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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Al Teatro Carignano di Torino siamo tutti “Amleto”

15 Ottobre 2025

Al Teatro Carignano di Torino siamo tutti “Amleto”

Quella che state per leggere non è una recensione teatrale come le altre, per una serie di ragioni. Prima di tutto perché Amleto non è mai uno spettacolo qualsiasi: quest’opera è la quintessenza del teatro di Shakespeare e quindi del teatro tout court, almeno per un classicista come me che la pone al primo posto sul podio accanto all’Edipo re di Sofocle.

Poi perché l’Amleto diretto da Leonardo Lidi, nella traduzione e nell’adattamento di Diego Pleuteri, in cartellone al Teatro Carignano di Torino fino a domenica 26 ottobre, è una prima nazionale nel settantesimo del Teatro Stabile. Perché l’ho visto ieri sera dopo aver assistito al Teatro Regio alla Francesca da Rimini di Domenico Zandonai su libretto di Tito Ricordi dall’omonima tragedia di D’Annunzio e quindi stavo ancora metabolizzando musica e scene mentre ero seduto in platea al Carignano (il mio primo Carignano! Uno scrigno a metà strada tra il Gerolamo e la Scala, per me spettatore per lo più milanese). Ma soprattutto perché, a un certo punto, sono stato chiamato sul palcoscenico a prendere parte alla recita. Anzi: alla recita nella recita!

È noto che l’Amleto sia uno dei casi più celebri (se non il più famoso in assoluto) di metateatro o teatro nel teatro: il giovane principe organizza infatti uno spettacolo per tendere una trappola allo zio Claudio che ha preso il posto del vecchio re Amleto senior – suo fratello – dopo averlo assassinato (una storia di amore tra cognati e di fratricidio, come nella Francesca da Rimini!). Ecco: a fare la parte di uno dei teatranti invitati alla corte di Elsinor sono stato chiamato io, insieme a una ragazza di nome Anna seduta dall’altra parte della platea.

Gli appunti che stavo prendendo con la biro prestatami dall’addetta alla biglietteria del teatro – la mia mi aveva piantato in asso a metà della Francesca – si sono dunque interrotti a quel punto. Avevo fatto comunque in tempo a segnarmi diverse cose, a cominciare da quel trampolino verso la platea su cui è seduto Amleto – uno straordinario Mario Pirrello – al principio dell’opera che si apre con un faro rotondo da avanspettacolo o circo sul sipario di plastica. Ed ecco un Amleto clown che mi ha fatto pensare a Hopper ancor prima che a Fellini. E mi è parso che il gioco del teatro nel teatro venisse attuato fin dall’inizio, elevando dunque a potenza quello in cui poi saremmo stati coinvolti io e Anna (giuro che non stavo pensando a Woody Allen e Diane Keaton!).

A colpire Amleto / Pirrello è stato il mio sorriso: così mi confessato in scena (disegnata, come le luci, da Nicolas Bovey), dietro il sipario. Non gli ho detto che il sorriso dipendeva dal godimento di assistere a un Amleto che lascia il segno (ripensavo intanto a quello di Antonio Latella, visto due volte al Piccolo Teatro Studio di Milano, con una magnetica Federica Rosellini come protagonista).

Quando mi ha indicato in platea ho pensato di resistere: che figura avrei fatto io, il più rigido e introverso dei giornalisti culturali? Ma il dubbio – amletico, ça va sans dire – è durato un attimo e mi sono ritrovato dietro le quinte. Ma ero davvero “dietro”? Ero finito lì perché Amleto / Pirrello cercava in sala qualcuno che recitasse a teatro o in televisione o nella vita… e chi non recita nella vita?!


Su questo insiste lo spettacolo di Lidi: siamo tutti Amleti, spiazzati dal contrasto tra idealità e realtà, in questo tempo che eternamente esce dallo spazio che dovrebbe invece occupare. In un ritmo serrato per contenere l’opera entro le due ore (senza intervallo) tutti gli interpreti sono bravissimi e si meritano i calorosi applausi del pubblico.

Dallo straordinario Amleto buffonesco e scoreggione di Pirrello all’Orazio (Orazzino) di Christian La Rosa, passando per la delicata Ofelia di Giuliana Vignona e la tragica Gertrude di Ilaria Falini. E poi il Claudio Joker di Nicola Pannelli, il Polonio e il becchino di Rosario Lisma e il fedele Laerte di Alfonso De Vreese, anche nella parte di un Rosencrantz passato al femminile (come il Guildenstern di La Rosa), con tanto di tettone che dietro le quinte io e Anna abbiamo toccato con mano (e quando mi ricapiterà un’esperienza così surreale?!).

Qualche pomeriggio fa, durante la presentazione della MicroMostra di Lello Cassinotti dedicata ad Antonin Artaud si parlava di teatro di voce. Senza farne una contrapposizione che non avrebbe senso, seduto in platea al Carignano riflettevo sull’eccezionale peso specifico del testo dell’Amleto, ben superiore a quello del polonio (se mi passate la battutaccia!).

Nessuno rigo è superfluo, non solo i passi più intensi che sono entrati a far parte, giustamente, della cultura di massa. E a quella speciale Provvidenza nella caduta di un passero ho pensato al professor Piero Boitani, mio ospite nel ciclo delle riscritture (e questo Amleto di Lidi è esso stesso una riscrittura).

Tanto altro ci sarebbe da dire: dalle brillanti trovate sceniche ai costumi di Aurora Damanti, dai pupazzi di Damiano Augusto Zigrino e Silvia Fancelli alla chitarra suonata da De Vreese e alla canzone Dos gardenias di Isolina Carrillo cantata da Ofelia, senza tralasciare l’ostinazione di Amleto che s’impunta nel dire “Io non conosco il sembra” (magari ci sarà occasione di riparlarne…).

Scrive Lidi nelle note di regia: «Non cerco Amleto come ci siamo abituati a pensare debba essere, né il dolore come deve apparire. Ho costruito un mondo altro, un artificio dichiarato, per consentire un avvicinamento condiviso attraverso la rappresentazione. È un paradosso che appartiene da sempre al teatro: più si dichiara finto, più riesce a toccare il vero».

Se nel metateatro dell’Amleto il teatro è la trappola per catturare la coscienza del re, noi spettatori ricordiamoci di trattare bene gli attori, perché sono la coscienza di un’epoca. Anche quelli improvvisati che si gettano a terra fingendo di essere morti e hanno ancora sul maglione le impronte lasciate dal cerone di Amleto / Pirrello.

Saul Stucchi
Foto di Luigi De Palma

Amleto

di William Shakespeare
traduzione e adattamento Diego Pleuteri
regia Leonardo Lidi
con (in ordine alfabetico) Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Rosario Lisma, Nicola Pannelli, Mario Pirrello, Giuliana Vigogna
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Claudio Tortorici
cura movimenti scenici Riccardo Micheletti
puppets Damiano Augusto Zigrino e Silvia Fancelli
regista assistente Alba Porto
assistente regia Eleonora Bentivoglio
assistente scene Nathalie Deana
Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale con il sostegno di Fondazione CR

Informazioni sullo spettacolo

Dove

Teatro Carignano
Piazza Carignano 6, Torino

Quando

Dal 6 al 26 ottobre 2025

Orari e prezzi

Orari:
martedì, giovedì e sabato 19.30
mercoledì e venerdì 20.45
domenica 16.00
Lunedì riposo
Durata: 2 ore senza intervallo

Biglietti: da 12 a 39 € più 1 € di prevendita

Maggiori informazioni

Sito web ufficiale:

www.teatrostabiletorino.it

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