“L’ALIBI della domenica” di questa settimana è dedicato al libro “La crepa” di Carlos Spottorno e Guillermo Abril.
Prologo
Negli anni Novanta e nei primi del nuovo millennio ho viaggiato in paesi in cui ora non potrei tornare o mi sentirei molto più in pericolo che non vent’anni fa: dalla Siria alla Libia, passando per l’Egitto e il Libano. Negli aeroporti e ai posti di controllo il passaporto e il visto risolvevano in pochi minuti le pratiche per il passaggio della frontiera.
Durante il viaggio di nozze (era il 2004) ricordo la fila di cittadini libici in coda fuori dagli uffici della frontiera con l’Egitto. Appena ci videro, ci fecero passare davanti, saltando la coda, perché potessimo arrivare subito dall’altra parte. Mai assistito a una scena simile qui in Europa.
Il leggero fremito di tensione che provo quando salgono sul treno i doganieri svizzeri non può essere lontanamente paragonato alla paura che devono provare le persone (spesso minori non accompagnati) che percorrono migliaia di chilometri per arrivare in Europa.

Ieri sono stato a Bellinzona per ascoltare la presentazione di un libro che racconta il fenomeno migratorio. Alla stazione di Chiasso il treno proveniente da Milano si è fermato. Si sono aperte le porte e sono saliti degli agenti per il controllo dei documenti. Nel mio scompartimento non sono neanche entrati. Da quello successivo hanno fatto scendere un paio di ragazzi privi di passaporto.
Per la velocità con cui si è svolto l’episodio, ho avuto la sensazione che i poliziotti fossero saliti a colpo sicuro, magari per una segnalazione. Io ho proseguito il viaggio e sono rientrato la sera, dopo una giornata molto intensa e piacevole. Quei due ragazzi da dove venivano? Dove volevano andare? Cosa avevano negli zaini, nella testa, nel cuore e negli occhi?
Atto I: la lettura
Qualche anno fa ho letto “La crepa” di Carlos Spottorno (fotografo) e Guillermo Abril (giornalista), tradotto in italiano da Francesca Bianchi per Add Editore. L’ho letto insieme al mio figliolo, allora studente delle scuole medie. Non mi interessava che capisse tutto, quanto piuttosto che cominciasse a farsi domande sul mondo là fuori, magari non le stesse che mi faccio io, perché di solito queste rimangono senza risposta, provocandomi un senso di frustrazione che negli anni si acuisce.

La prefazione di Fabio Geda è, come si suol dire, breve ma intensa. Andrebbe citata (e soprattutto letta) per intero. Qui mi limiterò a riportarne le prime righe: “La crepa è molte cose. È anzitutto un racconto che toglie il fiato”. Verissimo. Ogni pagina merita la massima attenzione e quindi il mio consiglio è quello di centellinarle, dedicando al libro una parte del proprio tempo per qualche giorno, invece che leggerlo tutto d’un fiato in un pomeriggio.
Persi nei rispettivi problemi nazionali e regionali, tendiamo a dimenticare una realtà che invece è di basilare importanza, attorno alla quale dovremmo costruire il nostro futuro insieme: l’Unione Europea è la “più grande isola di libertà di mondo” (pag. 12). Per questo è una meta così ambita, per raggiungere la quale migliaia di persone ogni anno rischiano la vita.
Spottorno e Abril sono andati ai confini dell’Europa per vedere cosa vi succede, per conoscere le persone che tentano di entrare e quelle preposte a impedirglielo: guardie, poliziotti e militari. Doveva essere un “reportage ambizioso”, secondo le parole della caporedattrice de El País Semanal che commissionò loro i servizi da cui è nato il libro. E tale è, a tutti gli effetti, “La crepa”.
È un vademecum per comprendere la contemporaneità, un trattato di geopolitica per immagini e brevi annotazioni giornalistiche, un viaggio ai confini dell’Europa fisica che ne sonda anche quelli mentali e, per certi aspetti, ideologici.
Che cos’è l’Europa oggi? I due autori hanno cercato risposte, ma soprattutto hanno continuato a fare e farsi domande (in “conversazioni socratiche” tra di loro), viaggiando da Melilla, enclave spagnola in Marocco, a Salla, in Lapponia, passando per la Tracia, Lampedusa e Kaliningrad. Hanno osservato e registrato tutte le “crepe” dell’Unione. C’è di che preoccuparsi.
Atto II: la presentazione
A vent’anni esatti da quell’Undici Settembre che ha cambiato la nostra vita, Carlos Spottorno è stato ospite di Babel, il Festival di Letteratura e traduzione di Bellinzona, in Canton Ticino. Nel cortile della libreria Casagrande ha presentato “La crepa” insieme a Giona Mattei, docente di filosofia etica e scienze sociali, responsabile della formazione di Soccorso Operaio Ticino. L’incontro era organizzato in collaborazione con “Storie controvento”, Festival di Letteratura per Ragazzi (la prossima edizione si terrà ad aprile 2022). Venerdì 10 Spottorno aveva incontrato infatti alcune classi di ragazzi per parlare del suo libro.

Mi sono ritrovato nella lettura de “La crepa” che ne ha proposto ai presenti Mattei, a cominciare dalla definizione di libro “fuori dalla norma”. Con domande calibrate e profonde ha portato l’autore a raccontare con dettagli e aneddoti, le motivazioni, le fasi e i risultati dell’opera. La scelta della graphic novel come mezzo di comunicazione non è avvenuta fin dal principio, ma quando i due autori si sono resi conto del rischio che un “normale” libro di fotografie con testi non incontrasse l’interesse del pubblico, passando inosservato.
“Il libro è costruito per riflettere, non tanto per colpire”, ha osservato Giona e Carlos si è soffermato sull’aspetto emotivo delle immagini che ha scattato.
Tra gli aneddoti più interessanti c’è stato il racconto delle discussioni con Abril sulla lunghezza dei testi (che non sono semplici didascalie, sia ben chiaro!). Sapendo che Guillermo avrebbe chiesto più spazio, Carlos stava sempre basso con le proposte. “La crepa” è anche il risultato di un onesto compromesso tra di loro, tra immagini e parole, due linguaggi che colpiscono il bersaglio insieme soltanto quando sono perfettamente calibrati.

Studiando l’evoluzione dei fumetti dagli anni Cinquanta, quando i testi erano lunghissimi, a quelli odierni in cui ci sono pagine intere senza parole, Spottorno e Abril hanno scelto di seguire come modello le storie di Tin Tin, in cui i testi sono di circa 100 parole per pagina. Naturalmente si parla di media. Ci sono qui testi più lunghi, come quello che scorre nei due box della prima foto di p. 113. Ne riporto le ultime righe perché sono parole dello stesso fotografo “«Ci sono crepe più grandi e altre più piccole. E sono tutte collegate», mi dice Carlos subito prima dell’attentato (al teatro Bataclan di Parigi, il 13 novembre 2015, ndr). «Se non si riparano quelle, collassa tutta la struttura»”.
A una domanda di Giona sui guardiani delle frontiere, Carlos ha risposto che c’è davvero di tutto. “È pieno di cose in mezzo”, tra la visione distorta della sinistra che vede in ogni guardia di frontiera un fascista assassino e quella – altrettanto distorta – della destra che li presenta come difensori della civiltà di fronte alla barbarie.
Nei loro viaggi hanno invece incontrato persone di tutti i tipi: da quelli che sono lì perché non sanno fare nessun altro lavoro, ad ex profughi che hanno provato in prima persona l’esperienza che ora vivono i migranti. Carlos è stato colpito in particolare dal caso di un militare italiano che nel libro è menzionato con il solo nome di battesimo. Durante le ricerche in fase di lavorazione, infatti, hanno scoperto che sui social media questa persona esprime posizioni personali molto dure contro gli immigrati. Ma nell’azione di salvataggio a cui hanno assistito loro quest’uomo è stato professionale e generoso, dimostrando di saper separare le opinioni personali dalla missione in cui era impegnato. Un esempio di sano pragmatismo che può servire da lezione a chi pontifica da lontano.
Atto III: il pranzo
Al termine della presentazione Carlos si è fermato per il firmacopie, durante il quale ha salutato due amici che non vedeva da anni: poco dopo li avrei conosciuti anch’io. Prima dell’incontro mi ero presentato a Carlos, il quale già sapeva dalle colleghe dell’ufficio stampa del Festival che avrei voluto intervistarlo. Ci eravamo accordati per pranzare insieme e fare una chiacchierata, più che un’intervista formale. La birra con i due amici svizzeri si è trasformata per Carlos in un pranzo a quattro in compagnia del giornalista culturale italiano venuto apposta per lui dalla Brianza (“desde tan lejos”, mi ha scritto nella dedica quando gli ho chiesto un autografo).

Entrambi insegnanti, Cheti e Marco hanno preso parte – spero con il mio stesso piacere – alla chiacchierata molto informale che ho avuto con Carlos. Per sciogliere il ghiaccio mi ero preparato un colpo ad effetto e non sarò così immodesto da negare che abbia funzionato appieno.
Ho tirato fuori dalla borsa un’agendina personalizzata con il logo del “Proyecto Djehuty”, la missione spagnola guidata da José Manuel Galán che da vent’anni scava nell’area delle Tombe dei Nobili della necropoli tebana, in Egitto. Qualche anno fa ho partecipato alla campagna di raccolta fondi per finanziarla, emulando il mio giornalista spagnolo preferito, Jacinto Antón, come me appassionato dell’antico Egitto. Carlos invece ha partecipato a due vere campagne di scavo, realizzando anche un piccolo libro intitolato “Buscadores de historia” (Cercatori di storia). È rimasto stupito quando gli ho mostrato la dedica che Galán ha vergato sulla mia agendina, quando è stato ospite del Museo Egizio di Torino nell’ottobre del 2019.
L’Egitto è stato il grimaldello per far raccontare a Carlos le varie tappe della sua vita, dalla nascita a Budapest, dove suo padre era l’ambasciatore spagnolo, ai due soggiorni a Roma, a distanza di anni, nel secondo dei quali ha imparato di nuovo la nostra lingua che parlava da bambino e si è laureato in pittura e incisione all’Accademia di Belle Arti. Rievocando quei tempi gli è scappato un sospiro: “Ah, la Roma dei primi anni Novanta, quando si facevano tante cose di persona!”.

Tra un boccone e l’altro di Flammkuchen – focacce senza lievito – abbiamo parlato di Europa, di Spagna e di giornalismo, passando da una crepa all’altra. Quella che separa le generazioni, quella che allontana i cittadini europei dalle istituzioni dell’Unione, quella che isola le piccole patrie. Gli ho raccontato che prima di raggiungerlo a pranzo avevo fatto un giro nella piazza Collegiata, dove avevo notato una “Estelada” (la bandiera della Catalogna indipendentista) alla finestra di un edificio…
Ma abbiamo parlato anche di Covid e di vaccini, di politici italiani e spagnoli, di cambiamenti storici avvenuti in pochi anni (come la proibizione del fumo nei locali pubblici) e di libri, compresi i “tesoretti” che Carlos e Marco hanno provveduto per tempo a mettere da parte con le copie dei lavori di Spottorno.
Eravamo quattro europei seduti al tavolo di una birreria a chiacchierare piacevolmente in una splendida giornata di settembre. Figli, anche gli Svizzeri nel loro piccolo, dei settant’anni di pace che l’Unione – nelle sue varie fasi – ha garantito ai suoi cittadini e vicini.
Epilogo?
Sul País di oggi (domenica 12 settembre, ndr) è pubblicato un articolo a firma di Gloria Rodríguez-Pina da Teremiski, in Polonia. La giornalista racconta la situazione in cui si trovano decine di migranti bloccati nella terra di nessuno tra la Polonia e la Bielorussia. Li ha fatti passare Lukashenko come ritorsione per le sanzioni europee e per l’appoggio dato dal governo polacco a due atlete che non volevano tornare in Bielorussia.
L’articolo è illustrato dall’immagine di un fotografo che è citato solo per le iniziali: C.S. Non si tratta però di Carlos Spottorno, bensì di Czarek Sokolowski (l’ho scoperto leggendo la versione online dello stesso articolo). La situazione descritta dalla giornalista ricorda molto quelle raccontate da Spottorno e Abril ne “La crepa”.
Come sarà l’epilogo? Impossibile anche solo immaginarne uno. Cosa racconteranno le fotografie dell’Europa tra dieci anni? Sarà ancora un’unione di stati nazionali o sarà invece diventata un “club” di regioni autonome? Poggerà su strutture più solide o il suo scheletro sarà ancora più fragile di quello attuale? I nostri figli si sentiranno europei soltanto per i viaggi low cost nelle capitali del turismo o per contrapposizione ai giganti USA, Russia e Cina che si spartiranno il mondo? Chissà.
Per quel che mi riguarda, nei prossimi anni mi piacerebbe ritrovarmi tra le mani altri lavori di Spottorno e Abril. Magari una versione “positiva” del reportage su Palmira (pubblicato su El País Semanal del 23 settembre 2018), un racconto sul Mediterraneo che vive in pace il presente, senza dimenticare né distruggere il proprio passato.
Intanto guardiamo al futuro. Ah, feliz cumple, Carlos!
Saul Stucchi
Carlos Spottorno e Guillermo Abril
La crepa
Traduzione di Francesca Bianchi
Add Editore
2017, 171 pagine
19,50 €
Babel. Festival di Letteratura e Traduzione
10 / 11 / 12 settembre 2021
Bellinzona (Svizzera)
Informazioni e programma