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Voi siete qui: Europa » Visita a Villandry, il castello da favola presidiato dai fiori

15 Giugno 2009 Scritto da Lorenzo Iseppi

Visita a Villandry, il castello da favola presidiato dai fiori

villandry_anteVisitando un antico maniero si possono scoprire i mille stratagemmi ideati dai costruttori medievali per rendere l’edificio inespugnabile. Si osservano gli assetti del mastio e delle torri minori, il barbacane, il cammino di ronda, le garitte a strapiombo delle sentinelle, il ponte levatoio, le merlature a coda di rondine o a corpi quadrati e via dicendo. A seconda delle soluzioni adottate è spesso agevole datare con una certa approssimazione la fabbrica, tenendo conto in particolare della cesura che si verifica verso la fine del XVI secolo, allorché la comparsa della polvere da sparo costringe a vistose modifiche dei fortilizi. Da allora i bastioni divengono più bassi e massicci per resistere ai colpi d’artiglieria. Quando poi gli ordigni e le ulteriori innovazioni militari rendono simili baluardi del tutto obsoleti, essi abbandonano l’orgoglioso ruolo originario e si trasformano generalmente in dimore signorili.

Tra quanti subiscono le metamorfosi più radicali figura senz’altro il castello di Villandry. L’area in cui sorge è occupata fino al Cinquecento dalla rocca feudale di Colombiers, dove nel 1189 viene firmato l’omonimo trattato di pace fra il re di Francia Filippo II Augusto e il sovrano d’Inghilterra Enrico II Plantageneto. L’accordo permette ai due Paesi di godere di qualche decennio di tregua prima dello scoppio della sanguinosa guerra dei Cent’Anni. Nel 1532 la struttura finisce nelle mani di Jean Le Breton, segretario di stato di Francesco I. Questi decide di radere al suolo il vecchio  immobile per erigere un altro chateau, ma in stile rinascimentale. L’unica vecchia ossatura che risparmia è il torrione rettangolare coronato di beccatelli. L’esperienza  necessaria a realizzare il nuovo stabile non gli manca di certo. È infatti reduce dalla direzione dei lavori  per erigere il monumentale maniero di Chambord, accanto al quale innalza a titolo personale quello di Villasavin, considerato in sostanza come un’anticipazione in miniatura del progetto che gli sta frullando in testa.
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I lavori si concludono nel 1536 e qui si susseguono gli eredi del capostipite fino al 1754, quando la residenza viene rilevata dal marchese di Castellane, originario della Provenza e ministro di Luigi XV. Costui lascia quasi invariate le membrature del complesso. Si limita ad alcuni ritocchi per migliorare il comfort richiesto dal tenore di vita del XVIII secolo. Uno degli ultimi passaggi si registra ai primi dell’Ottocento, quando il neo-imperatore Napoleone acquisisce l’intera tenuta per donarla al fratello maggiore Giuseppe, allora al governo del regno di Napoli. I cambiamenti sostanziali cominciano invece un secolo dopo, e precisamente nel 1906, anno in cui  l’opera architettonica con il terreno contiguo passa allo spagnolo Joachim Carvallo, gentiluomo di Estremadura e rinomato clinico. Questi si dedica anima e corpo al nuovo sito, che versa in condizioni abbastanza critiche. Anzi,  pur di non disperdere alcuna stilla d’energia decide persino di abbandonare la luminosa carriera di ricercatore nell’équipe del prof. Charles Richet, premio Nobel per la medicina nel 1913.
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Da fisiologo quale è per formazione, tratta la creatura appena adottata come un organismo vivo e le conferisce progressivamente il fascinoso aspetto odierno, ammirato ogni anno da quasi mezzo milione di turisti. La sezione muraria è composta da un corpo principale e da due ali disposte ad angolo retto in modo da chiudere su tre lati “le cour d’honneur”, aperto a nord sulla vallata in cui scorre il fiume Cher.  Il cavedio presenta gallerie ad arcate, finestre a crociera e pilastri riccamente decorati, alti abbaini con frontone scolpito, coperture in ardesia con marcate pendenze e ampi volumi. Il progettista, sia pure in maniera discreta, ricorre a una serie di stratagemmi per scongiurare l’impressione di monotonia promanato spesso da un insieme che si vincola a un ossequio troppo geometrico e scolastico delle simmetrie. Così il profilo delle facciate si riflette negli specchi d’acqua, gli angoli sono leggermente acuti, le fiancate misurano lunghezze diverse e l’allineamento delle aperture è sfasato rispetto al centro della facciata.
Non c’è invece più traccia dei retaggi medievali, tipo le gugliette e le piombatoie decorative. L’impianto si presenta estremamente scarnificato e prefigura gli esemplari di Anet o Fontainebleau e un po’ più tardi il campionario in stile Enrico IV. Quanto agli interni, l’elemento architettonico più vistoso è costituito da un soffitto moresco portato per nostalgia dalla penisola iberica e pazientemente ricomposto nei suoi minuscoli pezzi come un ciclopico puzzle.
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Il mobilio è del Seicento e alle pareti figurano pregevoli quadri, per lo più di scuola fiamminga e spagnola, soprattutto della bottega di Goya. Non mancano alcuni oggetti d’alto artigianato a tema religioso e devozionale. Al secondo piano si può entrare nelle stanze dei bambini, arredate in maniera spensierata e per nulla contegnosa. Sparsi qua e là si notano ancora i balocchi usati dai piccoli nei loro passatempi, e questi particolari così normali nelle case della gente comune spiazzano un po’ chi si aspetta di incontrare la solita parata di armature, elmi, alabarde, scudi e spadoni. Insomma, non si respira l’atmosfera tanto solenne quanto austera che di solito caratterizza i domicili storici.

Ma la vera meraviglia si avverte di fronte allo spettacolo che attornia il maniero. Il proprietario si schiera esplicitamente contro gli aspetti più deleteri e discutibili della modernità. Con l’approvazione e l’aiuto diuturno dalla moglie americana Anne Coleman si sbarazza del parco all’inglese che circonda la dimora e si impegna a restituire allo spazio verde l’aspetto originario. Il lavoro di ripristino dura più di dieci anni.
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In mancanza di documenti che indichino la conformazione primitiva del parterre, come punto di riferimento ricorre alle incisioni di Androuet du Cerceau contenute nell’opera Les plus excellents bastiments de France. Si tratta d’una serie di prospettive “a volo d’uccello” pubblicate a Parigi verso la metà del XVI secolo e che illustrano le più belle realizzazioni francesi del periodo. Tra esse figurano ad esempio i vivai di Blois, costruiti per Luigi XII, e quelli di Gaillon, voluti dal cardinale d’Amboise. Sono tutti progettati da architetti italiani, che trapiantano al di là delle Alpi il caratteristico schema a terrazze introdotto dall’urbinate Donato di Angelo di Pascuccio, detto il Bramante.

I giardini di Villandry sono distribuiti su tre livelli, collegati fra loro da ariose rampe di scale. Nel più alto un esteso bacino contiene l’acqua necessaria sia nell’irrigazione che per alimentare le fontane e i canali. I viali destinati al passeggio, ombreggiati da tigli tagliati a volta o da pergolati di vite, sono tracciati in modo da non ostruire la vista dall’alto. E anche questo è un accorgimento diffuso all’epoca per apprezzare al meglio le forme disegnate dalle diverse sezioni. Nel settore più basso s’incontra invece il potager, ossia il terreno in cui si coltivano le verdure secondo una tradizione che risale alle  più remote comunità monastiche. Ha un’estensione superiore a un ettaro ed è composto da nove quadrati della stessa dimensione ma con motivi geometrici eterogenei. Gli ortaggi, raggruppati secondo schemi di colore che cambiano ogni anno per non impoverire il terreno, formano un insolito mosaico, in cui spiccano il blu del porro, il violaceo dei grandi cavoli, il rosso della rapa, il giallo dei peperoni e il verde giada delle foglie di carota. I vari spicchi sono frazionati tramite sentieri affiancati da alberi di pero potati a piramide e nei punti d’incontro dei viottoli si alzano canestri intrecciati di rose vermiglie.
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Nel terrazzamento di mezzo si sviluppa invece il giardino ornamentale, costituito da una successione di aiuole a scomparti chiusi da spalliere di bosso e disposti in modo rigorosamente simmetrico. Lo spazio fra le siepi in primavera si riempie di viole del pensiero, garofani, nontiscordardime e tulipani, mentre in estate dominano la scena le dalie rosse e gialle. La cosa più straordinaria è che qui si materializza sul serio e in modo inequivocabile un’esortazione spesso invocata a sproposito, ossia il famoso “Ditelo con i fiori”. Ogni spaccato è infatti a tema, nel senso che esprime un contenuto preciso. A sinistra del canale è simbolicamente rappresentata la musica. I triangoli effigiano le lire. villandry_8
Accanto ad esse sono disegnate le arpe e tra loro trovano posto i candelabri, come chiamati a rischiarare lo spartito di questa silenziosa ma carezzevole orchestra vegetale. A destra si eleva invece un vero e proprio inno all’amore. I primi quadranti, con i cuori separati da fiamme negli angoli, parlano dell’amore tenero. I cuori spezzati dall’irrefrenabile trasporto decantano l’amore appassionato. I ventagli disposti all’estremità, alludendo alla leggerezza dei sentimenti, ricordano l’amore volubile. Le lame di spade e pugnali, che si brandiscono nei duelli provocati dalla gelosia, evocano infine l’amore tragico. Una decina di addetti lavora quotidianamente a tempo pieno per curare i delicati equilibri di questo regno gracile e sontuoso insieme.
Ogni anno pianta 45 mila arbusti e 60 mila verdure. E il 3 e 4 luglio hanno immancabilmente luogo le Nuits des mille feux. Al tramonto del sole si accendono 2 mila candele, che sostituiscono la luce naturale e creano un’atmosfera carica di magia.
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Acrobati e giocolieri si esibiscono nella corte d’onore, mentre personaggi in costume transitano lungo i varchi alberati e fioriti. Intorno al bacino d’acqua, accompagnati da armonie barocche, i fuochi d’artificio riproducono in cielo le cromie floreali di terra, velate dall’oscurità. E una voce femminile legge negli orti le novelle orientali della raccolta Le mille e una notte, tradotte dall’arabo tre secoli fa dal bibliotecario francese Antoine Galland. È il tocco finale, quasi a sussurrare nelle orecchie degli ospiti che le favole esistono ancora.
Testo e foto di Lorenzo Iseppi
La foto de La nuit des mille feux è di
Château de Villandry

Château de Villandry

Villandry (Francia)

Biglietto:
– castello e giardini: intero 9 €; ridotto 5 €
– solo giardini: intero 6 €; ridotto 3,50 €

Informazioni:
Tel. ++33 (0)2 47500209
www.chateauvillandry.com

Didascalie:

  • Il castello di Villandry lungo la Loira
  • Uno scorcio del cortile interno
  • La torre angolare, unico lacerto della rocca feudale di Colombiers
  • I magnifici giardini distribuiti su più livelli
  • Le aiuole a scomparti simmetrici chiusi da spalliere di bosso
  • L’area con i cuori che cantano i temi dell’amore
  • Una delle terrazze del maniero rinascimentale
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