Fa uno strano effetto leggere un romanzo distopico in questi tempi di ansia e angoscia, nei casi migliori ristretti agli arresti domiciliari pur se innocenti. Ma a ben guardare nessuno è veramente innocente, non completamente almeno. Mentre la “zona rossa” di contenimento del Coronavirus si allargava a macchia d’olio dalla Lombardia a tutta Italia, isole comprese, ho finito “Exit in fiamme” di Luigi Balocchi, edito da Emersioni. Angoscia su angoscia, ansia su ansia.

Siamo alle prime pagine e già “Milano brucia. Non tutta, non ancora”. Il protagonista stritola con la mano il merlo ferito a cui aveva prestato soccorso. Lo fa per liberarlo dalla gabbietta in cui l’aveva rinchiuso nel suo monolocale: una prigione di poco più grande.
Si chiama Ludovico il protagonista, ma il nome verremo a saperlo solo molto più avanti, giusto alla metà del libro. Si definisce, senza alcuna auto-indulgenza, “un uomo triste, squallido, insignificante, del tutto provvisorio”. Figurarsi tutti gli altri che vivono, si spostano, lavorano là fuori in un’epoca ormai prossima all’apocalisse. Profezie del “Libro” dai toni biblici si accumulano di pagina in pagina, chiare nella loro oscurità. “Le vostre città conosceranno il Giudizio. Saranno cinte da una corona di fiamme. Non guardate la terra. La terra è muta. Alzate gli occhi al cielo. Da lì sorgerà la parola del fuoco”.
È con un’ansia degna di Guido Ceronetti che Ludovico vive l’assenza della pioggia che ormai ha trasformato la sua piccola patria in una “Dancalia padana”. Agli anglicismi dei termini che indicano le trasformazioni (ovvero le degenerazioni) dei ruoli e delle professioni si mescolano i milanesismi e i lombardismi della memoria: “cicinin”, “cadrega”, “si ciciara”, “pastrugnare”, “rudo”. Pur brianzolo per quattro quarti ho dovuto cercare il significato di “gibigiana”, ovvero il balenio che viene rimandato da una superficie riflettente. S’impara sempre qualcosa, anche dai romanzi distopici!
La Milano del futuro prossimo è raccontata da Balocchi come una Sarajevo sotto assedio: “cupi rossori di incendio trafiggono l’orizzonte. Il cielo è una fiamma”. Ma più della tragedia può il grottesco, dalle palme tropicali ai banani, da Piazzale Babel Training a SìProfitCity (ex Comune), senza dimenticare John Al Cairoeu, “Lui, The President” (liberi di riconoscervi chi credete), in uno scenario, appunto, distopico: al contrario di quanto leggiamo sui post it appiccicati alle porte, tutto andrà dannatamente male, mentre affari e malaffari non conoscono sosta (si legga a pagina 107: allusioni neanche troppo velate alla contemporaneità).
Il peggio toccherà naturalmente ai giornalisti, categoria a cui appartiene Ludovico. Anzi, la crisi della stampa è il motore del romanzo, il suo cuore pulsante, dal battito sempre più lento e affaticato.
Diversamente da quanto avviene ai manoscritti di Bulgakov, “la carta brucia” .
Io, il Maffei (collega di Ludovico, ndr), quanti altri intorno, a conti fatti, siamo gli escrementi residuali, la muffa, di un mondo ormai alla fine. Ci diamo ancora da fare su virgole di inchiostro stampate su di un foglio. La qual cosa interessa a conti fatti il dieci per cento di chi vive in questa città, questa parte del sistema solare. La carta è alla frutta. L’inchiostro puzza di estrema unzione. Stringi stringi, nessuno sa più cosa farsene di fogli a malloppo. Si clicca veloce, ecco tutto. L’intero universo ridotto a sintesi estrema. Tre righe. Grugniti di tasti”.
Ecco a voi le micro-news irradiate dal giornale online Prophet News, diretto da Yasser Rossi El Bakrani.
Ad alleviare o aggravare l’ansia e l’angoscia di Ludovico sono le due figure femminili di “Exit in fiamme”, Nera (la “stria”, ovvero “strega”) e Luna, due facce della stessa donna misteriosa. Ludovico le cerca, le desidera, le vuole salvare dalla distruzione.
Come noi, Balocchi predilige le accumulazioni. Qualche esempio: “il naso, le labbra, gli occhi, la gola, ogni poro della pelle”; “visi stravolti, cerei, scarnificati”; “stridori, cigolii, vagiti, urla soffocate”.
I capitoli sono una serie di foto mosse, un rosario di grani snocciolati in un vortice che risucchia verso la fine. I pochi punti di riferimento di Ludovico gli vengono via via a mancare, destabilizzandone la già tutt’altro che solida condizione. Verrebbe da sussurrargli all’orecchio, per calmarlo, “è l’instabilità che ci fa saldi, ormai”…
E tra le pagine, qua e là Balocchi ha disseminato citazioni nascoste, “Easter eggs” per dirla nel gergo dei cinefili. La capsula – ufficio assegnatagli, per esempio, porta la sigla “AP 4, 6-8”. Aprendo l’ultimo libro della Bibbia, quello della Rivelazione, potete leggere al passo corrispondente la descrizione dei quattro esseri viventi attorno al trono di Dio, quelli che compaiono nel tetramorfo raffigurante i quattro evangelisti.
E la posizione da cui trasmette il resistente verso la fine del romanzo contiene il nome dell’artista Franz Xaver Messerschmidt, noto soprattutto per le sue sculture di personaggi dalle smorfie grottesche.
E mentre Milano va a fuoco, il lupo torna nei boschi del Ticino. Se, come ha fatto il sottoscritto, oserete cercare in rete quest’ultima affermazione, vi si aprirà davanti un mondo. Naturalmente distopico, in cui sembrano affrontarsi due forze composte da partigiani che amano rappresentare se stessi e i propri avversari con toni da scontro tra Figli della Luce e Figli delle Tenebre. Ah, signora mia, non mi dica che non ha mai sentito parlare della lobby del lupo?!
E mentre rileggo la profezia del Libro “Preparatevi a rendere omaggio alla madre di niente. Fumigate d’incenso l’altare nel nulla. Tutte le lingue perderanno la loro parola. L’una varrà l’altra: tutte, null’altro che cenere”, sento passare per strada un mezzo della polizia locale che con un megafono diffonde l’avviso ai cittadini: “Emergenza Coronavirus: rimanete in casa!”. La distopia è servita.
Saul Stucchi
Luigi Balocchi
Exit in fiamme
Emersioni
2019, 199 pagine
19,50 €