire o Rousseau potrebbe lasciare sgomenti, e notoriamente il più corrucciato sull’argomento fu il povero Kant, per il quale la masturbazione era un delitto contro la specie.
Non c’entrava la ridicola retorica religiosa del peccato e il conseguente senso di colpa, ma la denuncia di un atto antisociale – è che la materialità del piacere andava coniugata con la relazione, l’allargamento di possibilità di una felice convivenza fra gli umani.
L’autore del libello edificava l’impianto moralistico che avrebbe incupito la pratica della masturbazione medicalizzandola: trattandosi di un brutto vizio, accompagnava l’opera con immaginifici medicamenti che avrebbero fatto la sua e la fortuna di venditori di varia specie, non solo librai si capisce, che con il volumetto smerciavano “pozioni magiche” d’ogni sorta, carissime va da sé.
Perché inutile dire, fino a quel momento, tranne sporadiche eccezioni, le maglie dei codici etici erano più larghe, non fosse che per certa indifferenza verso l’argomento. “Nella cultura classica, la masturbazione non provocava particolari ansietà, al massimo era oggetto di scherzi e barzellette. E neppure l’ebraismo diede troppo rilievo alla questione: l’unica, vera colpa di Onan era quella di non procreare” (il personaggio biblico in questione invece di ingravidare la moglie del fratello morto sparse allegramente il proprio seme sul terreno e per questo venne punito).
Così l’apparato medico-etico allestito nel libello tende a biasimare gli scioperati che si sollazzano da soli, incapaci di tenere a freno le mani e l’immaginazione, invece di consolidare virtuose pratiche comuni. Avrebbe fatto seguito una messe pubblicistica di ingiunzioni, persino nell’Encyclopédie.
L’Ottocento non sarebbe stato migliore in questo senso – ci si mise pure quell’antisemita di Wagner che immaginava gli ebrei continuamente alle prese con le proprie pudenda, da perfetti degenerati quali erano.
Se più tardi ancora – a proposito di ebrei – Freud avrebbe visto nella masturbazione una naturale fase nel processo di costruzione dell’io psichico e sessuale, egli stesso si sarebbe raccomandato di darci un taglio a un certo punto: il contrario avrebbe significato un arresto nello sviluppo della persona.
Si sarebbe dovuto attendere il secondo Novecento per guardare alla masturbazione con più serenità e minore compunzione – ce lo raccontano ancor prima dell’esplosione dell’internet un certo femminismo non moralistico, una certa spregiudicatezza artistica, persino la musica pop.
Non senza contrasti: difficile immaginare nel moderno capitalismo roboanti, pubblici proclami contro la masturbazione, ma un silenzioso malumore i suoi mentori non hanno smesso di nutrirlo: troppe seghe non fanno bene al lavoro, al PIL, all’incessante macchina della produzione. Non è il Settecento il momento in cui si affaccia il capitalismo?
Michele Lupo
Thomas W. Laqueur
Sesso solitario
Storia culturale della masturbazione
Traduzione di Monica Luci
Prefazione di Vittorio Lingiardi
il Saggiatore
2024, 444 pagine
26 €