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Voi siete qui: Europa » Trafalgar Square rende onore alle gesta di Horatio Nelson

24 Giugno 2010 Scritto da Lorenzo Iseppi

Trafalgar Square rende onore alle gesta di Horatio Nelson

Nelson_anteLa storiella narra che un giovane indiano viene notato per due giorni di seguito seduto sui gradini a scrutare la folla che sfila davanti a lui. A un certo punto un poliziotto insospettito si avvicina e gli chiede che cosa stia complottando. Il ragazzo spiega che giunge da Bombay e a Londra non conosce nessuno tranne un lontano cugino. Purtroppo non possiede il suo indirizzo ma gli hanno assicurato che, se lo aspetta lì con un briciolo di pazienza, prima o poi lo vedrà passare. L’agente scuote la testa lasciando intendere che ormai il comportamento della gente è sempre più schizofrenico. La mattina dopo la guardia riprende a sorvegliare incuriosita l’imperterrito straniero. D’improvviso vede che si alza, corre verso uno che sta transitando e lo abbraccia. Poi comincia a camminare accanto al nuovo arrivato e, una volta giunto all’altezza dell’uomo in divisa, gli accenna un sorrisetto carico di soddisfazione. L’episodio è ambientato a Trafalgar Square, posta all’incrocio delle strade che puntano verso Buckingham Palace, la City e il palazzo di Westminster, sede del parlamento. Per la posizione strategica nel tessuto della metropoli d’oltremanica è il punto di sosta o d’arrivo di quasi tutti gli itinerari turistici urbani. Secondo le ultime statistiche compare come una delle maggiori attrazioni internazionali, capace di richiamare più di quindici milioni di visitatori all’anno.
La piazza si chiama così per volere dal sovrano Guglielmo IV ed è intitolata alla famosa battaglia navale che salva l’indipendenza dell’Inghilterra dall’espansionismo napoleonico ribadendo per l’ennesima volta la superiorità marittima della Gran Bretagna sulle altre potenze europee. Allorché nel 1829 le squadre addette alla demolizione cominciano i lavori, che coinvolgono un’area di circa due ettari e mezzo, devono persino abbattere le scuderie reali, la cui costruzione risale al XIV secolo. Nel 1838 viene bandito un concorso per erigere un monumento d’obbligo al massimo artefice della vittoria, Horatio Nelson. Oltre 150 artisti presentano il proprio progetto e alla fine un’apposita giuria sceglie la soluzione dell’architetto William Railton, che contempla una colonna con alla sommità la statua del celebre ammiraglio.Nelson_1
Per pagare l’icona e il relativo piedistallo si punta su una sottoscrizione pubblica. Il comitato organizzatore è costituito da quattro ufficiali, tutti amici dell’esimio personaggio da eternare. Dopo una campagna evidentemente non troppo riuscita, i promotori riescono a raccogliere la metà delle 50 mila sterline necessarie. Nelson_2A togliere un po’ tutti dall’impasse giunge un cospicuo donativo dello zar Nicola di Russia, che convince il governo londinese a garantire l’ultima quota necessaria a coprire interamente le spese.
Il poderoso fusto è ricavato in granito del Devon da una squadra di 14 scalpellini, che alla fine dell’improba fatica festeggiano temerariamente sulla cima con una cena a base di filetto e champagne. La scultura dell’eroe nazionale, alta cinque metri e pesante 16 tonnellate, viene invece realizzata utilizzando un blocco di pietra estratto da una cava di Craigleith, vicino a Edimburgo.
L’autore dell’opera è Edward Hodges Baily, nativo di Bristol e figlio d’un intagliatore di polene da fissare sulle prue delle imbarcazioni per proteggerle dalle tempeste. Quanto al capitello su cui poggia l’effigie, è una fotocopia di quelli che ornano il tempio romano di Marte. Le cronache narrano che nel novembre del 1843 più di 100 mila persone si recano a vedere il simulacro mentre viene sezionato in tre pezzi e poi issato con l’impiego di carrucole e paranchi. Ancora oggi si trova esattamente ad un’altezza di 51,86 metri, calcolando la misura dalla punta del suo tricorno. Questo perché fin dall’inizio si decide che deve battere il primato del duca di York Frederik Augustus, il quale si eleva a 41,17 metri da terra nella vicina Waterloo Place. I maligni, comunque, dicono che si trova così in alto non tanto per particolari benemerenze patriottiche, ma per metterlo il più possibile al riparo dai numerosi creditori inferociti. A sorreggere il maestoso pilone figura un basamento di forma cubica, sulle cui facce laterali sono incastonati quattro bassorilievi bronzei chiamati a evocare i più famosi trionfi del geniale capitano di mare. Il riquadro che guarda a oriente, firmato da Musgrave Lewthwaite Watson, decanta lo scontro di Capo di San Vincenzo del 1797.
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Allora la flotta di lord Jervis si trova al largo delle coste iberiche e il trentanovenne Nelson, con il grado di commodoro, è a bordo della Captain. Il 13 febbraio avviene il contatto con la formazione spagnola, che vanta 27 vascelli di linea e 10 fregate. Spicca in particolare la Santissima Trinidad, all’epoca l’unità più grande del mondo, dotata di 136 cannoni. Per un po’ l’armata britannica, nettamente inferiore di numero, riesce a tenere divise in due tronconi le forze rivali. Poi di sorpresa il futuro ammiraglio, per impedire il riaggancio, si stacca dal proprio schieramento e rischiando la corte marziale attacca da solo la testa della schiera ispanica. L’inaspettata manovra getta lo scompiglio tra i nemici, tanto che il San Nicolas e il San Josef entrano in collisione. Gli inglesi li abbordano e catturano entrambe le navi passando dall’una all’altra. L’operazione diviene così famosa da essere battezzata il “ponte di Nelson”. Il quale, nonostante la palese inosservanza degli ordini, al rientro in patria riceve l’ambita decorazione dell’Order of the Bath.
Il secondo pannello, opera di William Friederick Woodington, esalta il successo di Abukir, che però gli storici anglosassoni preferiscono convenzionalmente chiamare battaglia del Nilo.
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Si è da poco concluso il fallimentare sbarco contro l’isola di Tenerife, alle Canarie, dove Nelson subisce una grave ferita al braccio destro, che gli deve essere amputato. La menomazione si somma ad altre lesioni precedenti, tra cui quella all’occhio destro patita nel 1794 durante un attacco a Calvi per la conquista della Corsica. Si potrebbe quasi dire che è un uomo dimezzato, ma soltanto sul piano fisico, perché l’audacia e l’acume sono ancora perfettamente integri. Comunque è nel Mediterraneo con l’ordine di sorvegliare il porto di Tolone, da cui trapelano voci che Bonaparte stia partendo con un grande esercito, anche se non è ancora nota la destinazione. Il 20 maggio del 1798 il maestrale investe la Vanguard, che rischia d’arenarsi sulle coste sarde. E proprio in questo frangente i francesi comandati da Paul Brueys d’Aigalliers prendono il largo dileguandosi. Comincia allora una fenomenale caccia alla cieca di quasi due mesi, con tappe a Talamone, Napoli e Siracusa. Quando Horatio intuisce che l’obiettivo è Alessandria, taglia in diagonale con tutte le vele spiegate a una velocità di oltre 10 chilometri orari. Arriva per primo sulle rive dell’Egitto, ma i turchi non gli concedono il permesso d’ancoraggio e quindi è forzatamente costretto a proseguire lungo le coste palestinesi. Tre giorni dopo giunge Bonaparte, che senza il diniego ottomano avrebbe potuto finire in mano al nemico ancora prima dello sbarco. Lo scontro si verifica soltanto un mese dopo nella baia di Abukir ed è per i britannici un’affermazione completa. La flotta napoleonica, con la perdita di 11 vascelli su 13, viene letteralmente annientata. Conta inoltre 1700 morti, 1500 feriti e 3000 prigionieri. E Nelson, salutato in tutto il vecchio continente come il salvatore dell’Europa, entra nell’olimpo degli esseri baciati dal destino.
La terza formella rappresenta la battaglia di Copenaghen, poco nota ma assai istruttiva.
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Nel 1801 Russia, Svezia, Prussia e Danimarca firmano un trattato di “neutralità armata” per impedire agli inglesi l’accesso al Baltico e rompere il blocco commerciale che sta strangolando Parigi ma mette in serie difficoltà anche molti altri Paesi. Londra spedisce allora una flotta di 18 vascelli e 11 fregate per indurre i danesi ad ammorbidire le posizioni. La missione è capeggiata dal cauto Hyde Parker, che il 20 marzo getta l’ancora di fronte al castello di Elsinore mentre i velieri avversari sono agli ormeggi sotto le rocche di Copenaghen e sembrano inattaccabili. Nelson, che è il vicecomandante, passa all’azione il 1° aprile forzando un canale secondario tra due isole e piombando sulla retroguardia rivale, formata dalle unità più deboli. Comincia un violentissimo scambio di colpi ma a un certo punto Parker issa il segnale 39, che intima di ripiegare. Si racconta che Horatio porta allora il cannocchiale sull’occhio nascosto da un panno nero e sprona i suoi uomini a proseguire l’attacco dicendo: “Non vedo alcun ordine di ritirata”.

Non si sa se l’aneddoto sia attendibile o meno, tuttavia riesce a sottolineare in modo faceto con quanta ardimentosa autonomia si sviluppino le tattiche e le strategie belliche del personaggio. Di certo non risponde al vero che abbia l’organo visivo bendato, secondo un modello iconografico che scimmiotta il tipico kit del pirata. Il quale, se durante gli innumerevoli arrembaggi viene mutilato, ha a disposizione una gamba di legno, un uncino che sostituisce la mano e una pezza scura per nascondere l’inestetica cavità oculare.

Lo accerta nel 2005 uno studio di Colin White, esperto del National Maritime Museum di Greenwich. Egli sostiene che l’usuale quanto scorretto cliché di Nelson può essere in parte addebitato al film del 1941 Lady Hamilton, dove l’interprete Laurence Olivier compare conciato come un bucaniere.

In realtà una lettera autografa, tornata alla luce solo pochi anni fa, restituisce un volto diverso dell’insigne marinaio. Nella missiva infatti l’ammiraglio lamenta che la commissione medica chiamata a decidere se assegnargli o meno una pensione d’invalidità non crede alla sua parziale perdita della vista. E spiega che, siccome il bulbo lesionato è rimasto intatto, anche se privo di ogni utilità, è costretto a produrre prove aggiuntive per dimostrare la fondatezza della menomazione.
(prima parte – segue)
Testo di Lorenzo Iseppi

Didascalie:

  • Particolare del bassorilievo che ricorda la battaglia di Capo San Vincenzo del 1797
  • La colonna di Horatio Nelson
  • La statua dell’ammiraglio, alta 5 metri e pesante 16 tonnellate
  • Il bassorilievo che ricorda la battaglia di Capo San Vincenzo del 1797
  • Il pannello rievocativo della vittoria di Abukir
  • La formella dedicata al successo di Copenaghen
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