Si apre con una bellissima immagine mutuata dal cinema il volume illustrato “Il grande racconto del Mediterraneo” di Egidio Ivetic (il Mulino): due attori meravigliosi, Cary Grant e Grace Kelly che con irripetibile aplomb lanciano – lei invero, lancia, come non vi fosse un domani – una spider azzurra su un tratto di costa della Francia meridionale, in totale souplesse – sempre lei, lui è terrorizzato ma con stile – fra curve mortali: le colline da una parte, il mare dall’altra.
È Caccia al ladro, ovvio, un Mediterraneo visto con gli occhi tutt’altro che latini di Alfred Hitchcock e certo, sembra un altro mondo (era il 1955), di una bellezza apollinea, inscalfibile e difficilmente pareggiabile: proprio per questo si imprime per sempre in un angolo di memoria definitiva di questa parte di terra.

È un Mediterraneo elitario, aristocratico? E anche se fosse? Non è forse un sogno interscambiabile da Hollywood a chiunque il Mediterraneo lo abbia conosciuto anche nelle sue zone più difficili, tormentate, drammatiche? Di chi lo ha vissuto fra “alture, paesini, isole, dialetti, distanze interminabili per raggiungere il sud, facce arcaiche, donne velate, povertà, case bianche e muretti”? Così scrive Ivetic, che lo ripercorre in lungo e in largo, questo mare nostrum (dei romani, ma regione se mai ve ne fu una di avventure, incontri, guerre, speranze e paure di molti altri popoli), a partire dai timori dell’uomo del Neolitico, titubante e diffidente di quello che invece un giorno sarebbe diventato l’asse della storia mondiale – Hegel dixit.
Ma se il filosofo tedesco pensava soprattutto ai popoli, alle nazioni, agli stati, la mappa di Ivetic è primariamente geografica, “storia dei suoi litorali, porti, isole e penisole”, prim’ancora delle sue diverse genti e civiltà. Lo studioso ne descrive il periplo, dallo Stretto di Gibilterra, in senso orario, dalla Cadice ispanica e dalla province della Costa del Sol, alla Liguria marinaresca, scendendo per Gaeta, “la prima città che introduceva il regno di Sicilia e poi di Napoli”, nella cui primitiva fattura di vie e vicoli s’intravede la tessitura greca e la successiva stratificazione di “epoche in un unico sito” – caratteristica, questa della sedimentazione per epoche, tipica del mondo mediterraneo.
Per raggiungere poi “il vertice geografico” del Golfo di Trieste, le coste frastagliate – diversissime dall’Adriatico nazionale –, le insenature, i promontori, le isole e le alture che annunciano il Levante – la Grecia. Infine da Istanbul (che è stata Costantinopoli, Bisanzio, tuttora stretta in una morsa che non decide fra modernità – se è lecito chiamarla così – e autoritarismo islamico) il periplo – tra un mare di isole, anche – toccherà le coste asiatiche e africane per curvarsi di nuovo a petto delle Colonne d’Ercole.
Luoghi e storia, si è detto: quanto alla seconda, è in gran parte la nostra, e larga congerie di quella del mondo – di sicuro, dell’immaginario cui ci consegna il fatto di nascere qui e apprendere la vita a partire dalle sue determinazioni. Storia e mito insomma non possono che confondersi in una sintesi che si fa matrice e sorgente inevitabili del cammino di noi mediterranei.
Le immagini di cui è ricco il libro a ogni pagina (fotografie, quadri, dipinti murali, cartine etc) in questo senso aiutano: una costellazione di figure, oggetti, regioni ravvivano quella memoria. “Le triremi, gli elmi greci, i templi, gli eroi, gli dei, i racconti di antiche civiltà o di quelle ancora vive concorrono a disegnare un’immagine che si trasmette già con le prime letture scolastiche”.
Basta rimanere nei pressi di quella che a un certo punto presero a chiamare Italia, e spostarsi poco a est, che il transito ci richiama le mescidanze, le sovrapposizioni o i terrificanti conflitti con i continenti vicini; si fa più denso e movimentato l’intreccio con “la Grecia antica, la potenza imperiale romana, il cristianesimo latino, il Rinascimento italiano, la tradizione cristiana ortodossa, Costantinopoli e l’impero bizantino, la civiltà islamica, le comunità ebraiche”.
E più avanti nel tempo, a dire della molteplicità contenute in una storia, aiuta ricordare che convivono in essa quattro calendari diversi, l’ebraico, il giuliano, il gregoriano e il musulmano. Quella mediterranea, ce lo aveva insegnato Braudel è (è stata) una costellazione di civiltà “accatastate le une sulle altre”.
Una volta ridisegnata la carta, si diceva, vale la pena per Ivetic ripercorrerla questa storia dalle origini geologiche, dalle sue stesse rocce, fino ai bagliori diffusi da presenze diciamo protoumane intorno a 600mila anni fa, insediamenti poi sviluppatisi probabilmente in senso-antioriario, dall’attuale Egitto verso ovest. Dovremmo però togliere uno zero, e qualcos’altro, alla cifra precedente per avvicinarci alla battaglia campale fra i Neanderthal e i Sapiens: i primi pensarono di affrontare le ultime glaciazioni spingendosi dalle catene montuose d’Europa verso il mare ma vivendo in contesti assai isolati che alla lunga li indebolirono, mentre i Sapiens che salirono dall’Africa seppero adattarsi ai nuovi contesti geografici e climatici con vigoria sufficientemente maggiore per portare a termine l’opera di estinzione che nei Neanderthal era già avviata da sé. Alla caccia sarebbero seguite le colture, l’articolazione del linguaggio, l’arte di Fenici, Greci, Romani, Mussulmani etc che chiunque sa.
Di tutto questo, di come natura mediterranea e paesaggio, olivi, vigneti, grano, cipressi, fichi, tramonti struggenti si siano amalgamati con l’architettura, la letteratura, i commerci (ma anche di quanto sangue si siano bagnate fra guerre ripetute di tutti con tutti) dà conto questo libro, fino alle variazioni del mondo contemporaneo, e non di poco momento: se Winckelmann, al netto delle diatribe filologiche, più di due secoli fa insegnava a riconoscere i tratti di “un’eredità sacra”, i tempi più vicini ci raccontano altro: “Il Mediterraneo – scrive Ivetic – si è trasformato in risorsa da sfruttare, dagli impianti per estrarre idrocarburi e gas agli stabilimenti balneari, dalla speculazione o ‘programmazione’ edilizia, alle crociere su navi mastodontiche, dalla commercializzazione delle cosiddette ‘città d’arte’ alla perimetrazione di zone economiche esclusive.”
Stridono non poco, specie le ultime, con il rosso di sangue di migrazioni inevitabili che meriterebbero altri destini. Questo è l’oggi – nel bene e nel male, “il Mediterraneo resta il museo necessario”.
Michele Lupo
Egidio Ivetic
Il grande racconto del Mediterraneo
il Mulino
Collana Grandi illustrati
2022, 394 pagine
48 €