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Voi siete qui: Europa » Aspettando Madeleine a Salon de Provence

31 Agosto 2015

Aspettando Madeleine a Salon de Provence

La sera di mercoledì 8 luglio 2015 assisto, nel semichiostro in pietra dell’arroccato Castello dell’Emperi, che domina Salon de Provence, allo spettacolo Ce soir j’attends Madeleine, allestito dall’attore-autore Guillaume Nocture “montando” una serie di canzoni di Jacques Brel, appartenenti all’intero arco della sua produzione discografica (1953-1977; il grande brussellese “si è assentato” per un cancro ai polmoni nel 1978).
Tre giorni prima, ripercorrendo viali, vicoli e saliscendi della luminosa cittadina tra Aix e Arles, che non vedevo da una dozzina di anni, avevo notato l’annuncio della rappresentazione e mi ero ripromesso di non perdermela.

una piazza di Salon de ProvenceIl titolo (che suggerisce anche il filo conduttore della serata) è tratto dall’inizio della canzone Madeleine (1962): “Questa sera aspetto Madeleine / ho portato dei lillà / ne porto tutte le settimane / a Madeleine questo piace molto…” (in traduzione le rime si perdono, ma pazienza).
Il palcoscenico è arredato da alcuni tavolini di un bistrot, con tovaglie rosse, sedie, bottiglie di vino, e da un pianoforte verticale. Entrano in scena i personaggi: il Barista (Guillaume Nocture), il pianista Jojo (Jimmy Tillier) e la cameriera-fisarmonicista Maria (Crystel Galli). Apprendiamo che si tratta dell’Alcazar, locale di proprietà della Signora Adrienne de Montalant (il nome è pronunciato con una reverenza, ed è preso dalla canzone Les bourgeois, 1962); infatti viene eseguita Les remparts de Varsovie (1977): “La Signora porta a passeggio l’estate fino al Sud della Francia / la Signora porta a passeggio i suoi seni fino al Sud della fortuna / la Signora porta a passeggio la sua malinconia per tutto il lago di Costanza… / Mi pare che la Signora sia di circostanza… / mentre io tutte le sere / sono barista all’Alcazar”.
Il Barista ci racconta il suo ideale di felicità: andare in giro con la donna che ama. Così nella canzone Il peut pleuvoir (1953): “Può piovere sui marciapiedi / dei grandi viali / io me ne frego / ho la mia amica accanto a me…”.

salon-de-provence-2Ragazze seducenti ce ne sono, come quella che abita in rue de la Madone (Le gaz, 1967): “Hai i seni come dei soli / come dei frutti come dei repositori / come degli specchi come del miele / li ricopri e tutto diventa nero / li scopri e io divento Pegaso / hai i seni come dei marciapiedi…”. Nessuna però lo entusiasma come Madeleine: “Lei è così bella / è così tutto ciò / è tutta la mia vita / Madeleine che aspetto qui”.
Ma la donna non arriva, e così si susseguono le canzoni.
La valse a mille temps (1959) ci fa vorticare sulle ali di versi che, in lingua originale, suonano spesso come veri e propri scioglilingua, ma che hanno un loro perché anche tradotti: “Al primo tempo del valzer / tutta sola tu sorridi già / al primo tempo del valzer / io sono solo, ma ti scorgo…”.

Anche i marinai di Amsterdam (1964) si abbandonano alla danza: “Nel porto di Amsterdam / ci sono marinai che ballano / strofinando la pancia / sulla pancia delle donne / e girano e ballano / come dei soli sputati / nel suono lacerato / di una fisarmonica rancida….”. Ballano e, naturalmente, bevono…

L’amore dà dolore. Ma non si può farne a meno, come spiega Le prochain amour (1961): “Lo so, lo so che questo prossimo amore / sarà per me la prossima sconfitta / so già all’entrata della festa / la foglia morta che sarà il fare del giorno…. / Ma si ha un bel fare si ha un bel dire / che un uomo avvisato ne vale due / si ha un bel fare si ha un bel dire / fa bene essere innamorati….”. Sì, l’amore dà dolore, ma intanto Madeleine non arriva. Suona il cellulare, il Cameriere risponde: “Pronto, Madeleine? Ah, mamma… Come? Mathilde è tornata?” E allora si canta la sua canzone (1964): “Bougnat, puoi tenerti il tuo vino / stasera berrò la mia pena / Mathilde è tornata…”.

Con L’ivrogne (1961) vengono distribuiti bicchieri (di plastica, impilati in una traballante colonna) e vino rosé fra il pubblico, mentre una coppia di spettatori è invitata a sedersi ad uno dei tavolini sul palco: “Amico, riempi il bicchiere / ancora uno e vo / ancora uno e vado / no non piango / canto e sono allegro / ma ho male di essere me stesso…”.
Gli amici possono essere una consolazione, con loro si ricordano i tempi in cui (forse…) si stava meglio. Jef (1964): “Si canterà di nuovo come prima / si starà bene tutti e due / come quando si era giovani / come quando era il tempo / in cui avevo dei soldi…”.
O a volte ci si illude che possa andare meglio in futuro. Per ipotizzarlo ci vuole un tango, Knokke-Le-Zoute (1977): “Le sere in cui sono argentino / e mi offro delle argentine…. / Ma stasera non ci sono argentine / non c’è speranza / e non c’è dubbio / stasera piove su Knokke-Le-Zoute / stasera come tutte le sere / torno a casa / il cuore sconfitto / e il pisello sotto il braccio” (qui il pubblico ridacchia) “Ma / domani / sì forse / forse domani / sarò argentino / sì / mi offrirò delle argentine…”.

La padrona del locale fa parte di “quella gente” che segue regole tutte particolari, diciamo pure discutibili. Ces gens-là (1965): “Si lasci dire Signore / che presso quella gente là / non si vive Signore / non si vive si bara”.
Il ritornello di un paio di canzoni viene accompagnato in coro dal pubblico (anche dal sottoscritto). Les bourgeois (già citata): “I borghesi sono come i maiali / più diventano vecchi più diventano stupidi…”; La bière (1965): “Odora di birra da Londra a Berlino / odora di birra, Dio come si sta bene…”.
Non mancano gli spunti antimilitaristi e antigerarchici, espressi in tono mesto, quasi cupo. Au suivant (1964): “Ma giuro che sentire quel sergente delle mie chiappe / è roba da farvi degli eserciti di impotenti / avanti il prossimo, avanti il prossimo…”.
L’accento brussellese è fondamentale per sottolineare il lato umoristico di Les bonbons (1964) e del suo protagonista ridicolmente manierato: “Le ho portato delle caramelle / perché i fiori sono deperibili / e poi le caramelle sono così buone / benché i fiori siano più presentabili / soprattutto quando sono in boccio…”.


All’amico pianista si rivolge affettuosamente una canzone, Jojo (1977): “Jojo / ecco dunque qualche risata / qualche vino qualche bionda / sono contento di dirti / che la notte sarà lunga / a diventare mattino…”.
Cantando e parlando è arrivata l’ora di chiudere il locale, e Madeleine non si è vista. “Ma domani aspetterò Madeleine / porterò dei lillà / ne porterò tutta la settimana / a Madeleine piacerà…”.
Gli applausi (e i colpi coi piedi sulle gradinate a impalcatura) richiamano in scena gli artisti, che eseguono, come bis, non l’abusata Ne me quitte pas (1959), che invano il pianista aveva appena accennato, con delicata ironia, in una piega dello spettacolo, ma la maestosa, solare Quand on n’a que l’amour (1956), condivisa dalla voce di tutto il pubblico (anche stavolta mi unisco al coro, e ne ricavo un magone pungente e sublime: un “celeste patimento”, per dirla con Quasimodo traduttore di Saffo): “Quando non si ha che l’amore / per vivere le nostre promesse / senza nessun’altra ricchezza / che di crederci sempre / quando non si ha che l’amore / per arredare di meraviglie / e coprire di sole / la bruttezza dei sobborghi…. / Quando non si ha che l’amore / per parlare ai cannoni / e niente più che una canzone / per convincere un tamburo / allora senza avere altro / che la forza di amare / avremo fra le mani / amici il mondo intero”.

Grande serata, che ci lascia più ricchi di emozioni e di ricordi, e un po’ rabbrividenti nella brezza piuttosto fresca in cui si è tramutato il calore del giorno. Jacques Brel, come il nostro Fabrizio De André, ha toccato nelle sue canzoni – con parole di densa poesia – tanti temi, da quelli satirici a quelli del sentimento, della perdita, del dolore. La sua enorme capacità di immedesimazione, di simpatia (nel senso etimologico di “syn-pàtheia”) gli ha permesso di raccontare efficacemente il fallimento pur senza essere lui stesso un fallito (anzi!). A smentire (e credo il Nostro condividerebbe questa interpretazione) il luogo comune pseudocristiano dell’utilità o addirittura dell’indispensabilità della sofferenza, l’idea della Crocifissione elevata a paradigma di ogni cosa. Brel ci dimostra, con la sua arte, che non è necessario soffrire per comprendere la sofferenza, per rispettare gli altri: basta avere abbastanza sensibilità. “C’est tout”, concluderebbe lui.

Due note finali:
– Validissima (scrupolosamente filologica ma al contempo assai personale) la resa canora e scenografica di Guillaume Nocture e dei suoi due compagni. Così ha commentato il lavoro Isabelle Brel, la figlia dello chansonnier belga: “Se mio padre vi ha guardati da sopra la sua nuvola, gli è sicuramente piaciuto il vostro talento nel farlo tornare fra noi”.

– Le canzoni non le ho comprese tutte subito, ma le ho “ritrovate” e meditate a casa, leggendole nel volume “Jacques Brel – Oeuvre intégrale”, Robert Laffont editore, che raccoglie la totalità dei testi, editi e inediti, del Maestro belga. Se ne auspica una traduzione (così come, del resto, per le canzoni di Leo Ferré), ma so già che l’auspicio sarà vano, come l’attesa di Madeleine. Per chi volesse provare l’emozione diretta e sublime delle parole in musica, è comunque reperibile anche in Italia (facilmente: io l’ho acquistato in un grosso negozio di elettronica…) un bel cofanetto contenente 5 CD: “Les 100 plus belles chansons de Jacques Brel”. Buon ascolto…
Marco Grassano

Didascalie:
– La celebre “Fontana muschiosa” di Salon de Provence.
– Il Castello dell’Emperi che incombe sui vicoli del paese.

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