
C’è un testo di Eugenio Montale che apre così: “Fu dove il ponte di legno / mette a Porto Corsini sul mare alto / e rari uomini, quasi immoti, affondano / o salpano le reti. Con un segno / della mano additavi all’altra sponda / invisibile la tua patria vera. / Poi seguimmo il canale fino alla darsena / della città, lucida di fuliggine, / nella bassura dove s’affondava / una primavera inerte, senza memoria. / E qui dove un’antica vita / si screzia in una dolce / ansietà d’Oriente, / le tue parole iridavano come le scaglie / della triglia moribonda. / La tua irrequietudine mi fa pensare / agli uccelli di passo che urtano ai fari / nelle sere tempestose: / è una tempesta anche la tua dolcezza, turbina e non appare, / e i suoi riposi sono anche i più rari. / Non so come stremata tu resisti / in questo lago / d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse / ti salva un amuleto che tu tieni / vicino alla matita delle labbra, / al piumino, alla lima: un topo bianco / d’avorio; e così esisti!”.
Si intitola Dora Markus ed è oggi tra i più noti della letteratura italiana contemporanea. A dire il vero, la donna della Corinzia cui sono dedicati i versi resta avvolta da un alone di mistero. L’autore l’ha semplicemente vista in una fotografia, che tra l’altro rivela soltanto gli arti inferiori d’una signora con scarpette chiare a mezzo tacco e cinturino. Di qui parte la storia, insieme con il celebre incipit d’ambientazione. Porto Corsini è l’antico nome di Marina di Ravenna, un villaggio spuntato dalle paludi nel primo Settecento, quando il papa fa scavare il canale che ripristina l’antica vocazione della città, già base della flotta romana e ultima capitale dell’impero d’Occidente. Due secoli dopo, nel 1930, i pionieri del turismo non lo ritengono adatto ad un futuro balneare e viene sostituito con l’odierno. Il soggiorno cui allude il poeta risale dunque a prima di quella data. In compagnia di chi rimane un enigma. Un ulteriore problema sorge con la passerella lignea. Il curioso che si reca a cercarla si sente dire che non è mai esistita nel senso preciso della parola, perché in effetti indica la lunga banchina che un tempo si spingeva fino al largo.
Pertanto, eliminata ogni fuga immaginifica, restano una specie di molo e una tizia senza volto. Tuttavia entrambi sono avvertiti più vivi e reali che mai grazie alla magia artistica d’una lirica. Dalla quale, per i puntuali riferimenti topografici che contiene, poco più d’un decennio fa è sbocciato anche un monumento. Che si sappia, l’evento rappresenta una novità assoluta, almeno in Italia. L’operazione prende il via nel 1996, ad un convegno sul centenario della nascita dell’esimio scrittore ligure. E’ il relatore Walter Della Monica che lancia la proposta di intitolare a Dora Markus un angolo municipale. L’ipotesi trova subito le prime adesioni ed arriva alle orecchie di Pericle Stoppa, appassionato di vicende locali, che la ritiene a sua volta un’idea praticabile. Già in luglio scatta l’ascesa della catena burocratica e amministrativa. Ma sorprendentemente, più che una corsa ad ostacoli, diviene quasi una comoda passeggiata. Tutti si dichiarano subito d’accordo. Sembra quasi di assistere ad un caso di seduzione collettiva.

E domenica 26 ottobre 1997, nella zona “dove un’antica vita / si screzia in una dolce / ansietà d’Oriente”, si assiste alla nascita d’una piazza che è un piccolo gioiello urbano. Lo spazio, studiato dall’architetto Andrea Giacometti, è suddiviso in due parti. La più interna, organizzata come un tappeto di granito e d’ardesia, riporta alcuni giochi che in passato si svolgevano in strada: la scacchiera, mosca cieca, i quattro cantoni e via dicendo. Dal lato opposto, con l’azzurro a fare da sfondo, si erge una quinta ricurva lunga 21 metri e alta 1,60. Ha le superfici maggiori in porfido, mentre le fasce pantografate e scolpite sono in marmo bianco di Carrara. Lungo la parete, incorniciati dal giallo d’Istria, si snodano sei mosaici, realizzati sulla base dei cartoni eseguiti nell’ordine da Emilio Tadini, Ruggero Savinio, Bruno Ceccobelli, Klaus Karl Mehrkens, Concetto Pozzati e Giosetta Fioroni. Ognuno si connette liberamente ai vari passaggi del carme, debitamente incisi sotto i pannelli. L’effetto è di quelli che rapiscono. Si scopre che la voce montaliana, abituata a raccontare gli scabri paesaggi liguri, si sposa anche con le placide nenie delle risacche adriatiche. E al tramonto, quando le tessere musive vibrano sotto la luce, sembra quasi di sentire le pietre declamare Le occasioni.
Testo e foto di Lorenzo Iseppi





