Seconda e ultima parte dell’articolo di Lorenzo Iseppi sul monumento commemorativo dell’ammiraglio Horatio Nelson in Trafalgar Square. La prima si può leggere qui.
L’ultima tavola, che guarda verso nord ed è di John Edward Carew, rammenta Trafalgar, ossia il luogo della gloria e del dramma finale. È il 21 ottobre del 1805. Si fronteggiano le 33 navi franco-spagnole sotto il comando di Pierre Villeneuve e le 27 guidate da Nelson. Il quale lancia subito contro il centro rivale tutte le sue unità disposte su due colonne perpendicolari. Poi esegue la più spettacolare manovra di tutti i tempi, chiamata “crossing the T” o “breaking the line”, e scatena un’irresistibile potenza di fuoco. In poche ore le truppe bonapartiste perdono 4 mila uomini e quasi tutte le imbarcazioni, tanto che soltanto 6 riescono a trovare riparo nel porto di Cadice. La flotta d’oltremanica rimane invece praticamente intatta e lascia sul “campo” non più di 500 marinai. Tra essi figura però anche il capitano. Verso le 13,15 Nelson viene colpito da un tiratore scelto appostato sulla coffa di mezzana del Redoutable. La pallottola attraversa l’omero, spezza due costole, trancia un’arteria polmonare e frattura due vertebre dorsali. Le condizioni appaiono subito gravissime, ma vengono tenute nascoste per scongiurare lo scoramento dell’equipaggio. Assistito dal cappellano Alexander Scott e dai medici Neil Smith e William Beatty, resta in vita fino alle 16,30. Prima di spirare chiede a più riprese come stanno procedendo le operazioni e riesce a rendersi conto del successo ormai acquisito. Dopo la morte il suo corpo viene denudato e immerso in un barile colmo di rum fino al ritorno in patria, che ha luogo ben 3 mesi dopo a causa delle pessime condizioni meteorologiche.


Le testimonianze legate alla tragica quanto beffarda fine si sprecano, anche se non tutte possono essere ritenute attendibili. È certo che al momento dello sparo Nelson indossa l’uniforme, oggi visibile al pubblico presso il National Maritime Museum, con tanto di decorazioni e lustrini. E i biografi, a questo proposito, sono abbastanza impietosi. Alcuni sostengono che un uomo così geniale commette una stupidaggine imperdonabile esponendosi in modo sconsiderato al fuoco dei cecchini, di cui peraltro conosce la pericolosa esistenza. Altri chiamano in causa la vanità del soggetto, più volte sottolineata dalle vignette satiriche del tempo. Le quali lo canzonano perché se ne va in giro vestito in modo ridicolo ostentando stelle e medaglie, la mantella scarlatta e il “ chelengk” sul cappello ricevuto in dono dal sultano di Turchia, con al centro un diamante che ruota quando solleva il copricapo. È pure assodato che viene colpito alla spalla sinistra, anche se un noto dipinto di Arthur William Devis sembra sostenere il contrario. Quanto al proiettile letale, attualmente custodito presso il castello di Windsor, è un calibro 16,6 millimetri e risulta sparato da un fucile regolamentare ad anima liscia. Non risponde pertanto al vero la voce secondo cui è uscito da una speciale carabina rigata tipo “Versailles” del 1793. La caccia al franco tiratore, poi, conduce ai risultati più strani. C’è chi giura si tratti di un soldato tirolese e chi, come Chistopher Hibbert, ricostruisce tutte le sue mosse sulla base di deposizioni di terza o quarta mano. Dice che ha quattro pallottole nel moschetto e, individuato il bersaglio, in una lingua non proprio ortodossa promette solennemente: “Si je ne le tue pas de ces trois, je me brûle la cervelle avec la quatrième”. A guardia della colonna, dalla cui vetta l’ammiraglio sembra ancora scrutare l’orizzonte, sono posti quattro leoni alti 3 metri e lunghi più del doppio. Modellati da Edwin Landseer, sono tratti dal bronzo ottenuto fondendo alcuni cannoni predati ai nemici. Anche le due fontane laterali, che paiono ricoprire un ruolo puramente ornamentale, sono invece elementi celebrativi della mitica Royal Navy. La prima è un “memorial” dedicato a lord David Beatty.

Più che per il valore militare è ricordato come emblematico esempio dell’aplomb britannico. Stando ai si dice, durante il conflitto dello Jutland del 1916 due incrociatori di Sua Maestà esplodono sotto i colpi dell’artiglieria germanica. E l’ammiraglio, rivolto al secondo ufficiale, si limita a commentare: “Sembra che oggi ci sia qualcosa che non va con le nostre navi”. La seconda è un monumento a John Jellicoe, che nel corso del primo conflitto mondiale comanda gli incrociatori nei combattimenti all’isola di Hergoland e dirige poi le perlustrazioni nel Mare del Nord contro gli U-Boot, i temibili sommergibili tedeschi cui si deve tra l’altro l’affondamento del transatlantico Lusitania. Tra le 1.195 vittime della tragedia 123 sono civili americani e la vicenda indurrà poco dopo gli Stati Uniti a entrare in guerra a fianco degli alleati contro la potenza tedesca.

Per concludere senza rimpianti il tuffo in queste vicende dal sapore epico e scrutare il viso del protagonista principale basta raggiungere l’estremità nord della piazza ed entrare alla National Gallery, dove si può sostare davanti a uno dei più espressivi ritratti di Nelson firmato da Lemuel Francis Abbott. Il sepolcro si trova invece nella cripta della non lontana cattedrale di Saint Paul, entro un feretro ricavato da un troncone dell’albero maestro della nave francese L’Orient, esplosa e affondata nel corso del conflitto egiziano. Lo sottolinea anche Ugo Foscolo nel carme Dei sepolcri scrivendo, in maniera immaginifica, che il prode condottiero taglia “il maggior pino” del veliero su cui ha trionfato e con questo si scava la bara. Ma se non si vuole saltare neppure una pagina della storia bisogna scendere fino a Portsmouth, sulle coste della Manica. È qui che, tirata a secco nei docks, si conserva il Victory, l’unico tra i vascelli settecenteschi giunto intatto fino a oggi.

La tappa consente di vedere da vicino uno dei gioielli della nautica, nato adottando le più sofisticate tecnologie disponibili nell’era preindustriale. Si può toccare lo scafo, costituito da 8500 metri cubi di legname, che corrispondono a 50 acri di foresta. L’alberatura arriva a una quota di 61 metri e regge i pennoni con l’intreccio di scotte, mure e amantigli. E poi c’è il “motore” con i suoi “pistoni” di tela Olona, comunemente chiamati vele.
A mezz’altezza si agitano quelle di gabbia, le più usate perché semplicissime da governare. Sopra figurano i pappafichi, che entrano in gioco quando la brezza è leggera o comunque non supera una certa intensità. In basso ci sono invece le trevi, che grazie alle ampie dimensioni forniscono la spinta principale. L’obiettivo primario di chi le manovra è paralizzare e mettere in stallo le unità nemiche sottraendo loro la “benzina” naturale, cioè le masse d’aria che le alimentano. Il segreto consiste ovviamente nell’interporsi in maniera ottimale tra le imbarcazioni avversarie e la ventilazione. In gergo si chiama “ottenere il sopravvento” ed è da allora che la locuzione tracima dagli specialistici confini marziali per divenire estensivamente sinonimo di predominio su altri. A bordo si stagliano ancora in bella fila i 104 cannoni di cui è dotato e con un briciolo d’immaginazione si riesce persino a rivivere il solenne momento del varo. È un compito che tocca spesso a un condannato a morte perché bisogna togliere la traversina di blocco e tuffarsi velocissimamente in una buca scavata nello scalo prima che la carena scivoli in acqua stritolando tutto quello che incontra. Comunque, a giudicare dalla quotidiana processione di visitatori, si avverte subito che è questo il vero mausoleo di Nelson, ossia l’ammiraglia su cui vince e muore il leggendario lupo di mare.
(seconda parte – fine)
Testo di Lorenzo Iseppi
– Trafalgar Square rende onore alle gesta di Horatio Nelson (prima parte)
Didascalie:
– La tavola sul trionfo di Trafalgar e la morte dell’eroe nazionale
– Una delle fontane che ricordano gli ammiragli della Royal Navy
– Uno dei quattro leoni realizzati fondendo i cannoni dei vascelli nemici
– Il busto di lord David Beatty
– L’erma di John Jellicoe, cacciatore degli U-Boot tedeschi
– Il vascello “Victory” conservato a Portsmouth
– La fila dei cannoni del “Victory”