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Voi siete qui: Europa » Visita in 4D ai templi megalitici di Hagar Qim a Malta

10 Giugno 2018

Visita in 4D ai templi megalitici di Hagar Qim a Malta

Il reportage di Marco Grassano fa tappa al sito di Ħaġar Qim

Quando usciamo di casa, il cielo sopra la via ci appare di un azzurro pallido, con qualche sfilacciata velatura di cirri bianchi allungati dal vento di quota. Ci dirigiamo verso la chiesa: la fermata dell’autobus 201, per i templi di Ħaġar Qim, è nello slargo che precede di poco la rosticceria Dee’s.

Ritroviamo, alla fine di Triq San Martin, sull’angolo della convergente Triq San Mikiel, la vetrina blu del piccolo negozio di alimentari, lo Step’n’shop, che si rivela, all’interno, un minimarket di dolci e bevande. Lo spazio è stretto e allungato. Un ridotto bancone; un frigo a vetri per le bibite; a ridosso di entrambe le pareti, scansie con dolciumi e, verso il fondo, scaffali con bottiglie di vino – anche italiano – bianco, rosso e rosé. Mi faccio allettare da una variopinta tortina locale; mia figlia, più sobria, si prende un succo di frutta mista Ribena.

[adsense-inarticle] Per completare la colazione ci serve però qualcosa di caldo. Sfociando nella piazzetta di Santa Caterina, troviamo marciapiedi e sagrato affollati di persone in allegro, gesticolante chiacchierio, come, la domenica mattina, accadeva una volta nelle parrocchie di campagna.

Ecco sporgere, sull’angolo destro della via in cui ieri sera abbiamo trovato da mangiare, la tenda del Bronze bar. Pavimento a scacchi rossicci e avorio; tavolini tondi, a tre piedi, di legno color noce; sedie dalle linee curve; incorniciate alle pareti, grandi foto in bianco e nero di antiche processioni in partenza dalla chiesa. Ci avviciniamo al bancone, notando però che non ha la macchina per l’espresso.

Chiediamo ugualmente un caffè e un caffelatte. Il barista, giovane, moro, ci domanda di dove siamo, e ci racconta poi, esprimendosi bene nella nostra lingua, di aver lavorato in Sicilia, di aver imparato il mestiere, ma di essere tornato perché il suo posto è qui. Ci versa del caffè alla turca – che è, a onor del vero, come andrebbe preparato – aggiungendo latte nel mio bicchiere. Il sapore è ottimo. L’euro e 10 che paghiamo in totale mi commuove per la sua esiguità.

Piazza Mattia Preti a Zurrieq, sull'isola di MaltaCi portiamo nello spiazzo, anche qui intitolato a Mattia Preti, sul marciapiede pavimentato in piastrelle di gres rosso a forma di sottili mattoni dai bordi irregolari, con rampette di accesso in corrispondenza dei passaggi pedonali. Case basse e disuniformi convergono dai lati nel breve tratto di via che punta prospetticamente alla facciata fra le due torri campanarie gemelle.

Dietro di noi, un sedile giallo riparato da una copertura trasparente e la soglia di una piccola, malinconica sala d’aspetto da stazioncina di paese. Da qui si vedono, oltre ai cirri, nubi più gonfie, acquerellate, sfumate di bianco e di grigio. Si raggruppa, pian piano, qualche passeggero: donne basse, more e mature, con borse in finta pelle, da casalinga.

Passano le altre linee; dopo un po’ arriva, sterzando attorno al triangolo spartitraffico e parcheggio centrale, anche il 201. Riparte quindi verso il Dee’s, nel viale di alberi e alberelli dalla chioma potata in tondo. Lo percorriamo finché termina ortogonalmente in uno spalto bipartito, per l’intera lunghezza, da un filare di palme già alte.

A sinistra, le solite costruzioni disuguali e anonime. A destra, un sobborgo più recente dal quale ci separa una fascia vuota, interrotta da muretti a secco in diagonali asimmetriche, con sparsi ciuffi di agavi, cespi di canne e ventagli di fichi d’India. Il nuovo quartiere termina, lasciando il posto a un alternarsi di coltivi e incolti, coi muretti in parte assenti o ridotti o crollati. Dopo una curva, cessa anche il caseggiato a sinistra.

Campi su entrambi i lati, di forme e dimensioni diverse, segnati da muretti a secco in vario stato di conservazione. Appaiono, sulla sinistra, bassi poggi calcarei punteggiati di macchia mediterranea. Il paesaggio inizia a somigliare sempre più a quello dei telefilm del commissario Montalbano. La strada curva ancora, infilandosi tra le pieghe del suolo. Subito dopo, compare un mobile triangolo d’acqua crespa: “di lontano / conobbi il tremolar de la marina”, leggevo l’altra sera in aeroporto (Purgatorio I, 116-117, ndr).

A sinistra, un ampio marciapiede da lungomare, che, dopo l’ultima curva a destra, diventa lungomare vero e proprio. Il cartello “Blue grotto boat service” in corrispondenza di un piccolo parcheggio strapiombante sulla scogliera. Agavi. Il bivio per Wied iz-Zurrieq e Blue Grotto. Tiriamo dritti.

Verso destra, fra i calcari, salgono muretti in pietra da costruzione o a secco, macchia mediterranea, fichi d’India. Ginestre con già un accenno di fioritura. Carrubi. Ancora fichi d’India. Piccoli spiazzi per la sosta, attrezzati con qualche tavolo da picnic e panchine da cui si osserva l’orizzonte. Radi coltivi a destra; un lento digradare verso la falesia a sinistra.

Arriviamo alla breve deviazione che conduce ai templi. La fermata è qui. Scendiamo e ci guardiamo attorno attentamente, avidi di dettagli. Sembra davvero di essere a Vigata e di seguire Montalbano mentre va a ispezionare la campagna in cui è stato rinvenuto qualche cadavere.

Hagar Qim a MaltaImbocchiamo la stradina asfaltata – in testa, il duplice annuncio “Ħaġar Qim / Restaurant & Cafeteria / Specializing in maltese dishes” – che procede fra bassi muri, cespugli verdi, chiazze erbose, ondulati viottoli lungo campi sassosi cui si accede da cancelletti di legno ingrigito.

Arriviamo, dopo circa duecento metri, in un parcheggio a servizio di due costruzioni prefabbricate adiacenti, a forma di parallelepipedo basso e largo. Ci portiamo all’angolo fra le due, in uno spazio lastricato sul quale si affaccia l’ingresso della biglietteria ed esposizione propedeutica alla visita.

Allo sportello, sormontato dall’enorme pannello di benvenuto a “Ħaġar Qim e Mnajda: meraviglie dal 3600 A.C.”, due donne che ci parlano in inglese. Di lato, un angolo per la vendita di souvenir: cartoline, guide, ciondoli, tazze, statuette, calendari. Macchinette automatiche con merendine e bevande. Ci portiamo verso l’indicazione “4D audio visual / a new experience”.

Mia figlia, che al penultimo anno di liceo non ha ancora affrontato Einstein, mi chiede quale sia la quarta dimensione. Le spiego che, probabilmente, ci sposteremo anche nel Tempo. Subito sotto, l’avvertimento che lo spettacolo in quattro dimensioni comprende i seguenti effetti: film in 3D, vibrazione, goccioline d’acqua, luci stroboscopiche, odori, suono forte, con l’invito ad astenersi se si può venirne infastiditi.

In attesa che si radunino abbastanza visitatori per iniziare la proiezione, esaminiamo l’allestimento preparatorio, che presenta plastici dei due siti neolitici; spiega i rapporti tra la loro disposizione e il ciclo solare; illustra il perché e il come li si protegge dalla xita (pioggia), dal xemx (sole) e dal riħ (vento: parola semitica, simile ai corrispondenti ebraico, ruah, e arabo, ruh); espone, in vetrine, sculture antropomorfe rituali di sesso incerto, suppellettili e altri oggetti misteriosi rinvenuti durante gli scavi; ipotizza l’aspetto originario dei templi oltre alle modalità di lavorazione e di spostamento – su una pista di sfere – dei blocchi di pietra che li costituiscono; si interroga sul perché dell’ubicazione.

Una serie finale di pannelli riporta “opinioni perentorie” – o “ultime parole famose” – che hanno accompagnato le varie fasi della scoperta e dello studio delle rovine: “Questi templi sono fatti di blocchi così grandi che solo giganti possono averli costruiti ” (1647); “Queste costruzioni sono così diverse dall’architettura greca che devono essere state realizzate dai fenici, i quali disponevano della tecnologia per farlo” (1787); “Con qualche restauro, questi edifici possono ritrovare un aspetto assai vicino a quello che avevano originariamente” (1839-1885); “Ho scoperto che i templi sono, effettivamente, neolitici” (1901-1910); “I Templi Megalitici di Malta sono i più antichi monumenti di pietra a sé stanti del mondo” (1952-1973; la foto a colori dello studioso dalla compostezza britannica che accompagna queste ultime parole mi ricorda vagamente un vecchio politico della Prima Repubblica, Vito Lattanzio, o il pittore Aligi Sassu).

Veniamo fatti accomodare in una piccola ma tecnicamente complessa sala cinematografica, su file di poltrone disposte a gradinate, e forniti di occhiali per vedere le tre dimensioni, che mi danno una leggera nausea. Inizia lo spettacolo. Ecco che – raffinatissima animazione – mani guantate da archeologo estraggono da un cumulo qualche reperto e lo puliscono con un pennello; poi compare, correndo su una roccia scabra, una lucertola grande quanto un dinosauro; quindi funi colossali issano in piedi, per scrivere il nome del sito, macigni a forma di lettere; tra pareti titaniche avanza, col grosso ventre da lottatore di sumo, la statua antropomorfa in esposizione, mentre una musica assordante di fiati e corde, e cupa di percussioni, tiene alto il livello emotivo del pubblico.

Intensamente drammatici, anzi, apocalittici, anche i colori delle rocce e del cielo e la luce di un sole da ultimo giorno che sorge sotto un’infilata di architravi di pietra, appositamente orientati. La ricostruzione della possibile storia dell’insediamento è molto puntuale e soprattutto sensorialmente efficace: quando si racconta di un nubifragio, oltre al rimbombare del tuono e al folgorare dei lampi sentiamo scendere sulla nostra pelle un impalpabile pulviscolo umido; quando si evoca un terremoto, ecco il pavimento tremare sotto i nostri piedi; quando ci viene mostrato un devastante incendio, avvertiamo l’odore del fumo.
Quinta parte – Segue
Marco Grassano
Foto di M. Ester Grassano

Didascalie:

  • Piazza Mattia Preti a Zurrieq
  • Arrivando ad Hagar Qim
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