Negli anni passati ALIBI Online ha pubblicato – a puntate – un lungo reportage di Marco Grassano sulla Provenza. L’articolo che segue è la prima parte dell’appendice a quel reportage.
Ci portiamo a Mallemort, per visitare il borgo e munirci di qualche provvista. Lasciamo l’auto al termine del viale di ingresso: platani su un solo lato e casette pastello. Percorriamo, guardandoci attorno, la non ampia via principale, su cui si affacciano vetrine di vario genere (macelleria-salumeria, pescheria, agenzia turistica, agenzia di prestiti, pasticceria, calzature, abbigliamento, ma anche un Toilettage pour chiens e ben tre Coiffeurs…). In un negozio di ortofrutta dalla graziosa insegna turchese pallido acquistiamo grosse prugne e pesche nettarine.
Proseguiamo: Pizza Italia, scuola guida, profumeria. Le proposte mercantili cessano di colpo. Ci ritroviamo in un’ordinaria viuzza di paese, lievemente acclive alla piazzetta nella quale sfociamo poco dopo. Prendiamo a destra e saliamo ancora tra vicoli che mi ricordano quelli di Bassignana e Rivarone, villaggi limitrofi al mio. Incrociamo un’altra via: verso sinistra, la chiesa di San Michele, fronteggiata da una fontanella e da un giovane platano aperto a ventaglio; davanti a noi, altri vicoletti raggiungono il dorso del colle su cui è disposto il caseggiato e dichinano dall’altra parte.

Seguendo questa nuova arteria, torniamo verso la macchina. Un albergo ristorante e altri edifici in sassi a vista. Svoltiamo nel viale – in duplice filare – che inizia sulla destra. Attempate casupole a un solo piano, con persiane a listelli e gradini di accesso in parallelepipedi di pietra ruvida. Tabac – Maison de Presse.
Partiamo, ci immettiamo in quest’alberata Rue Hugo e la seguiamo contornando lo zoccolo storico. Ci fermiamo alla grande Boulangerie sulla sinistra, per comprare acqua e alcuni appetitosi panini integrali, cosparsi di semi (papavero e girasole) e imbottiti con formaggio e pomodori secchi. Proseguiamo, piegando leggermente verso Ovest. Alla rotonda, andiamo a valicare il ponte sulla Durance, che fiancheggia quello ottocentesco. Non fosse per il vicino orizzonte roccioso del Luberon, sembrerebbe di attraversare il Po da Isola Sant’Antonio a Pieve del Cairo.
Alla rotonda successiva, svoltiamo per Mérindol. La vegetazione nettamente mediterranea che adesso ci circonda non ha più nulla a che vedere con la Lomellina; lo stesso vale per i dolci poggi affacciati tra le sue frange. Tagliamo fuori il paese, limitandoci a superare una rada ma prolungata fascia artigianale-commerciale. Ecco, finalmente, la freccia verso destra con l’indicazione Espace Naturel Sensible de la Garrigue.
Parcheggiamo sullo sterrato, dove sostano già un paio d’altre vetture. Ci avviamo. Una bacheca, curata dal Comune, illustra il Parcours santé effettuabile fra gli alberi, per lo più lecci e pinastri piuttosto alti contornati da un ricco sottobosco di mirtacee.
Il sentiero che seguiamo – terra rossiccia disseminata di ciottoli versicolori – punta verso Sud, in lieve saliscendi. Una canalina per l’acqua e la sua piccola paratia. In un recinto elettrificato, due cavalli (bianco il maschio, bruna la giumenta) brucano da un cumulo di fieno secco.

Un’ampia roggia ombrosa, scavalcata da un ponticello di pietra. Come prevedibile, non vediamo da nessuna parte la raganella mediterranea (Hyla meridionalis), della quale abbiamo letto sull’opuscolo trovato in Rete:
Di un verde vivo, questa piccola rana si fa molto discreta di giorno, quando si appende ai rami oppure alle foglie di canna. Vive in prossimità degli specchi d’acqua. Con l’avvicinarsi del periodo piovoso o durante il canto dei maschi, a luglio, il suo verso può essere udito nel raggio di quasi un chilometro!”.
Ci affacciamo a dominare, da un leggero rilievo, l’ampio letto della Durance: la diga situata a valle, i piatti isolotti centrali, la scarmigliata riva opposta, la striscia di coltivi sotto di noi. Traversando uno spazio soleggiato, notiamo una miriade di chiocciolette dal guscio bianco disposte, come una decorazione natalizia, su cespugli di ginestra e altri arbusti.

Usciamo dal bosco scendendo un piccolo costone grigiognolo; quindi rasentiamo campi (alcuni braccianti multietnici vi colgono cocomeri e li caricano su un rimorchio, agganciato a un trattore) e un piccolo maso. Un passaggio pedonale sotto la ferrovia. Un altro cascinale. Un laghetto naturaliforme. Un canale invece chiaramente artificiale, col ponticello in cemento e acciaio contrassegnato quale percorso turistico. Una scaletta ci conduce sull’alzaia di polvere.
In poche decine di metri, raggiungiamo l’Osservatorio ornitologico allestito dal Parco Regionale del Luberon. Entriamo nel capanno, corredato di schede identificative per le specie maggiormente diffuse. Dall’ampia feritoia scrutiamo il fiume. Appollaiati sugli alberi morti affioranti – per il lungo – dall’acqua bassa, stormi di garzette e un gruppo di cormorani.

Torniamo indietro rivarcando i binari e risalendo nel bosco, quindi proseguiamo verso Est, su un sentiero bordeggiante lo scoscendimento da cui è delimitata la golena (Attention – passage dangereux). Ci troviamo nella garriga mediterranea vera e propria, così descritta dal nostro pieghevole:
Sul suolo calcareo, essa risulta dall’azione millenaria dell’Uomo e del suo bestiame. La quercia spinosa (Quercus coccifera), il rosmarino e i cisti sono accompagnati da numerose altre piante: se ne contano più di 200. Grilli, cavallette e farfalle allietano le radure in primavera. La Garriga ospita inoltre 59 specie di uccelli nidificatori”.
Non avvistiamo neppure l’ortolano (Emberiza hortulana: “Questo piccolo uccello migratore torna ogni anno a nidificare nella regione. Apprezza il caldo, e lo si può trovare nelle garrighe più aperte del Luberon oppure sulle creste. È riconoscibile dal grido malinconico. Un tempo, era cacciato e molto apprezzato nella regione. Fortunatamente, oggi la sua caccia non è più permessa.”) e men che meno la mitica lucertola ocellata (Timon lepidus: “Qui la chiamano rassade. Misura fino a 75 cm: è la più grande lucertola d’Europa. Da marzo a novembre, la si può osservare mentre si riscalda al sole o caccia insetti. Si ripara fra i cumuli di pietre e negli alberi cavi. È una specie vulnerabile, proteggiamola!” [Nota 1]).
Ci sediamo, per mangiare, a uno dei tavoli da picnic che circondano la costruzione dei servizi igienici e della raccolta rifiuti. I panini si rivelano davvero ottimi. Al termine, mi sdraio sulla panca e contemplo, in cima, lunghi rami frondosi, carichi di pigne.
Stavolta entriamo in paese, in cerca di acqua. Viuzze di case provenzali schiacciate dal sole. Ci fermiamo accanto a un bar, nei pressi della Gendarmeria.
Voglio portare la famiglia in alcuni luoghi da me visitati durante i viaggi precedenti.
Arriviamo alle vicine Gorges de Régalon, percorse, nell’ottobre 2003, fino a sboccare al capo opposto, un luminoso altopiano di alberi da frutto. Ricordo il dipanarsi del passaggio, profondo, opprimente, a volte impervio per i macigni da scavalcare, con un’alternanza di tratti più ampi e vegetati e di altri in cui fatica a sfilare una persona. Un agente della Forestale, incrociato in macchina, ci informa che d’estate non è consentito accedervi, a causa del rischio incendi. Pazienza.
Puntiamo allora su Oppède le Vieux e Ménerbes. A Cheval Blanc deviamo a Nord. Costeggiamo il canale su cui sorge il grande mulino dalle pale lente e possenti. Transitando da Robion, ci incuriosisce l’insegna del ristorante Au boeuf qui fume: un toro nero che soffia dalle narici. Eccoci a Maubec e quindi a Oppède.
Marco Grassano
Nota 1: Marino Magliani, nel suo romanzo Il bambino e le isole (2023), ha fatto di questo rettile uno dei temi narrativi conduttori.
Didascalie:
- La chiesa di San Michele
- Cavalli
- Chiocciole sui cespugli
- Garzette e cormorani