“L’ALIBI della domenica” – a firma di Jonathan Pine, a cui diamo il benvenuto – è dedicato questa settimana a John Le Carré, nel primo anniversario della scomparsa.
Siamo agli inizi de “L’onorevole scolaro”, il secondo libro della “trilogia di Karla”, i racconti della guerra fredda che per molti, compreso chi scrive, sono i più rappresentativi della produzione di John le Carré. George Smiley ha appena smascherato una spia sovietica ai vertici del servizio segreto inglese (il “Circus”, da Cambridge Circus, il suo indirizzo palese) e ha ricevuto il compito di rilanciare, soprattutto agli occhi dei “cugini” della CIA, l’organizzazione della quale è ora divenuto il capo.

George sta più o meno amichevolmente interrogando Sam Collins, un equivoco funzionario dei servizi reduce da Hong Kong, per seguire un indizio che potrebbe portare (e porterà) alla scoperta di un finanziamento sovietico all’interno dell’allora colonia britannica. Durante il colloquio, del quale non conosce la finalità, Sam inizia ad essere reticente, a sviare. Smiley non insiste: sa benissimo, grazie alla sua esperienza sul campo, che Sam potrebbe star difendendo qualcosa di completamente veniale o irrilevante. Magari è stato un po’ approssimativo nelle note spese, o ha fatto qualche lavoretto non ufficiale per arrotondare, forse aiutando l’antidroga locale o rivendendo le stesse informazioni a qualche servizio con poche risorse e ancora meno ambizioni.
Ed è a questo punto che la voce narrante, ossia l’autore, ci regala questa frase: lo fa senza enfasi, come condividesse una verità acquisita e ovvia. La mimetizza con i colori della banalità, lasciando che sia il lettore, se lo ha meritato, a riconoscerne l’originalità e il valore poetico. “La scrivania è il posto più pericoloso da cui osservare il mondo”.
George Smiley
Chiaro, siamo nella realtà degli agenti segreti, che per molti è quella del fascinoso e invincibile James Bond, non certo un tipo da scrivania. Ma Smiley è goffo, anonimo, rotondetto, veste malissimo ed è regolarmente cornificato dalla moglie. È un accademico, appassionato di poesia tedesca (come peraltro lo stesso JLC). Non si faticherebbe a immaginarlo tutto pensiero e ragionamento, un Nero Wolfe o uno Sherlock Holmes classico.
Ma le Carré lo fa alzare da quella scrivania e gli dona l’azione ad accompagnare il suo notevole pensiero. Gli fa svolgere attività che potrebbe delegare ai suoi sottoposti (e sarà poi criticato per non averlo fatto): interrogare Sam Collins al suo ritorno da Hong Kong, per esempio, o spacciarsi da funzionario dell’anagrafe per andare a raccogliere informazioni dai genitori della bellissima Elisabeth Worthington, detta Lizzie Worth, ribattezzata Liese dal miliardario cinese hakka sospettato di relazioni pericolose con i Russi e del quale è diventata una della proprietà di lusso.
È proprio grazie all’azione, all’operatività, che JLC riesce a dare volume e spigoli ai suoi personaggi, che risulterebbero altrimenti appiattiti nell’ipocrisia formale dell’upper class inglese (alla quale JLC non appartiene, nonostante le millanterie paterne), che costituisce (anche nella realtà) il nerbo del public service britannico e in particolare dei suoi servizi segreti. I suoi dirigenti sono stati reclutati a Cambridge, e le relazioni e i legami stretti sui banchi di Eton o al Trinity sono un prezioso elemento di coesione nazionale, una risorsa importante per una classe sociale destinata, se non a governare, almeno ad amministrare. Una casta alla cui educazione non è stata negata la fatica fisica sui campi di rugby o di cricket, ma che non include il lavoro manuale nel suo bagaglio.
Invece: “In principio era l’azione”, recita il primo comandamento che viene impartito a Sarratt, “la nursery“, ossia il centro d’addestramento del Circus per le giovani reclute.
Spie che espiano
Sia chiaro, anche il mondo segreto di JLC ha la sua working class, i suoi lavoratori manuali e i suoi operai, che si esprimono nell’arte del pedinamento, delle intercettazioni o del ricatto. Sono i “lampionai”, nel loro gergo, o i “cacciatori di teste”, basati in locali non molto diversi da una fabbrica tessile di Manchester o da una fonderia di Bristol. Anche la fauna è la stessa, compresi i nomi da immigrati, come quello dei taciturni fratelli Skordeno, le facce consumate e i baffoni spioventi da classe subalterna, e persino le carriere: anche coloro che arrivano al massimo concesso dalle loro modeste origini, come Toby Esterhazy, la spia ungherese raccolta in una strada di Vienna e reclutata dal giovane Smiley, sono trattati dalla ruling class segreta con il cortese distacco “normalmente riservato alle persone di colore e ai proletari”.
Ma è solo nell’azione che l’aristocratico Jerry Westerby, erede di un impero editoriale ormai in rovina, spia part-time e protagonista de “L’onorevole scolaro”, riesce a vivere fuori dal suo disagio esistenziale e dalla sua mancanza di motivi, senza cercare ragioni, senza doversi spiegare niente: “Sai, Jerry, io sono sempre stato grato al Servizio per avermi dato la possibilità di restituire”; “Per l’amor di Dio, George, vecchio mio, tu dammi solo una direzione e io vado, ok? Voglio dire, cristossanto!”.
Ma l’azione serve anche a espiare. Il gesuita spretato Hansen aveva infatti due interi campionari di peccati da cui redimersi: quelli legati alla sua dissolutezza, che costringeranno la Compagnia ad allontanare da sé un brillante accademico e profondo conoscitore dell’Asia; e quelli dovuti all’aver guidato i bombardieri del signor Kissinger verso i villaggi khmer che davano rifugio ai Vietcong, leggendo le tracce di un esercito che si muove a piedi e si nutre di insetti, come nessuna tecnologia sarebbe stata in grado di fare. E per espiare, si mette all’inseguimento nella giungla del reparto di guerriglieri che ha rapito la sua famiglia con tutto il villaggio, venendo da loro catturato, torturato in quanto occidentale, e rispondendo con l’amore disperato e assoluto dei peccatori redenti all’odio della figlia Marie, sedotta ideologicamente dal bel commissario politico con la fascia rossa sulla fronte.
L’alter-ego Karla
Nel momento della sua apoteosi, George Smiley deve essere presente di persona sul lato occidentale di Glienicke Brücke, il ponte di Berlino che ha l’altro ingresso nella Germania comunista. È riuscito a costringere Karla, il suo alter-ego sovietico, a disertare, ed è li per accoglierlo. Ma il prezzo di questo successo è stato venire meno ai suoi principi, alla sua umanità, e George deve esserci per confrontarsi con sé stesso, per sapere se ne valeva la pena. A rispondergli è il clangore dell’accendino che Karla, al momento del suo passaggio, lascia cadere sui binari, lo stesso accendino che Karla gli prese anni prima in una prigione di Nuova Delhi, e che porta la dedica: “Da Ann a George con amore”.
Gli eroi di John le Carré sono uomini buoni che compiono azioni orribili, e viceversa. Uomini che sono convinti di battersi per un mondo migliore, e che sono certi così pensino anche i loro avversari dall’altra parte del Muro. La grandezza letteraria di le Carré sta proprio nel raccontare il più lungo conflitto del Novecento senza assolutismi, rendendo la grandezza e la miseria di personaggi nei quali possiamo identificarci, usando l’azione come espediente teatrale per mostrarci le variegate dimensioni della condizione umana senza imporcela con presuntuose teorie.
Jonathan Pine
John le Carré
L’onorevole scolaro
(The Honourable Schoolboy, 1977)
Edizione italiana più recente:
Traduzione di Attilio Veraldi
Mondadori, 2019