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Voi siete qui: Europa » Musei ed esposizioni di Salon de Provence

26 Agosto 2023

Musei ed esposizioni di Salon de Provence

Terza e ultima parte dell’appendice al reportage di Marco Grassano sulla Provenza.

Nel Castello dell’Empéri, a Salon, visitiamo le Collezioni Storiche dell’Armata Francese: 10.000 pezzi, raccolti grazie alla passione dei fratelli marsigliesi Raoul e Jean Brunon e quindi, nel 1967, organizzati in museo a cura dell’Hôtel des Invalides.

Giriamo tra le volumetrie salde e rassicuranti di quest’antica fortezza, la cui struttura originaria è illustrata da un plastico. Vetrine contengono elmi e balestre di prima delle armi da fuoco. Numerose bacheche espongono pistole e fucili ad avancarica, con lunghe canne; alcuni sono muniti di baionetta: mi ricordano quelli usati dalle Giubbe Rosse inglesi nei vecchi album di Blek Macigno (“By Jove!” imprecavano) o del Comandante Mark. Sciabole fittissime, a lama dritta e falcata.

Uniformi militari nel Castello dell'Empéri a Salon de Provence

Cospicua la sezione napoleonica. Una mappa con le battaglie della Campagna italiana (1796-1800). Notiamo in particolare, evidenziate in grigio, Montebello e Marengo, nella nostra zona. Tricorni. Berretti flosci, di foggia simil-garibaldina. Un editto firmato, in calce, dall’Imperatore. I suoi guanti della Campagna d’Egitto, con sfarzose polsiere di cuoio ricamato. La stele di Rosetta, chiusa tra le parentesi di due spade falciformi. Il solenne ritratto – opera di Anne Louis Girodet – Napoléon Ier en Grand Costume de Sacre.

Cannoncini su quattro ruote. Uniformi di fanti, di cavalleggeri e di artiglieri, coi tondi copricapi a rastrematura inversa. Cimeli dell’esilio, all’Isola d’Elba e a Sant’Elena.

Anche il Secondo Impero è degnamente testimoniato da ricche uniformi, caschi col cimiero, alti cappelli di pelliccia, berretti simili a quelli della Guerra Civile americana, decorazioni (collari e medaglie), soldatini di piombo (antesignani di quelli collezionati oggi).

Altra sezione importante è quella delle ambientazioni, degli equipaggiamenti e delle divise grigie della Prima Guerra Mondiale, forse uno degli episodi bellici più tristi – sebbene non il più tragico – dell’intera Storia umana.

Usciamo nel Giardino dei Semplici (ossia delle piante officinali spontanee, denominate così perché si potevano “semplicemente” raccogliere sulle colline e utilizzare): area del cortile in cui le specie botaniche impiegate da Nostradamus (medico, in primo luogo) per curare la peste e altre malattie (secondo le indicazioni desunte dalle sue ricette) vengono coltivate in riquadri di terreno sporgenti dal suolo, stretti da orditure di rami di castagno.

Il Giardino dei Semplici nel Castello dell’Empéri a Salon de Provence

Un’indicazione in ferro battuto segnala la Salle T. Jourdan. Ascendiamo uno scalone interno, varchiamo un’ampia porta settecentesca e ci ritroviamo fra le 19 grandi tele sulla pastorizia (quella vera, non l’arcadica…) dipinte dall’artista locale Théodore Jourdan (1833 – 1908) e lasciate come eredità alla sua città natale, in cambio di una piccola pensione di vecchiaia. Notevole, tra gli altri, il quadro della custode di capre che attraversa col suo ridotto gregge, assistita da un cagnone nero-bruno, una garriga a picco sul mare. Un pecoraio in cappello e mantella, raffigurato mentre si accende un sigaro, ci strappa invece un sorriso, perché somiglia a Silvio Berlusconi: dopo il Presidente Ferroviere e il Presidente Operaio, abbiamo qui il Presidente Pastore…

Ai piedi del Castello, di fronte al ristorante L’Endroit, imbocchiamo Rue de l’Horloge. L’edificio che recava sulla facciata l’enorme ritratto di Nostradamus è ora coperto da alcune immagini in trompe l’oeil, realizzate, secondo la legenda, dall’Atelier A-Fresco. In quella più in alto appare un balcone da cui si affacciano insieme Caterina de’ Medici, il figlio Carlo IX e Nostradamus medesimo (episodio datato “Ottobre 1564”).

Personaggi di Nostradamus dipinti sulla facciata di un edificio a Salon de Provence

Sotto, finestre a ringhiera incorniciano, successivamente: il botanico, fisico e geologo salonnais Robert de Lamanon (1752 – 1787); l’ingegnere, pure indigeno, Adam de Craponne (1526 – 1576), che col veggente collaborò davvero nella realizzazione di un canale irriguo; il politico Camille Pelleton (1846 – 1915), non nato qui ma a lungo Deputato del collegio elettorale; il poeta di Salon Antoine-Blaise Crousillat (1814 – 1899).

Poco oltre, la moderna, allampanata statua in bronzo del multiforme umanista (chissà perché, l’immagine mi fa pensare più che altro a Don Chisciotte…) mentre scruta in una specie di minuscolo sestante e regge una sfera armillare.

Svoltiamo a destra – nella Rue Nostradamus, appunto – e varchiamo il portale dell’antica casa d’abitazione, ora Museo. Subito dopo l’ingresso, il manichino in abiti cinquecenteschi, intento a scrivere, già notato nel 1998. Acquistiamo i biglietti dall’impiegata, giovane e mora. Ci chiede di dove siamo, e ci informa che è possibile seguire in italiano l’illustrazione audiovisiva della visita, premendo, per ognuna delle 10 scene ricostruite, il telecomando che ci fornisce.

Saliamo una scala a chiocciola. Le sue pareti sono tappezzate dalla gigantografia di pagine delle Centurie, nella prima edizione a stampa. La voce narrante maschile mostra un lievissimo accento francese, ma si esprime ottimamente.

Ecco, in sintesi, quanto ci viene raccontato. Michel de Nostredame (latinizzato in Nostradamus) nasce il 14 dicembre 1503 a Saint-Rémy de Provence (la casa natale, o quel che ne rimane, l’ho vista l’anno scorso), dove trascorre l’infanzia coi genitori, in un ambiente impregnato (sic) di medicina, matematica e astronomia. Studia ad Avignone e a Montpellier, poi inizia una lunga serie di viaggi che lo condurranno dal Sud-ovest al Nord-est della Francia, per studiare le malattie e i loro rimedi naturali.

Nella casa di Nostradamus a Salon de Provence

Compiuti i quarant’anni, ritorna in Provenza per combattere la peste che imperversa a Marsiglia e ad Aix, applicando misure igieniche moderne ed efficaci. Comincia a pubblicare almanacchi, che raccolgono previsioni meteorologiche, consigli medici e ricette di bellezza a base di piante (un po’ come il Taccuino del Gran Pescatore di Chiaravalle, che tenevano in casa mia quand’ero bambino). Studia anche gli astri. L’11 novembre 1547 sposa Anne Ponsard, giovane vedova di Salon. Avranno 6 figli; il maggiore, César, diventerà Console di Salon, storico, biografo del padre, pittore e poeta.

Nel 1553 finanzia lo scavo del canale per portare in città l’acqua della Durance, progettato dal suo amico, l’ingegnere idraulico Adam de Craponne (ecco…). Nel 1555 pubblica le sue “profezie”, opera monumentale composta nel corso di più di 30 anni, per cui è ricordato ancora oggi. La sua fama diviene tale che la Regina Caterina de’ Medici lo chiama a Corte. Appassionata di astrologia, gli chiede di predire il futuro della prole reale. Nel 1564, in occasione di un grande viaggio attraverso il Regno di Francia, accompagnata da Carlo IX e da Enrico di Navarra, gli fa visita a Salon (ecco…).

Nell’occasione, lo nomina medico e consigliere del Re. Nel 1566 è stanco e malato di gotta. Muore nella notte del 2 luglio 1566, in circostanze analoghe a quelle descritte in una delle sue quartine. Inizialmente, le spoglie sono seppellite nella Cappella dei Cordiglieri; ma nel 1791 la tomba viene profanata dalle Guardie Nazionali, che sperano di trovarvi un tesoro. Oggi un epitaffio rinnova il suo ricordo nella Cappella della Vergine, all’interno della Collegiata di San Lorenzo (e questo lo sapevo).

Per cenare, rimaniamo nella cittadina e ci portiamo al Café des Arts, sulla piazzetta della Fontana Muschiosa. Gustiamo noodles insaporiti da un ottimo sugo a base di salsa d’olive e accompagnati da verdure in padella e da riso bianco. Ci assiste la graziosa cameriera che lo scorso anno mi era parsa belga, perché mi ricordava un’antica, incancellabile fidanzata di quelle parti. Glielo dico; lei precisa, sorridendo, di arrivare da Carcassonne.

Ho ben presente il suo borgo, cinto da mura e turrito, accanto al quale si transita andando in Aquitania. Sul palco alle mie spalle, un duo musicale (tastierista barbuto, in camicia e pantaloni scuri; cantante mora, coi capelli raccolti e un lungo vestito rosso a mezzelune dorate) interpreta brani melodici, sia autoctoni che di lingua inglese. La classicissima My way la eseguono, però, nella versione originaria locale: Comme d’habitude…

Marco Grassano

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