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Voi siete qui: Biblioteca » Da Castelvecchi “Diario. 1935-1944” di Mihail Sebastian

26 Febbraio 2025

Da Castelvecchi “Diario. 1935-1944” di Mihail Sebastian

Dopo il romanzo L’incidente di cui abbiamo scritto poco tempo fa, eccoci di nuovo davanti a Mihail Sebastian, lo scrittore rumeno di origine ebraiche autore di un monumentale Diario, edito da Castelvecchi con la traduzione e l’introduzione di Mauro Barindi e Horia Corneliu Cicortaş.

L’immane lavoro prende una decina d’anni, dal 1935 al 1944, e aiuta a inquadrare meglio l’autore testimoniando di uno scrittore acuto, meticoloso e, si direbbe, spietato scrutatore di sé stesso, dei propri simili e della tragica macchina della storia che stava per azzannare l’Europa intera.

Salta subito all’occhio infatti l’apertura totale dei quaderni (conservati per anni dal fratello Benu) verso gli stimoli più varii, dal particulare intimo alle annotazioni, sempre più dolorose, sugli amici di un tempo, via via compromessi nelle nere ideologie coeve, antisemitismo compreso.

A tal proposito, gli autori dell’introduzione insistono particolarmente su un punto: vero è che la distanza con Cioran, Mircea Eliade e ancor più il vecchio mentore Nae Ionescu (istrionico seduttore di migliaia di discepoli) si marca via via con maggiore nettezza, ma lo stesso Sebastian negli anni precedenti al Diario era stato sedotto dalle sirene di una certa destra non proprio pacifica.

Mihail Sebastian, Diario. 1935-1944, Castelvecchi

Il distacco lucido che matura con gli anni si riflette bene nella limpidezza della scrittura: che si tratti di afflizioni private o pubbliche, la penna di Sebastian persino nel disprezzo mantiene un tono da scrittore puro, capace di governare il caos inquadrandolo volta per volta in frammenti vitrei ritagliati con la precisione di un bulino.

Come se l’uomo, tutt’altro che riottoso alla vita – pur breve, morì a 38 anni per un incidente causato da un carroarmato sovietico -, sentisse il bisogno attraverso la scrittura quotidiana di non disunirsi e non farsi sopraffare dalla vita cui reagiva con una specie di ricorsiva messa a punto degli accadimenti, interiori e non, sulla pagina. Bisogno di chiarire a sé stesso quanto accade e, forse, pratica terapeutica.

Un modo per tenere a bada lo sconcerto e il malessere di ritrovarsi sempre più isolato, deluso dai vecchi amici ai quali molto era legato, al punto che per un po’ si ripromette di non parlare più di politica con Eliade, perso nelle farneticazioni nazionalistiche che infiammavano la Romania e l’Europa, (più blanda l’amicizia con Cioran).

Seguirà anche la paura della furia antisemita, specie a seguito dei pogrom negli anni del conflitto mondiale, ma la pagina non cesserà di essere governata da un controllo magistrale. Non casualmente il Diario avrebbe affascinato Philip Roth e altri importanti lettori anche per la sofisticata levità con la quale Sebastian commenta i propri fallimenti (di amante o di scrittore, per esempio) o lo scempio degli “animatori di cialtronaggini per un futuro senza sbocco se non tragico”, vecchi amici o conoscenti, fiancheggiatori dell’estremistica Guardia di Ferro, non pochi dei quali in quello scempio si accaseranno per ricavarne vantaggi e prebende – affari da cui Sebastian si teneva alla larga, senza peraltro ostentare al riguardo orgoglio soverchio (con qualche imbarazzo rispetto a Ionescu che un ruolo nella sua vita professionale lo aveva avuto).

La stesura del Diario accompagna il tragico decennio senza posa, nonostante l’esercizio spesso vada forzato per “mancanza di ispirazione”. Nelle molte pagine dedicate alla scrittura, è possibile intravedere passaggi cruciali della costruzione di romanzi e opere teatrali: emergono momenti di perplessità, di scoramento (quando i suoi libri non vendevano abbastanza, laddove col teatro il successo era maggiore), di dura autocritica – l’autore rilegge i suoi fogli e ne prova “pena e vergogna”.

Ma la stima non gli mancava, anzi, gli consentiva di guadagnare più facilmente l’interesse delle donne – per lui una vera ossessione (Donne è il titolo di un suo importante romanzo). Tuttavia i suoi amori erano per lo più inquieti, tormentati, invischiati in un eros febbrile e cagionevole insieme; finivano spesso per minarne la fiducia in sé stesso. “In tutte, quando mi hanno conosciuto meglio, ha fatto seguito una disillusa indifferenza.”

All’inquietudine costante, dunque, più che la scrittura, faceva da argine la musica (“una vera droga”); Sebastian riserva all’ascolto una pratica quotidiana, non priva dell’interesse estetico del neofita curioso di conoscere le basi di un certo linguaggio – Bach, Beethoven, Mozart soprattutto. Che non cessa negli anni peggiori, quelli delle deportazioni e dei lager, mentre vede ciò che fanno agli ebrei di Bucarest, e accosta le brutalità e i massacri in diretta a quelli di cui legge nella Storia degli ebrei di Dupont; anzi, solo la musica lo aiuta a superare certi momenti, unica alternativa a pensieri come questo: “Un giorno moriremo come galline sgozzate”.

Un libro per rileggere gli anni più osceni del Novecento da una provincia un po’ trascurata della bibliografia – e invece scopriamo che Bucarest, nel bene e nel male, era vivissima.

A tal proposito, ricordiamo che si tratta di un diario, quindi va segnata una nota di merito all’editore Castelvecchi per gli indici alla fine, cose utilissime quando non indispensabili, che editori ben più blasonati hanno dimenticato anche nei luoghi deputati, come la saggistica.

Michele Lupo

Mihail Sebastian
Diario. 1935-1944
Traduzione Horia Corneliu Cicortaş, Mauro Barindi
Castelvecchi
Collana Le Vele
2025, 848 pagine
37 €

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