
C’è tempo fino al 20 luglio per visitare una delle mostre più importanti del 2008. Roma e i Barbari, ospitata nella splendida cornice di Palazzo Grassi a Venezia, è stata organizzata, infatti, con l’ambizione di lasciare il segno. Si può riconoscere che ha raggiunto pienamente lo scopo. L’ha fatto squadernando la bellezza di duemila reperti, tra cui spiccano tesori di gran peso. Letteralmente. Come lo straordinario sarcofago di Portonaccio, così chiamato dal quartiere romano in cui fu rinvenuto nel 1931, che da solo – per iperbole – vale il prezzo del biglietto.
Li riconosci dalla barba

La prima sezione, allestita nel maestoso atrio del palazzo, è intitolata programmaticamente “Sottomettere i Barbari: il grande disegno di Roma”. I pezzi qui esposti raccontano senza giri di parole come i Romani intendessero perseguire l’obiettivo: con la forza delle legioni, sempre affiancate dai corpi dei fedeli ausiliari. Di certo non erano scampagnate le battaglie contro i nemici e proprio il sarcofago di Portonaccio, scolpito attorno al 180 d.C., presenta sulla fronte una mischia caotica in cui Romani e Barbari alla prima occhiata risultano indistinguibili tanta è la foga dello scontro. Aguzzando la vista, i primi si riconoscono per le armature che indossano e per la foggia della barba, più corta e curata. I Barbari, invece, la portano incolta. Il conflitto oppone dunque le forze della civiltà a quelle della barbarie ferina, con i Romani naturalmente (per il loro punto di vista, l’unico che ci è pervenuto grazie alle testimonianze dirette) nella parte delle prime.
Al centro della scena il protagonista è rimasto senza volto perché l’anonimo artigiano, ignorando i tratti del volto del committente, lo lasciò incompiuto. Il pannello frontale rappresenta un caso emblematico di horror vacui, con una scena disposta su numerosi piani che quasi soffoca di personaggi sporgenti in altissimo rilievo, senza neppure un centimetro di spazio vuoto. Accanto a questo capolavoro si può ammirare il sarcofago cosiddetto “Piccolo Ludovisi”, in cui risalta la nudità eroica dei Barbari.
In cima allo scalone sorprende i visitatori la drammatica tela “Germanico di fronte alle legioni di Varo”, realizzata alla fine dell’Ottocento da Lionel Royer. Delle legioni di Varo non restano che ossa e brandelli di armature sparse sul terreno. Nell’aria pare risuonare ancora il lamento di Augusto: “Varo, Varo, restituiscimi le legioni!”. Il quadro esemplifica bene le difficoltà di quella conquista gloriosa di cui parla il titolo della seconda sezione.
L’eroe di questa epopea è Nerone Claudio Druso che proprio per le sue imprese belliche si conquista il cognomen onorifico di Germanicus: il suo ritratto è presente con una bella testa in marmo bianco, prestata dal museo di Tolosa. Accanto, un pannello riporta il celebre passo degli Annali in cui Tacito racconta la disfatta della selva di Teutoburgo.
Un busto d’oro

I successori di Augusto si trovarono ad affrontare il problema di rinsaldare le conquiste militari che raggiunsero la massima espansione sotto Traiano, come ricordano i pannelli in pietra esposti lungo la via dei Fori Imperiali, in vista del Colosseo. Ma col passare del tempo, a causa dei movimenti migratori dalla lontana Asia, il vero problema divenne la difesa stessa dell’impero, sempre più in difficoltà.
Dal tesoro di Thorsberg Moor, in Germania, proviene l’interessante equipaggiamento militare di un ufficiale romano, offerto in sacrificio agli dei da parte dei Germani (IV d.C.). Di fronte alla teca è appesa la tela di Paul-Henri Motte “Vercingetorige si arrende a Cesare”. Il generale romano è seduto sul tribunal, così lontano in fondo da non poter essere identificabile nei tratti del viso. L’espediente tecnico consente al pittore francese di esaltare il punto di vista dei Galli. Non va dimenticato che è l’epoca di Napoleone III e degli scavi archeologici di Alesia, una sorta di Masada gallica, l’estremo tentativo di resistenza alla forza romana.
Il pezzo più bello arriva direttamente da un caveau svizzero, come uno degli ospiti più attesi della sontuosa mostra. È il busto aureo di Marco Aurelio, scoperto nel 1939 ad Avanches, del peso di circa un chilo e mezzo. Il museo cittadino lo espone solo in rare occasioni per timore che venga rubato: auri sacra fames, direbbe il poeta.
Di eccezionale fattura è il cammeo con apoteosi di Caracalla, conservato alla Biblioteca di Nancy.
In questa sala un pannello riporta la lista degli imperatori da Augusto a Diocleziano, ovvero dal 27 a.C. al 305 d.C. Cinquantacinque in poco più di 330 anni, con una media di 6 anni di governo per ciascuno di loro.
Va letto anche il testo riportato all’ingresso della settima sezione. È l’elogio di Roma scritto dal retore Elio Aristide nel 144 d.C. Non senza una pesante dose di piaggeria l’intellettuale divide il mondo a lui contemporaneo in due metà: l’una abitata da Romani, l’altra da non Romani. A fare da discrimine non era la razza, bensì l’accettazione o meno della pax romana e di tutte le sue implicazioni, a cominciare dalla regola aurea della cooptazione dei buoni e della sottomissione forzata dei cattivi (secondo la celebre lezione del virgiliano “Parcere subiectis et debellare superbos”). Già un secolo prima l’imperatore Claudio aveva concesso la cittadinanza romana a tutta la Gallia transalpina. In mostra è presente la Tavola claudiana di Lione che riporta il discorso che l’imperatore pronunciò in senato per convincere i patres conscripti della necessità del provvedimento. È un documento eccezionale perché permette di valutare l’utilizzo delle fonti d’archivio da parte degli storici romani, in questo caso specifico di Tacito che negli Annali riferisce il discorso di Claudio senza discostarsi troppo dalle parole incise sul bronzo.
Le cose vanno male
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Le sale si susseguono e i manufatti esposti nelle vetrine si moltiplicano. Al busto di Decio è riservato una posizione di rilievo, non senza una ragione: egli fu infatti il primo imperatore a cadere in una guerra contro i Barbari. Correva l’anno 251. Una manciata di anni prima Filippo l’Arabo aveva celebrato il millenario di Roma. Il tesoro monetario rinvenuto nella città polacca di Chmielow Piaskowy e gli altri presenti in mostra permettono di soffermare lo sguardo sui mezzi della propaganda imperiale. Le monete circolanti in tutto il territorio romano (ma anche oltre i suoi confini) recavano infatti sul diritto l’effigie dell’imperatore, a cui apparteneva il circolante (si ricordi la parabola evangelica del dare, ovvero restituire, a Cesare quel che di Cesare era), mentre sul rovescio comparivano le divinità del pantheon, gli edifici che contribuivano a esaltare la grandezza dell’Urbe, i trofei alzati con le spoglie dei nemici. Ma anche i Barbari avevano i propri dei a cui consacrare le armi prese ai Romani, come si è visto in precedenza. Nelle teche gli organizzatori hanno collocato monili, utensili, armi e oggetti di lusso. Come il raffinato cammeo che rappresenta il trionfo di Licinio. Una vetrina custodisce le insegne ritrovate recentemente sul Palatino che secondo alcuni studiosi andrebbero identificate con quelle di Massenzio, sotterrate dopo la sconfitta subita da Costantino. Con l’ascesa al potere di quest’ultimo si chiudeva un’epoca e l’impero cambiava volto. Il suo lo possiamo osservare grazie alla testa in bronzo proveniente dal museo di Belgrado, al pari del cammeo con la scena dell’imperatore a cavallo che combatte i Barbari (passano i secoli ma non tramonta questo schema iconografico classico, già visibile nel balteo bronzeo presentato nell’atrio). Dalla Serbia e Montenegro proviene anche la testa in porfido rosso – marmo imperiale per eccellenza, ricordando il colore della porpora che ammantava la figura augustea del princeps – di Galerio e la mano che regge il globo, simbolo di potere.
Un lungo percorso
All’ultimo piano sono esposti i reperti ritrovati in diversi contesti funerari. Un breve pannello esplicativo ricorda la pratica rituale (questa davvero “barbara”) della deformazione dei crani, in uso presso alcune popolazioni germaniche.

Gli oggetti in mostra sono davvero tanti e si rischia di perdere il filo del percorso. Per fortuna gli organizzatori hanno predisposto una sala nella quale ci si può soffermare per fare il punto, osservando le cartine geografiche con i movimenti, gli scambi e le invasioni dei Barbari, la lista degli imperatori romani e la genealogia dei Carolingi. Si possono anche consultare alcune copie dell’esauriente catalogo edito da Skirà che merita una menzione particolare perché raccoglie saggi di notevole spessore e un ricco apparato iconografico.
Tra gli ultimi reperti segnaliamo il mattone fittile sul quale un anonimo ha graffiato una disperata preghiera in occasione dell’assedio degli Avari alla città di Sirmium (582 d.C.), la bella croce appartenente al tesoro visigoto di Guarrazar (la cui storia rocambolesca è sintetizzata su uno dei pannelli) e il dittico di Rambona (IX-X sec.) che sulla valva di sinistra presenta una scena emblematica: ai piedi della croce c’è infatti la lupa coi gemelli.
I Barbari non furono di certo la fine del mondo; rappresentarono anzi una risorsa.
L’ha riconosciuto anche il poeta alessandrino Kavafis che conclude una delle sue più celebri poesie (Aspettando i Barbari) con questi versi:
“Perché le strade e le piazze si svuotano così in fretta
e perché rientrano tutti a casa con un’aria così triste?
È che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono affatto Barbari…
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano comunque una soluzione”.
Se la storia insegnasse qualcosa, si dovrebbe far tesoro delle lezioni che ci vengono dal passato. Ma come ha recita un’arguta “minima” di Morandotti, “la storia insegna che la storia non insegna nulla”.
DIDASCALIE:
Sarcofago del Portonaccio con raffigurazione di scontro tra Romani e Barbari
I sec. d.C.
Marmo bianco a grana media
Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo alle Terme, Roma (Italia)
Dimensioni: 114 x 239 x 116 cm
Busto di Marco Aurelio
Circa 180 dopo C.
Oro, (22 carati)
Musée Romains d’Avenches, Avenches (Svizzera)
Dimensioni: 33,54 x 29,54 x 17 cm
© J. Zbinden, Berne
Decorazioni da corredo funebre
oro e pietre preziose
Tomba di Omharus, Necropoli di Apahida, Bucarest (Romania)
Museo Nazionale della Romania, Bucarest
Dittico di Rambona
900 circa
avorio
Musei Vaticani, Città del Vaticano
Dimensioni: 31 x 27,5 cm
Roma e i Barbari. La nascita di un nuovo mondo
a cura di Jean-Jacques Aillagon
Fino al 20 luglio
Palazzo Grassi
Campo San Samuele, 3231
Venezia
Tel. 041.5231680
www.palazzograssi.it
Fermata del vaporetto: San Samuele
Orario: tutti i giorni 9.00-19.00; ultimo ingresso alle 18.00
Biglietto: intero 15,00 €; ridotto 6,00 €