Prosegue il reportage di Marco Grassano sull’arcipelago maltese.
La circonvallazione si divide; noi seguiamo il ramo che curva a sinistra. Ancora una fermata di bus. Ci sediamo, per bere, sui gradini di marmo della grande, angolare Banju boutique, poi proseguiamo dritti in una zona assai meno trafficata, lasciando flettere a destra la strada multicorsie.
Costruzioni nuove; altre da urbanizzazione anni Settanta; altre ancor meno recenti e più scalcinate. La via è in salita: non ripida, ma sensibile e costante. Comincio a faticare per tenere il passo di mia figlia. Le costruzioni qui sono decisamente più vetuste e peggio conservate: tipiche, ma di una tipicità triste. Proseguendo, però, migliorano, almeno in parte. Continuiamo a salire e io continuo ad ansimare. Mia figlia non ha pietà dei miei anni.
[adsense-inarticle]Una chiesa barocca piccola e bassa a sinistra, con il suo sagrato di giardini. Sempre in salita: di questo passo raggiungeremo il cielo! Procedendo ancora, arriviamo a incrociare la via principale, di fronte alla grande parrocchiale colonnata, in uno slargo con una fila di palme che è anche un nodo di carreggiate parallele e di vie traverse. Prendiamo la più a destra, ad angolo retto con quella da cui arriviamo. Abbastanza scalcinata anch’essa. La seguiamo finché troviamo, a sinistra, un muraglione grigio con la scritta a grandi lettere di bronzo Ħal Saflieni prehistorical hypogeum Unesco World heritage site. Ma l’ingresso non è qui; lo si raggiunge svoltando a sinistra e procedendo per qualche metro, fino al portone rosso con inscritto sull’architrave, in nere lettere metalliche staccate dalla superficie, HYPOGEUM.
La biglietteria è al termine di un sedile a parete, verso sinistra. Di fronte al banco, vetrine contenenti volumi monografici, riproduzioni di statuette, oggetti artigianali – sempre la solita mercanzia per tutta Malta. Alcuni scalini, e la rampa per disabili, conducono verso il fondo. Due donne allo sportello. Ci dicono che la visita va prenotata, e che i tempi di attesa non sono brevi, quindi è impensabile sia per oggi che per domani. In effetti, anche la guida tascabile precisa che il sito “è stato restaurato con finanziamenti Unesco, e il suo microclima è ora tenuto sotto stretto controllo; per questa ragione, il numero massimo di visitatori è limitato (10 per gruppo)”. Consiglia quindi di attivarsi con largo anticipo, “circa due mesi prima”. E chi lo sapeva. Pazienza.
In ogni caso, è l’una passata ed è meglio pranzare. Ci portiamo nella via a sinistra, che torna verso la chiesa. Marciapiede in piastrelle di gres rossastro. L’abbigliamento Club sin. Pochi metri dopo, il Café the green bean espone un menù confacente. Come indicato, tiriamo verso destra la sliding door, o porta scorrevole, ed entriamo.
Dietro il bancone, due ragazze scure di capelli, una crespa e con mèches ramate, parlano italiano piuttosto bene. E si capisce perché: lo schermo televisivo sulla parete in fondo a sinistra trasmette senza sosta il programma Radio Visione di RTL 102 e 500, col chiacchiericcio fitto dei due presentatori alla consolle intervallato da interviste a personaggi noti (un agitato Don Mazzi, in questo momento) e da video di canzoni. Mentre ci accomodiamo sulle sedie nere accanto a uno dei tavolini tondi dal piano bianco e consultiamo la carta, sentiamo le due giovani accompagnare in coro versi di una canzone di Elisa. Faranno poi lo stesso con Laura Pausini e con l’intensa Mio fratello, di Biagio Antonacci: “Mai più, mai più dolore!”.
Ordiniamo gustosi panini imbottiti caldi, spolverati di semi di lino e di papavero, un’insalata, un dolce, acqua minerale e birra Cisk. Qualche altro cliente: turisti o impiegati in frugale pausa pranzo. Entrano e vengono a sedersi, al tavolino di fronte a me, la signora italiana con la giovane governante tedesca e la bambina piccola che avevamo incontrato sul bus da Ħagar Quim a Rabat. Curiosamente, forse per mantenere le distanze o per qualche pregiudizio sociale o razziale, la mamma parla inglese con le bariste, pur sentendo che cantano in italiano. Escono prima di noi. Quando pago alla ragazza crespa i 22 euro del conto, le faccio notare la discutibile circostanza. “Non mi ero accorta che fosse italiana”, commenta lei.
Usciamo. Il cielo si è di nuovo alleggerito. Riprendiamo a procedere in direzione della chiesa. L’abbigliamento Tom Taylor, che piega leggermente, ad angolo ottuso, sul marciapiede rossiccio. Fitte e disparate insegne su entrambi i lati. Torniamo nello slargo con le palme. Un edificio di garbo anglosassone esibisce, accanto al portone sopraelevato, il proprio curioso emblema multicolore, in foggia di stemma comunale; l’impronunciabile insegna Kummissjoni Żgħażagħ partitari de Paule, che trascrivo a fatica, non mi dice nulla.
Proseguiamo lungo la metà sinistra di questa via bipartita da giardini centrali. Il lato opposto, attorno alla chiesa, è interessato da lavori pubblici. In fondo alla fila di case, la sede dell’Hibernians F.C.: squadra locale mai sentita; in compenso, ho visto manifesti reclamizzare partite della Juventus o dell’Inter trasmesse da qualche Tv a pagamento. Oltre la strada traversa, contro un alto muraglione come di carcere, attendiamo l’autobus 2.
Prendiamo, a sinistra, la solita via levantina, senza gusto. Superiamo una rotonda erbosa e proseguiamo, mantenendo la stessa direzione, fra case ancora levantine, ma che hanno, a sostenere i balconi, incongrui inserti neoclassici di colonnette greche.
Passiamo, in due segmenti successivi separati da uno spazio a cielo aperto, il tunnel sotto un’apparente fortificazione di pietra grigia, che più probabilmente rappresenta lo zoccolo del dislivello fra l’altura a destra e il vasto bacino di carenaggio a sinistra. Al sottopasso fa seguito un monumento marinaro, costituito da una grande ancora e da una altrettanto grande elica di nave, entrambe in bronzo. A sinistra si allunga una darsena, fitta di imbarcazioni e di gru.
Svoltiamo due volte a destra, ad angolo retto, in una zona che pare un quartiere di Genova a ridosso del porto, anche per il lieve saliscendi delle vie. Arriviamo quindi in una piazza altrettanto genovese, con al centro una statua dorata che potrebbe raffigurare la Madonna della Guardia. Da qui inizia un canale che si allarga a divenire darsena, piena, su questo lato, di motoscafi in batteria.
Palazzi, in parte scanditi da portici, con negozi e scalinate. Continua il tono urbanistico “simil Genova”. Un giardinetto prende a costeggiare la darsena. Ecco a destra la solita fila di case levantine con vetrine al piano terra e balconi alla turca in alto. Sulla penisola di Senglea, che costituisce la riva opposta dello specchio d’acqua, un lungo, corposo edificio mi ricorda l’antico arsenale della marina veneziana che avevo visto nel porto di Iráklio.
Scendiamo a percorrere la banchina, lasciando fra noi e la via un giardinetto in salita. Qui sussiste tutto un mondo a parte di attività connesse alla navigazione e alla manutenzione dei natanti, ma anche di locali “anfibi” per gli addetti. In questo tratto, yacht e barche a vela presentano dimensioni maggiori.
Sfociamo in uno slargo in pendio, occupato al centro da una grande aiuola piena di fichi d’India e di palme, nel quale confluisce, dall’alto, anche la via “ordinaria”. Prima di proseguire lungo la banchina per arrivare a Forte Sant’Angelo, ci inoltriamo, da qui, tra le vie del borgo, cominciando dalle duplici torri campanarie, di foggia iberica, della chiesa di San Lorenzo, sobria e raffinata nella sua pietra bianco titanio.
Dopo il tempio si salgono, verso destra, marciapiedi a lunghi gradini, e si arriva in una piazzetta in cui la statua di qualche personaggio aureolato regge nella mano destra la croce e nella sinistra una foglia di palma. Montiamo e divalliamo nell’intrico di vicoli da cittadina portuale mediterranea, chiusi fra file di case a due piani, in pietra o dall’intonaco a volte sbrecciato. L’area, visto il numero di automobili parcheggiate, non è però pedonale. Giungiamo, scendendo una gradinata verso sinistra, di fronte a un edificio massiccio, con un solido, tondo portone sovrastato da un tronco di ciminiera. Da qui torniamo indietro a costeggiare la darsena.
Diciannovesima parte – Segue
Marco Grassano
Foto di M. Ester Grassano
Didascalie:
- Imbarcazioni nella darsena di Senglea a Malta
- Il largo della chiesa di San Lorenzo a Vittoriosa
- Nei vicoli di Vittoriosa