Per chi va a Liegi, il Museo Grand Curtius è una tappa obbligatoria. È lo scrigno che racchiude molti dei tesori della storia, della cultura e dell’arte della Vallonia. Il maestoso edificio, a pochi passi dalla riva sinistra della Mosa, si riconosce a prima vista per il colore rosso dei mattoni. Lo fece costruire tra la fine del Cinquecento e i primi anni del secolo successivo Jean Curtius, industriale e fornitore di munizioni per l’esercito spagnolo.
Dopo lunghi lavori di ammodernamento il museo ha riaperto i battenti nel 2009 guadagnandosi l’attributo di “Grand”. Se lo merita tutto. Riunisce infatti cinque musei: quello archeologico, quello delle armi, quello delle arti decorative, quello del vetro e il Museo di Arte Religiosa e di Arte Mosana (MARAM).

Io l’ho visitato diverse volte nei miei viaggi in Belgio. Una volta, per esempio, ho visto la mostra dedicata all’architetto Santiago Calatrava.
Quelli indicati qui sotto sono i pezzi esposti al Grand Curtius che più hanno attirato la mia attenzione, non necessariamente i più famosi o importanti delle collezioni del museo. Al principio del percorso espositivo c’è un modellino della cattedrale cittadina, con un pannello che ne ripercorre le vicende. C’è anche una piccola sezione dedicata all’oggetto del mese, una bella iniziativa ancora poco diffusa nei musei italiani.
Un episodio del sacco di Liegi
Difficilmente i quadri di tema storico raggiungono alti livelli artistici, a meno che non siano realizzati da maestri come David o Delacroix. Non fa eccezione la tela con “Un episodio del sacco di Liegi da parte di Carlo il Temerario nel 1468”, dipinto a olio da Barthélemy Vieillevoye nel 1842. L’artista romantico ha messo in primo piano una scena molto drammatica, lasciando sullo sfondo il cortile d’onore del Palazzo dei Principi-Vescovi.
La didascalia rivela che il pittore ha commesso un anacronismo, raffigurando l’ambiente come sarebbe stato soltanto una sessantina d’anni dopo il saccheggio. A proposito: il Palazzo dei Principi-Vescovi è ormai da tempo sede del Palazzo di Giustizia e dell’amministrazione provinciale.
Da qualche parte nella corte è scolpito un ananas, frutto del Nuovo Mondo. Per conoscerne il valore a quei tempi, consiglio di leggere “Il pasticciere del re” di Anthony Capella.
Una bottiglia tedesca
Nel museo c’è tutto un settore dedicato a bottiglie e bicchieri. Avendo del tempo a disposizione – ed è regola aurea entrare in un museo con una buona autonomia di tempo – ci si può soffermare sulle decorazione degli esemplari esposti. La mia attenzione è stata attirata da una bottiglia antropomorfa di produzione tedesca del primo quarto del Novecento, con una decorazione policroma che raffigura la caricatura di un soldato tedesco con elmo e spada in mano.

Il rapporto con gli ingombranti vicini tedeschi ha avuto alti e bassi, come testimoniano diversi pezzi delle raccolte. Per esempio il bossolo di proiettile di un mortaio tedesco calibro 420 mm, “Kurze Marine Kanone”, soprannominato la “Grande Berta”. Made in Deutschland nel 1914.
O il lembo di una bandiera nazista posta nel centrale Boulevard d’Avroy durante l’assedio di Liegi da parte della Gestapo. La didascalia spiega che la bandiera fu strappata il 7 settembre 1944 e i suoi pezzi furono divisi tra alcuni resistenti e dei poliziotti della Seconda Divisione.
La sciabola di Charlier
La parte dedicata alle armi è piuttosto inquietante. Mi sono soffermato sulla sciabola d’onore conferita a Jean-Joseph Charlier. Costui perse la gamba destra nella battaglia di Waterloo, ma nel 1830 non esitò a dare il suo contributo per scacciare le truppe olandesi incaricate di reprimere il moto rivoluzionario del 1830.
L’elsa è quella di una sciabola francese di cavalleria leggera, recuperata sul campo di battaglia di Lipsia (1813), mentre la lama apparteneva alla sciabola di un ufficiale della cavalleria inglese e venne ritrovata sul campo di Waterloo. Un’arma che tiene insieme le due sconfitte più brucianti di Napoleone. Nella stessa vetrina è esposta la gamba di legno di Charlier.
Il tesoretto gallo-romano
A tempi burrascosi deve rimandare anche questo reperto. Confesso la mia passione per i tesoretti, ritrovamenti casuali sparsi per tutto il mondo. Sono la prova che in un certo momento le cose si stavano mettendo male e qualcuno ha pensato bene di nascondere quanto aveva, con la speranza – purtroppo frustrata – di recuperarlo passata la tempesta. Questo tesoretto di epoca gallo-romana è stato rinvenuto a Vervoz, vicino a Clavier, il 20 maggio 1967.

La brocca che lo conteneva è in bronzo, mentre le monete sono in argento. Si tratta di 1680 pezzi tra denari e antoniniani che coprono un periodo di un’ottantina d’anni, tra il regno di Commodo – assassinato nel 192 e l’associazione di Gallieno a Valeriano (253-259).
Chi l’ha nascosto aveva timore delle incursioni dei Franchi che tra il 250 e il 270 portavano la distruzione nella Gallia Belgica. Per ragioni che non conosceremo mai, ma che furono sicuramente drammatiche, non ebbe più la possibilità di recuperarlo.
Il dittico Palude
A un precario equilibrio tra violenza e pace rimandano le scene rappresentate sul “Dittico detto Palude”. L’opera fu forse realizzata a Liegi, dopo il 1488. Proviene da una delle cappelle laterali dell’antica cattedrale di San Lamberto. Fu offerto dal canonico Henri des Marets, latinizzato in ex Palude.
È il personaggio inginocchiato nell’angolo a destra, mentre assiste alla truculenta uccisione del vescovo Lamberto di Maastricht e di due suoi accoliti per mano degli sgherri di Pipino di Herstal, bisnonno di Carlo Magno. Da notare la ferocia degli sguardi degli assassini, uno dei quali sdraiato sul tetto della cattedrale attraverso il quale fa calare la sua picca.
Sull’altro pannello è raffigurata la Natività, con il Bambino attorniato dalla Sacra Famiglia e da quattro angeli. San Giuseppe protegge con la mano destra la candela che regge con la sinistra.
Il retro delle due tavole è dipinto in grisaille con gli episodi del Giudizio di Salomone e di Cristo e l’adultera (Gesù con l’indice scrive per terra: “Qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat”. Chi tra di voi è senza peccato, per primo scagli una pietra contro di lei). Lo stile delle due tavole richiama l’arte fiamminga dei maestri della “seconda generazione” come Petrus Christus o Dirk Bouts.
L’Evangelario di Notger
L’Evangelario di Notger è senza dubbio uno dei capolavori custoditi al Grand Curtius. Un pannello racconta la genesi e il ruolo del principato-vescovile, caratteristica dello stato di Liegi. Gli imperatori hanno fatto dei loro vescovi di volta in volta dei vassalli, degli alleati e degli strumenti della politica della chiesa imperiale.

Un altro pannello, invece, rievoca le vicende dell’Evangelario. Il manoscritto fu composto e miniato a Reims attorno al 930. Quello che però ammira il visitatore, ovvero la copertina superiore della rilegatura, risale a tre epoche distinte. L’avorio data alla fine del X secolo. Gli otto smalti risalgono al 1160, mentre le placche dorate e incise sono riferibili all’età gotica.
Sul pannello d’avorio è rappresentato Cristo in maestà, attorniato dai simboli dei quattro evangelisti. Ai suoi piedi è raffigurato un uomo inginocchiato, il donatore o, per altri, il re Davide.
La scritta che corre lungo la cornice recita: “E io Notger, sopraffatto dal peso del peccato, qui mi chino il ginocchio davanti a te che fai tremare l’universo”. La scritta sembra confermare l’identificazione con Notger, ma rimane da spiegare il motivo per il quale il personaggio è rappresentato con l’aureola.
I gettoni d’avorio
Pedine di altro tipo rispetto ai principi-vescovi sono i pezzi da gioco esposti in una teca. Non sono celebri come gli scacchi Lewis del British Museum, ma sono loro contemporanei e anch’essi in avorio.

Sono gettoni di un gioco da tavolo come il tric-trac datati all’XI-XII secolo (allora il gioco era di moda tra l’aristocrazia). Hanno provenienze diverse.
Quello raffigurato nella foto è stato trovato a Liegi in via Notger. Mostra Orione in lotta contro lo scorpione, un tema mitologico legato all’astrologia. Un altro, trovato a Waremme, rappresenta un essere ibrido con corpo di leone, testa umana e coda che termina con una testa di animale. Il terzo raffigura un cavallo al galoppo e proviene dal castello dei conti di Looz.
La Fuga in Egitto
Sono particolarmente affezionato alla tavola con la raffigurazione della “Fuga in Egitto” su un lato e sull’altro con “L’Incoronazione della Vergine”. Fu realizzata forse nell’area del Reno inferiore attorno al 1480. Rivela una forte influenza dell’arte fiamminga, ma i volti, i panneggi e le grandi aureole dorate rimandano all’arte renana.

Non è un capolavoro, tuttavia la freschezza del paesaggio in secondo piano me na hanno fatto innamorare la prima volta che l’ho visto, esposto nella piccola mostra “Les fugitifs : La fuite en Égypte” allestita in una sala del Grand Curtius nel 2015.
Maria sta dando una moneta d’oro al piccolo Gesù per tenerlo buono durante la fuga. È visibilmente preoccupata: deve essersi accorta dei sicari inviati dal re Erode, a solo qualche curva di distanza. Nella città sullo sfondo si possono intravedere innalzati alcuni patiboli.
La Vergine nella chiesa
Di qualità decisamente superiore è la “Vergine nella chiesa”, disegno a penna con inchiostro di color bistro su carta filigranata, opera di un seguace di van Eyck datata alla fine del XV secolo. Si ispira alla tavola (oggi conservata agli Staatliche Museen di Berlino) che il maestro fiammingo dipinse attorno al 1425, in età giovanile. Questa viene considerata la più autentica tra le varie versioni esistenti.
Qualche studioso ha voluto riconoscere nell’architettura gotica alle spalle della Vergine quella dell’interno della cattedrale di San Lamberto. Il disegno ha fatto parte della collezione di Sir John Charles Robinson, pittore e collezionista d’arte, nonché curatore del Victoria and Albert Museum di Londra.
Il capolavoro
Questa piccola selezione di opere non poteva che concludersi con una delle perle del Grand Curtius, ovvero la tavola della “Vergine con donatrice e Santa Maria Maddalena”, dipinta a Bruxelles verso il 1475. La donatrice si merita il primo piano in compagnia della Vergine e del Bambino, con il quale condivide un rosario (sembra quasi che i due stiano giocando).

Alle loro spalle si apre un giardino con un parapetto dal quale tre personaggi guardano verso un porto. Questa scena fa immediatamente pensare alla “Madonna del cancelliere Rolin”, capolavoro di Jan van Eyck conservato al Museo del Louvre.
Ogni centimetro quadrato va perlustrato con calma per ammirare ciascun dettaglio come merita. Tra i miei preferiti c’è la decorazione lignea che impreziosisce il trono della Vergine. Raffigura Sansone che smascella il leone. Lo stesso tema è rappresentato sul trono della “Madonna del canonico van der Paele”, altro capolavoro di van Eyck (conservato a Bruges).
Tanto altro ci sarebbe da raccontare: dal fucile d’assalto F-2000 alla scultura in legno della “Sedes Sapientiae” dell’XI secolo, dal Crocifisso di Landen alla splendida tavola con la “Lattazione di san Bernardo”, senza tralasciare le collezioni di miniature e medaglie napoleoniche. Sarà per la prossima volta.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Il Museo Grand Curtius
Foto di Saul Stucchi (2018) - Bottiglia antropomorfa
Germania, 1900-1925 circa - Tesoretto monetale di epoca gallo-romana
- Evangelario di Notger
Museo Grand Curtius © Ville de Liège - Gettone da gioco da tavola
Museo Grand Curtius © Ville de Liège - La fuga in Egitto
Museo Grand Curtius © Ville de Liège - Vergine con donatrice
Museo Grand Curtius © Ville de Liège
Le Grand Curtius
Quai de Maestricht 13
Liegi (Belgio)
Informazioni:
www.grandcurtius.beVallonia Turismo
https://valloniabelgioturismo.it