Due anni fa ho avuto il piacere di presentare Marcello Fois alla biblioteca di Mezzago, in occasione di un ciclo d’incontri intitolato Luoghi d’autore. Mentre lo riaccompagnavo a casa, a Bologna, chiacchierammo a ruota libera di molte cose: del ponte di Calatrava che attraversa l’autostrada a Reggio Emilia, di cioccolato modicano lavorato senza burro, dell’oratorio che stava scrivendo per il siluramento della nave Victoria, dell’imbarazzo provato per la puzza di piedi di un celebre fotografo che gli camminava sul letto…
Questa volta, invece, ha accettato l’invito a pranzare con me per un’intervista “almuerzo”. Lo accolgo al binario 18 della Stazione Centrale di Milano e l’accompagno alla vicina Osteria che conosco da qualche anno. L’ambiente è accogliente e ci viene assegnato un tavolino accanto al divanetto sul quale stendo il giaccone. Il cameriere ci porta il quadernetto con il menù del giorno, mentre spiego a Fois che può scegliere un piatto “completo”, ovvero la combinazione di primo e secondo.
Opta per i cannelloni ma è sfortunato perché sono già terminati. Ripiega allora su un piatto di fettuccelle, mentre io scelgo la scaloppina al marsala come accompagnamento per gli strangolapreti (non glielo confesso, ma avendo un fratello sacerdote, non resisto mai alla tentazione di selezionare questo tipo di pasta quando la trovo sul menù).
Do avvio alla chiacchierata informale chiedendogli del suo rapporto con i classici, cominciando dal classico dei classici, ovvero la Bibbia. Ho notato, infatti, che Stirpe, il suo ultimo libro appena edito da Einaudi, è ricco di riferimenti al Vecchio Testamento.
Premette che il romanzo sta andando molto bene, anche se – dice – non è un libro “prêt-à-porter”. Michele Angelo, il patriarca, è un Giobbe piagato, ma non piegato, dalle disgrazie, uno che non le manda a dire, arrivando a sfidare Dio da pari a pari.
Conferma la mia impressione e parla del progetto più ampio di cui il romanzo costituisce solo la prima parte. Ora sta lavorando a una storia che va dal 1942 (un anno prima della conclusione di Stirpe) fino agli anni Ottanta, mentre la terza tappa sarà dedicata ai giorni nostri, con l’estinzione della famiglia. Questi riferimenti fanno parte della sua personale ricerca di trattamento del classico.
Ha messo in Stirpe, volontariamente, molti topoi: ci sono le cantiche dantesche, per esempio; il mito di Giobbe e la maledizione di sopravvivere ai propri figli. Quando gli dico che nel romanzo pare non esserci speranza di salvezza, si (e mi) sorprende rispondendo che a suo parere, invece, Stirpe è molto più ottimista del precedente, Memoria del vuoto.
Intanto il cameriere porta i piatti. “Il trucco – prosegue – è di oscurare mostruosamente l’ambiente per rendere luminosissima la fiammella alla fine. Il fondamento del libro è questo ricominciare che arriva dove tu non hai previsto”. Anche la moglie, rivela però, quando ha letto del naufragio di Gavino si è arrabbiata (ma usa un termine più colloquiale e colorito) esclamando: basta!
Parliamo del mito dell’homo faber, che nel caso del protagonista è fabbro in senso letterale, non solo metaforico e poi della prima guerra mondiale, snodo cruciale per la storia sarda e italiana. Dentro in questo romanzo, confessa, c’è molta autobiografia. Molta di più di quanto si pensi. Vi ha messo molto della sua vita reale.
La famiglia Chironi doveva essere una famiglia di macellai, come la sua da parte di madre. Il nonno paterno invece faceva l’ufficiale e gli parlava spesso di Trieste, tanto che quando Fois ci andò per la prima volta gli parve di esserci già stato. Da parte materna, invece, c’era il coté dei self-made men, con il bisnonno che aveva intrapreso l’allevamento dei bovini, quando in Sardegna era ancora inusuale.
Mi consiglia la lettura di Terra matta di Vincenzo Rabitto, edito da Einaudi: l’autobiografia di un autodidatta che ha molti punti in comune con le storie dei sardi mandati sul fronte orientale durante la Grande Guerra.
Quando stiamo per iniziare a parlare del tema del dialetto, il cameriere arriva per proporre i dolci della casa. Fois sceglie lo strudel alle mele, io la torta pere e cioccolato (la conosco e so di andare – ottimamente – sul sicuro).
Dal suo punto di vista il problema del rapporto tra italiano e dialetto non sussiste perché ciascuno deve fare i conti con il patrimonio che ha a disposizione, senza creare distinzioni etiche: non esistono patrimoni migliori e patrimoni peggiori. Una lingua non deve eliminarne un’altra.
In Stirpe ha fatto la scelta politica (e polemica) di ridurre l’uso del sardo, ma il romanzo rimane tuttavia un libro molto “sardo”, non soltanto per l’ambientazione.
Gli racconto del mio personale, anzi famigliare, rapporto con il dialetto, scarsamente utilizzato a casa perché l’italiano era considerato una conquista culturale rispetto alla generazione precedente, appena uscita dall’analfabetismo e mi dice che qualcosa di molto simile ha raccontato durante un incontro pubblico lo scrittore triestino Mauro Covacich.
Dopo pranzo andiamo in centro per visitare la mostra di Hopper a Palazzo Reale (ne scriverò a breve). Con gli occhi osservo i quadri esposti e con le orecchie non mi perdo le osservazioni di Fois, che mi svelano prospettive inedite. Verso la fine del percorso ci raggiunge il giovane scrittore Giovanni Carta, arrivato a Milano per presentare il suo romanzo d’esordio alla libreria Fnac.
Completiamo la visita della mostra e poi passiamo all’esposizione dedicata all’eros nel Giappone del periodo Edo. I commenti dei due scrittori e del giornalista culturale sono stati per lo più di tipo goliardico e quindi, purtroppo per i lettori, in gran parte irriferibili.
Mentre attraversiamo piazza Duomo ci sfidiamo a chi ha fatto o continua a fare il lavoro più strano. Con mia grande sorpresa, la qualifica di magazziniere-ricarichista mi vale soltanto la medaglia d’argento ma riconosco che non poteva competere con la mansione che si è aggiudicata l’oro.
All’incontro con il pubblico, Marcello fa da padrino a Giovanni chiedendogli di raccontare le particolarità della collana all’interno della quale è stato pubblicato il suo primo romanzo (intitolato Il rumore dell’acqua, del ferro nel fieno e del giunco che stringe) e quali “errori” riconosce di aver eventualmente commesso e vorrebbe emendare nel prossimo libro.
Torno a casa con l’adrenalina che mi circola ancora in corpo, dopo un pomeriggio fuori dall’ordinario. Per rallentarne la dispersione mentre guido per le strade trafficate della Brianza (anche qui non c’è il mare…) passo in modo compulsivo da una stazione radio all’altra, finché non mi imbatto nella banchina di Otis Redding e nei Rolling Stones che cantano Dylan…
Saul Stucchi
Osteria della Stazione
Via Popoli Uniti 26
Milano
Tel. 02.28900420
- Fettuccelle caserecce
- Strangolapreti al taleggio con scaloppina di lonza al marsala
- strudel
- torta pere e cioccolato
- 1 acqua naturale
- mezzo litro di vino rosso della casa
- 2 caffé
Conto: 35 €
Postfazione a mo’ di premessa
“ALMUERZO CON…” è un aperto omaggio all’omonima rubrica che appare quotidianamente (tranne la domenica) sull’ultima pagina del quotidiano spagnolo El País. A sua volta quest’ultima è nata su “ispirazione” della rubrica “Lunch with the FT”, pubblicata sull’inserto culturale del Financial Times. Scopo di tutte queste rubriche, compresa la nostra, è quello di conoscere meglio una persona (non necessariamente un personaggio) attraverso un’intervista condotta in modo informale durante un pranzo o una colazione.